Un ricordo d’infanzia tratto da «Poesia e verità» di Goethe (1917). 5-14
“Quando si vuol richiamare alla memoria quel che ci accadde nel primo tempo dell’infanzia, succede spesso di scambiare ciò che abbiamo udito da altri con ciò che realmente possediamo per nostra esperienza e osservazione.” Da questa osservazione di Goethe, che compare nelle prime pagine della sua autobiografia, Freud prende lo spunto per riportare il ricordo infantile raccontato dal poeta ponendolo in relazione con la psicoanalisi. In ogni elaborazione psicoanalitica della storia di un’esistenza si riesce a chiarire il significato dei primissimi ricordi d’infanzia, lungo la linea dei “ricordi di copertura”. I ricordi di copertura sono ricordi indifferenti e futili dell’infanzia che debbono la loro conservazione non al loro contenuto in sé ma a una relazione associativa tra il loro contenuto e un altro contenuto rimosso. Goethe chiarisce un aneddoto risalente alla sua prima infanzia, in cui ricorda di aver gettato tutti i suoi piatti, vasellame e tegami dalla finestra. Ci si potrebbe formare l’opinione che il lancio del vasellame sia un’azione simbolica, o magica, con la quale un bambino esprime violentemente il suo desiderio di eliminare l’intruso (un fratellino nato da poco) che lo disturba. L’esasperazione del bambino per la comparsa, attesa o già avvenuta, di un concorrente si esprime nel gettare oggetti fuori dalla finestra oppure in altri atti cattivi e ispirati a sete di distruzione.
Vie della terapia psicoanalitica (1918)
19-28
Il compito dei terapeuti consiste nel portare il nevrotico a conoscenza degli impulsi inconsci e rimossi che esistono in lui, e nel rendere palesi a tal fine le resistenze che si oppongono a questa estensione della sua conoscenza della sua persona. Abbiamo dato il nome di psicoanalisi al lavoro con cui portiamo il malato a prendere coscienza dei suoi contenuti psichici rimossi. Il nevrotico ci presenta una vita psichica lacerata, incrinata da resistenze, e mentre noi lo analizziamo ed eliminiamo le resistenze, questa vita psichica tende a unificarsi, la grande unità che chiamiamo il suo Io raccoglie in sé tutti quei moti pulsionali che erano prima staccati da lui e separati. Nel soggetto trattato con la psicoanalisi, la psicosintesi si compie così senza il nostro intervento, in modo automatico e inesorabile. Nella misura del possibile, la cura psicoanalitica dev’essere effettuata in stato di privazione, di astinenza. La causa della malattia del nevrotico è stata una frustrazione, e i suoi sintomi hanno la funzione di soddisfacimenti sostitutivi. L’attività del medico deve assumere la forma di un’energica opposizione contro i prematuri soddisfacimenti sostitutivi. Il malato cerca un soddisfacimento sostitutivo innanzitutto nella cura medesima, nel rapporto di traslazione con il medico, e può persino cercare di risarcirsi per questa via di tutte le rinunce che gli sono state imposte. È opportuno rifiutargli proprio quei soddisfacimenti che egli desidera più intensamente e chiede con maggior insistenza. Se si rende tutto più gradevole al paziente, si rinuncia a dargli una maggior forza.
