A questo punto è d’obbligo lanciare un’occhiata anche all’incontro-scontro tra questa concezione che già si presentava, in un certo qual modo, innovativa con quella che verrà fuori dal pensiero di Arnauld e Nicole, e cioè con la Logique de Port-Royal , un’altra di quelle espressioni del cartesianesimo.
A differenza di Malebranche, per il quale la conoscenza era una visione in Dio[1], Arnauld considera la conoscenza come qualcosa che si genera dall’immediata percezione dell’oggetto. L’idea che si formerà, non sarà un’immagine dell’oggetto. Nel senso che essa non sarà una rappresentazione, diciamo, dell’originale. Piuttosto essa viene concepita come immagine, solo in quanto è essa stessa la cosa che oggettivamente è situata nello spirito. Inoltre, lo spirito, nel percepire l’oggetto, percepisce anche se stesso: esso è coscienza. Mentre la logica tradizionale analizzava i segni, i loro significati, e il rapporto segno-significato la logica port-royaleana costituisce una vera e propria analisi delle operazioni dello spirito. In tal modo la logica acquista un carattere prettamente mentalistico in quanto essa è il frutto dell’attività dello spirito pensante.
Nella Logique ou l’art de penser, Arnauld (e naturalmente anche Pierre Nicole) critica e confuta il pensiero di un altro pioniere di quel processo di allontanamento dalla logica tradizionale: Ramo. Pierre de la Ramèe propose una nuova logica ricavata dai procedimenti discorsivi degli scrittori classici e applicata soprattutto alla retorica. Egli è stato uno dei massimi rappresentanti della corrente antiaristotelica del Rinascimento. Sosteneva che << l’on doit trouver la matiere avant que de songer à la disposer >>, mentre Arnauld, asseriva che già l’esprit, appunto, avrebbe favorito spontaneamente certe materie generali che potranno essere disposte senza nessuna metodologia di classificazione particolare[2]. L’idea, per Arnauld si riduce all’immediata percezione dell’oggetto. La conoscenza si realizza proprio in questa percezione.
La confutazione della tesi ramista da parte di Arnauld implica, inevitabilmente, anche la critica all’utilità dei loci argomentum, nel corso degli studi. Infatti Ramo sosteneva che lo studio della topica fosse di fondamentale importanza per lo sviluppo intellettuale del discente.
Il De nostri temporis avrà proprio come bersaglio polemico la tesi aurnauldiana secondo la quale sarebbe assolutamente fuori luogo utilizzare la topica in sede filosofica: “Eppure Arnauld, uomo di cultura vastissima in ogni campo, disprezza la topica e la ritiene sprovvista di qualsiasi utilità”[3].
[1] Infatti Malebranche parte dalla tesi fondamentale di Cartesio seconda la quale ogni nostra conoscenza diretta di un oggetto immediato è soltanto un’idea. E che l’esistenza di qualcosa di diverso dall’idea è indimostrabile. Il fatto che in noi ci sia l’idea, non dimostra che ci sia un oggetto fuori di noi. Ma ciò che è più importante, è che le nostre idee non sono causate dall’esistenza dei corpi, ma da Dio. Cioè, è Dio che produce le idee i noi, in occasione della presenza dei corpi. E quindi i fondamenti della conoscenza, le verità eterne, l’uomo li vede in Dio.
[2] Cfr., A. Arnauld e P. Nicole, La logique ou l’art de penser, a cura di P. Clair e F. Gibral, Paris, Vrin, 1981, p. 233.
[3] G.B. Vico, De nostri temporis studiorum ratione, cit., p. 60.