Bisogna insegnare la psicoanalisi nell’università? (1918)
33-35
L’includere la psicoanalisi nel curriculum universitario sarebbe senza dubbio visto con soddisfazione da tutti gli psicoanalisti. Nello stesso tempo è chiaro che lo psicoanalista può fare senz’altro a meno dell’università, senza perderci nulla. Per quanto riguarda le università, la questione dipende dalla loro decisione, e cioè se sono disposte ad attribuire un valore alla psicoanalisi nell’addestramento dei medici e degli scienziati. Negli ultimi decenni la formazione medica è stata criticata con piena ragione per il modo unilaterale in cui orienta lo studente nei campi dell’anatomia, della fisica e della chimica, mentre non riesce a chiarirgli il significato dei fattori psichici nelle diverse funzioni vitali, come pure nelle malattie e nel loro trattamento. Questa evidente carenza ha portato all’inserimento nel curriculum universitario di corsi di psicologia medica. La psicoanalisi, più di ogni altro sistema, è idonea a insegnare la psicologia allo studente di medicina. L’insegnamento della psicoanalisi dovrebbe procedere a due livelli: un corso elementare, destinato a tutti gli studenti di medicina, e un corso specialistico per psichiatri. Nell’indagine dei processi psichici e delle funzioni intellettuali, la psicoanalisi segue un suo metodo specifico. L’applicazione di tale metodo si estende alla risoluzione di alcuni problemi negli ambiti dell’arte, della filosofia e della religione. L’università non avrebbe che da guadagnare dall’inclusione nel suo curriculum dell’insegnamento della psicoanalisi.
«Un bambino viene picchiato» (Contributo alla conoscenza dell’origine delle perversioni sessuali) (1919)
1-3
41-48
La rappresentazione fantastica “Un bambino viene picchiato” è ammessa con sorprendente frequenza da persone che sono ricorse al trattamento psicoanalitico a causa di un’isteria o di una nevrosi ossessiva. A questa fantasia si congiungono sentimenti di piacere in virtù dei quali essa è stata riprodotta innumerevoli volte nel passato o viene riprodotta anche nel presente. Al culmine della situazione immaginata s’impone, quasi regolarmente, un soddisfacimento onanistico, all’inizio in accordo con la volontà della persona, poi invece contro la sua volontà e con carattere coattivo. Questa fantasia è accompagnata da intenso piacere e si conclude in un atto di voluttuoso soddisfacimento autoerotico. Una fantasia di questo genere, che affiora nella prima infanzia e alla quale il soggetto si attiene in vista di un soddisfacimento autoerotico, si può considerare un tratto primario di perversione. Una delle componenti della funzione sessuale ha presumibilmente precorso le altre nello sviluppo, si è resa prematuramente autonoma e si è fissata, sottraendosi però ai successivi processi evolutivi e nel contempo dando prova di una particolare costituzione anomala del soggetto. Se la componente sessuale precocemente distaccatasi è quella sadica, ci aspettiamo che, a causa della rimozione cui soggiace in seguito, si instauri una disposizione alla nevrosi osses-siva. È nell’età tra i due e i quattro o cinque anni che i fattori libidici congeniti vengono per la prima volta destati dalle esperienze. Le fantasie di percosse compaiono soltanto alla fine di questo periodo o dopo. L’analisi insegna che le fantasie di percosse hanno una storia evolutiva che comporta numerose modificazioni (le quali riguardano il loro rapporto con la persona che fantastica, il loro oggetto, il loro contenuto e il loro significato). Nella prima fase delle fantasie di percosse nelle ragazze, il bambino picchiato non è mai il soggetto, ma è regolarmente un altro bambino, perlopiù, se esiste, un fratellino o una sorellina. La persona che picchia è sempre un adulto. La prima fase è espressa dalla frase: “Mio padre picchia il bambino.” La seconda (e più importante) ha come enunciato: “Vengo picchiata da mio padre.” La terza fase comporta una fantasia portatrice di un eccitamento intenso e inequivocabilmente sessuale, e come tale è il veicolo del soddisfacimento onanistico.
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Se con l’analisi ci inoltriamo in quei periodi remoti in cui sono collocate le fantasie di percosse e a partire dai quali esse vengono ricordate, i bambini ci appaiono irretiti negli eccitamenti del complesso parentale. La bambina è teneramente fissata al padre. La prima fase (sadismo) della fantasia di percosse, in cui un altro fratello non amato è picchiato dal padre, soddisfa la gelosia dei bambini e dipende dalla loro vita amorosa, ma viene validamente sorretta anche dai loro interessi egoistici. Nella fantasia della seconda fase, la fantasia di percosse ricevute dal padre, si esprimerebbe direttamente il senso di colpa della bambina: la fantasia è dunque diventata masochistica; anche all’impulso amoroso spetta la sua parte. Questa fantasia non è soltanto la punizione per il rapporto genitale severamente proibito, ne è anche il sostituto regressivo, e da quest’ultima fonte trae l’eccitamento libidico che da quel momento le sarà ancorato e che riuscirà a scaricarsi in atti onanistici. La terza fase della fantasia di percosse è nuovamente colorata di sadismo. La perversione infantile può diventare il fondamento su cui si edifica una perversione di segno analogo che dura tutta la vita sessuale dell’individuo. Il masochismo non è una manifestazione pulsionale primaria, ma deriva piuttosto dal volgersi del sadismo contro la persona stessa del soggetto, in virtù, perciò, di una regressione da un oggetto all’Io. Gli individui che hanno coltivato una simile fantasia sviluppano una particolare sensibilità ed eccitabilità nei confronti delle persone che possono inserire nella serie paterna; si lasciano facilmente offendere da costoro e così, con proprio dolore e danno, mandano a effetto la situazione fantasticata, quella di essere picchiati dal padre.
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La fantasia di percosse delle ragazzine passa attraverso tre fasi, di cui la prima e l’ultima sono ricordate consciamente. Le due fasi coscienti appaiono sadiche, mentre la fase intermedia e inconscia è di natura masochistica; il suo contenuto è essere picchiata dal padre, e vi aderiscono il gravame libidico e il senso di colpa. Il bambino picchiato è costantemente, nella prima e nella terza fantasia, un altro, nella fase intermedia è soltanto la bambina stessa; nella terza fase, cosciente, sono quasi sempre soltanto dei maschi a essere picchiati. La persona che picchia è il padre, sostituito in seguito da un suo rappresentante tratto dalla serie paterna. La fantasia inconscia della fase intermedia aveva originariamente significato genitale e derivava, per rimozione e regressione, dal desiderio incestuoso di essere amata dal padre. Pochi sono i soggetti maschili con fantasie di percosse che siano esenti da ulteriori grossolani disturbi dell’attività sessuale. In essi sono compresi individui che possono essere definiti autentici masochisti, nel senso della perversione sessuale. Essi si pongono regolarmente nella parte della donna, e cioè il loro masochismo coincide con un atteggiamento femmineo. Il venir picchiato della fantasia maschile è altresì un essere amato in senso genitale. La fantasia di percosse del ragazzo è sin dall’inizio passiva ed è scaturita dall’atteggiamento femminile verso il padre. Adler, nella sua teoria della “protesta virile”, sostiene che ogni individuo si sforza di non rimanere nella inferiore “linea femminile” e tende verso la linea virile che è l’unica soddisfacente. La teoria psicoanalitica tiene saldo il principio che non è lecito sessualizzare i motivi della rimozione. Il nucleo dell’inconscio psichico è formato dall’eredità arcaica; è sottoposto al processo di rimozione tutto ciò che nel progredire verso successive fasi di sviluppo deve essere abbandonato perché inconciliabile con il nuovo e a esso dannoso. Le pulsioni sessuali riescono a mandare a monte gli intenti della rimozione e a farsi rappresentare comunque da formazioni sostitutive disturbanti. Per questo la sessualità infantile che soggiace alla rimozione è la forza motrice principale della formazione dei sintomi, e per questo la sua componente essenziale, il complesso edipico, è il complesso nucleare delle nevrosi.
Introduzione al libro «Psicoanalisi delle nevrosi di guerra » (1919)
71-75
Le nevrosi di guerra, in quanto si distinguono da quelle comuni del tempo di pace per alcune specifiche peculiarità, vanno intese come nevrosi traumatiche la cui insorgenza è stata consentita o facilitata da un conflitto nell’Io. Tale conflitto si svolge tra il vecchio Io pacifico e il nuovo Io bellicoso del soldato, e diventa acuto non appena l’Io pacifico si rende conto di rischiare la vita per colpa della temerarietà del suo recente parassitico duplicato. L’esercito nazionale sarebbe dunque la condizione, il terreno di coltura delle nevrosi di guerra, che non avrebbero la possibilità di instaurarsi in un esercito di mercenari, fra i soldati di professione. Le nevrosi di guerra non sono altro che nevrosi traumatiche. Le nevrosi traumatiche e le nevrosi di guerra parlano a voce altissima dell’influsso del pericolo mortale e non parlano affatto o parlano in modo non abbastanza chiaro degli effetti prodotti dalla “frustrazione dell’amore”. Nelle nevrosi traumatiche e di guerra l’Io si difende da un pericolo che lo minaccia dall’esterno, o che è incorporato in un modo di atteggiarsi dello stesso Io; nelle nevrosi di traslazione del tempo di pace l’Io considera la propria libido come un nemico le cui pretese gli appaiono minacciose. In entrambi i casi l’Io teme di essere danneggiato.
Il perturbante
1
81-87
Il perturbante appartiene all’ambito dello spaventoso, ciò che ingenera angoscia e orrore. A questo proposito, nulla praticamente è rintracciabile nelle esaurienti esposizioni offerte dall’estetica. La difficoltà che emerge nello studio del perturbante, come sottolinea Jentsch, è che la sensibilità verso questa qualità del sentire è sollecitata in maniera diversissima da individuo a individuo. Non tutto ciò che è nuovo e inconsueto è spaventoso. La parola tedesca unheimlich (perturbante) è l’antitesi di heimlich (confortevole), heimisch (patrio), dunque l’opposto di ciò che è familiare, abituale. La parola heimlich, tra le molteplici sfumature del suo significato, ne mostra una in cui coincide con il suo contrario, unheimlich. Il termine heimlich non è univoco, ma appartiene a due serie di rappresentazioni che, senza essere antitetiche, sono tuttavia parecchio estranee l’una all’altra: quella della familiarità, dell’agio, e quella del nascondere, del tener celato. Heimlich è quindi un termine che sviluppa il significato in senso ambivalente, fino a coincidere con il suo contrario: unheimlich. Unheimlich è in certo modo una variante di heimlich. Tutte le indicazioni relative al termine heimlich sono tratte dal vocabolario della lingua tedesca di Daniel Sanders di cui, in appendice al saggio, viene riprodotto integralmente un estratto.
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88-106
Jentsch ha rilevato come caso particolarmente adatto di perturbante il dubbio che un essere apparentemente animato sia vivo davvero, e, viceversa, il dubbio che un oggetto privo di vita non sia per caso animato. Egli annovera in questa categoria l’impressione destata dagli attacchi epilettici e dalle manifestazioni di pazzia. L’incertezza sul fatto che una determinata figura sia una persona o un automa è stata resa perfettamente nel racconto Il mago sabbiolino che fa parte dei Notturni di E.T.A. Hoffmann. Il senso del perturbante è legato direttamente alla figura del mago sabbiolino, ossia all’idea di vedersi sottratti gli occhi. La prospettiva di un danno agli occhi o della loro perdita è un’angosciosa minaccia per i bambini. La paura per gli occhi, l’angoscia di perdere la vista, è abbastanza spesso un sostituto della paura dell’evirazione. Se la teoria psicoanalitica ha ragione di affermare che ogni affetto connesso con un’emozione di qualunque tipo viene trasformato in angoscia qualora abbia luogo una rimozione, ne segue che tra le cose angosciose dev’essercene un gruppo nel quale è possibile scorgere che l’elemento angoscioso è qualcosa di rimosso che ritorna. Questo tipo di cose angosciose costituirebbero il perturbante. A molti appare perturbante in sommo grado ciò che ha rapporto con la morte, con i cadaveri e con il ritorno dei morti, con spiriti e spettri. L’effetto perturbante del mal caduco e della follia ha la stessa origine. Il profano vede qui l’estrinsecarsi di forze che non aveva supposto di trovare nel suo prossimo, ma di cui è in grado di percepire oscuramente la presenza in angoli remoti della personalità. Ci troviamo esposti a un effetto perturbante quando il confine tra fantasia e realtà si fa labile, quando appare realmente ai nostri occhi qualcosa che fino a quel momento avevamo considerato fantastico, quando un simbolo assume pienamente la funzione di ciò che simboleggia.
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107-14
Può essere vero che lo Unheimliche sia lo Heimliche-Heimische che ha subìto una rimozione e poi è ritornato, e che tutto ciò che è perturbante risponda a questa condizione. Ma, optando per questa soluzione, l’enigma del perturbante non sembra ancora risolto. La morte apparente e i morti che risuscitano sono rappresentazioni fortemente perturbanti. Non appena nella nostra esistenza si verifica qualcosa che sembra convalidare gli antichi convincimenti ormai deposti, ecco che nasce in noi il senso del perturbante. Nel caso del perturbante proveniente da complessi infantili il problema della realtà materiale non si pone affatto, essendo il suo posto occupato dalla realtà psichica. Siamo di fronte all’effettiva rimozione del contenuto e al ritorno del rimosso, e non al fatto che si è smesso di credere nella realtà di quel contenuto. Il perturbante che si sperimenta direttamente si verifica quando complessi infantili rimossi sono richiamati in vita da un’impressione, o quando convinzioni primitive superate sembrano aver trovato una nuova convalida. Molte cose che sarebbero perturbanti se accadessero nella vita non sono perturbanti nella poesia, e d’altra parte nella poesia, per ottenere effetti perturbanti, esistono una quantità di mezzi di cui la vita non può disporre. La solitudine, il silenzio e l’oscurità sono veramente le situazioni alle quali è legata l’angoscia infantile, di cui la maggior parte degli esseri umani non riescono mai a liberarsi completamente.
Scritti brevi (1919)
Prefazione a “Il rito religioso: studi psicoanalitici” di Theodor Reik
123-27
La psicoanalisi nacque da necessità mediche, dall’esigenza di aiutare quei malati di nervi ai quali né il riposo, né le tecniche idroterapiche, né il trattamento elettrico erano riusciti a portare alcun sollievo. Nel 1913 Otto Rank e Hanns Sachs hanno raccolto in un libro i risultati ottenuti fino a quel momento dall’applicazione della psicoanalisi alle scienze dello spirito. Il superamento del complesso edipico coincide con il modo più efficace di vincere l’eredità arcaica e animale dell’uomo. Ciò che oggi è per l’individuo patrimonio ereditario fu, in un lontano passato, acquisizione ex novo, tramandata poi, nei secoli, di generazione in generazione. Anche il complesso edipico può dunque avere una sua peculiare storia evolutiva. La e luogo nel settembre 1918 a Budapest, il dottor Tausk mostrò i segni di un’inconsueta irritabilità. Quando di lì a breve lasciò la vita militare e ritornò a Vienna, si trovò per la terza volta, intimamente logorato, di fronte al difficile compito di costruirsi una nuova esistenza. Il mattino del 3 luglio 1919 (all’età di 42 anni) mise fine ai suoi giorni. Era membro della Società psicoanalitica di Vienna dall’autunno 1909. Dai suoi contributi risulta con chiarezza la sua preparazione filosofica, che egli seppe combinare con i metodi esatti delle scienze naturali. Tausk possedeva capacità medico-psicologiche assolutamente eccezionali. La psicoanalisi ha un particolare debito di riconoscenza verso il dottor Tausk – che era un brillante oratore – per le lezioni che egli tenne per parecchi anni davanti a numerosi ascoltatori di entrambi i sessi, introducendoli ai princìpi e ai problemi della psicoanalisi.
Psicogenesi di un caso di omosessualità femminile (1929)
1
141-49
L’omosessualità femminile, che non è certo meno frequente di quella maschile, non solo è stata ignorata dalla legge, ma è stata anche trascurata dalla ricerca psicoanalitica. Viene data comunicazione di un singolo caso, di cui è stato possibile accertare la genesi e lo sviluppo psichico con assoluta sicurezza. Una ragazza diciottenne, bella e intelligente, che proviene da una famiglia socialmente altolocata, ha suscitato il malcontento e la preoccupazione dei suoi genitori a causa dell’interesse con cui non dà tregua a una signora del “bel mondo” che ha circa dieci anni più di lei. Di questa signora si sa che vive con un’amica sposata con la quale intrattiene relazioni intime pur avendo, nello stesso tempo, torbidi rapporti amorosi con una quantità di uomini. La ragazza non si preoccupa affatto di mostrarsi pubblicamente per le strade più frequentate in compagnia dell’amica malfamata, e dunque non si cura della sua reputazione; d’altro lato non trascura alcun inganno, pretesto o menzogna che le consenta di incontrarsi con l’amica e di nascondere questi convegni. Circa sei mesi dopo che aveva tentato il suicidio, i genitori si rivolsero al medico. L’omosessualità della ragazza aveva qualcosa che suscitava in suo padre un’esasperazione profondissima. Egli era deciso a combatterla con tutti i mezzi. La madre non prendeva l’infatuazione della figlia allo stesso modo tragico, non ne era altrettanto corrucciata. La ragazza in effetti non era malata, non soffriva per motivi interni, né si lamentava della sua situazione. Con nessuno degli oggetti delle sue infatuazioni il suo godimento era andato al di là di pochi baci e qualche abbraccio; la sua castità genitale era rimasta intatta. Non c’era una vistosa deviazione dal tipo fisico femminile, né la ragazza soffriva di disturbi mentali.
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149-54
Nell’infanzia la ragazza era passata attraverso il normale complesso edipico femminile e non ricordava sogni sessuali nella lontana fanciullezza; neppure l’analisi ne palesò alcuno. Negli anni scolari e prepuberali venne gradualmente a conoscenza dei fatti della vita sessuale, e li apprese con quel misto di lascivia e spaventata ripugnanza che dobbiamo definire normale. Fra i tredici e i quattordici anni manifestò una tenera predilezione – che tutti considerarono esagerata – per un bimbetto non ancora treenne che aveva occasione di vedere regolarmente in un parco giochi. Ma poco dopo questo bambino le divenne indifferente, e cominciò invece a mostrare interesse per donne mature ma ancora giovanili. Le manifestazioni di questo interesse le procurarono ben presto una severa punizione da parte del padre. La ragazza si trovava nella fase della reviviscenza puberale del complesso edipico infantile quando ebbe la sua grande delusione. Il desiderio di avere un bambino, e un bambino maschio, le divenne lucidamente consapevole; desiderare un figlio dal proprio padre, e che fosse il ritratto di quest’ultimo, era invece qualcosa che la sua coscienza non poteva accettare. Ma poi accadde che non fu lei stessa ad avere il bambino, bensì la rivale inconsciamente odiata, la madre. Risentita e amareggiata, la ragazza voltò le spalle al padre e agli uomini in genere. Si trasformò in un uomo e prese la madre, al posto del padre, come oggetto d’amore. Giacché il suo atteggiamento verso la madre era stato certamente ambivalente fin dall’inizio, le fu facile far rivivere il suo amore di un tempo per la madre, e avvalersene per sovraccompensare la sua attuale ostilità verso di lei. Poiché con la madre reale c’era ben poco da fare, questa metamorfosi emotiva diede luogo alla ricerca di un sostituto materno a cui potersi attaccare con appassionata tenerezza. Questo orientamento libidico si rafforzò allorché la ragazza si rese conto di quanto fosse sgradita al padre. L’inversione si rafforzò definitivamente quando, nella “signora”, trovò un oggetto che al tempo stesso offriva un soddisfacimento alle sue tendenze omosessuali e a quella parte della libido eterosessuale che era rimasta ancorata al fratello.
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154-61
Nel suo rapporto con la donna adorata la ragazza aveva adottato il tipo di amore caratteristico dell’uomo. Allorché apprese che la sua adorata signora viveva semplicemente facendo mercimonio del proprio corpo, reagì sviluppando una grande compassione ed elaborando fantasie e progetti di ogni sorta per “salvare” l’amata da quell’indegna situazione. Tentò il suicidio dopo che il padre le aveva viste insieme e la sua amata aveva voluto por fine alla storia. Il tentativo di suicidio era da una parte l’adempimento di un castigo (un’autopunizione) e dall’altra l’adempimento di un desiderio. La ragazza trasferì su Freud quel radicale rifiuto degli uomini da cui era dominata fin dall’epoca della delusione che le era stata inflitta dal padre. Il fattore affettivo della vendetta contro il padre determinò il suo atteggiamento gelidamente riservato. Le sue intenzioni, di imbrogliare il padre e di compiacerlo, traevano origine dal medesimo complesso; la prima era sorta dalla rimozione della seconda, e il lavoro onirico aveva ricondotto l’intenzione più recente a quella più antica.
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161-66
Freud non intende affermare che ogni ragazza il cui desiderio d’amore derivante dall’atteggiamento edipico degli anni della pubertà subisca una delusione come questa, sia per ciò stesso e necessariamente destinata all’omosessualità. Anche nella persona normale deve trascorrere un certo periodo di tempo prima che abbia luogo la scelta definitiva riguardo al sesso dell’oggetto d’amore. Infatuazioni omosessuali, amicizie esageratamente intense e con un’impronta sessuale, sono normalissime per entrambi i sessi nei primi anni dopo la pubertà. L’analisi mostrò che la ragazza recava in sé fin dall’infanzia uno spiccato “complesso di mascolinità”. Si trattava dunque di un’omosessualità congenita, la quale si era fissata e manifestata inequivocabilmente solo nel periodo successivo alla pubertà. Caratteristica sessuale psichica e scelta oggettuale non necessariamente coincidono. L’essenza dell’omosessualità verte intorno ai seguenti tre ordini di fattori: caratteristiche sessuali fisiche (ermafroditismo somatico), caratteristiche sessuali psichiche (atteggiamento maschile o femminile), tipo di scelta oggettuale.
Promemoria sul trattamento elettrico dei nevrotici di guerra (1920)
171-75
Quantunque le nevrosi di guerra si siano manifestate perlopiù sotto forma di disturbi motori (tremori e paralisi), e venga naturale attribuire alla brutalità dell’impatto di eventi profondamente sconvolgenti (l’esplosione di una granata a distanza ravvicinata, o il rimanere sepolti sottoterra) effetti meccanici altrettanto brutali, ciò nondimeno alcune osservazioni dimostrano inequivocabilmente che la causa delle cosiddette nevrosi di guerra è di natura psichica. Era perciò facile dedurne che la causa immediata di tutte le nevrosi di guerra fosse un’inclinazione inconscia del soldato a sottrarsi alle richieste, pericolosissime o rivoltanti per i suoi sentimenti, postegli dal servizio militare attivo. Sembrò opportuno trattare il nevrotico come un simulatore e non tener conto della distinzione psicologica tra intenzioni consce e inconsce. Dato che il soldato si era rifugiato nella malattia per sfuggire alla guerra, i mezzi che ora venivano impiegati erano tali da costringerlo a fuggire all’indietro dalla malattia verso la salute. A questo scopo venne usato un doloroso trattamento elettrico. Ma questa terapia delle nevrosi di guerra andò incontro a un deciso fallimento. Nel 1918 il dottor Ernst Simmel, direttore di un ospedale per le nevrosi di guerra a Posen, pubblicò un opuscolo nel quale riportava gli ottimi risultati ottenuti con il metodo terapeutico introdotto da Freud in casi gravi di nevrosi di guerra. Con la fine del conflitto scomparvero anche i nevrotici di guerra.
Preistoria della tecnica analitica (1920)
181-83
In un libro di Havelock Ellis intitolato La filosofia del conflitto è compreso un saggio, La psicoanalisi in relazione al sesso, che cerca di dimostrare che l’opera del creatore della psicoanalisi non dev’essere considerata un lavoro scientifico, quanto piuttosto una produzione artistica. La vasta erudizione di Havelock Ellis gli consente di parlare di Garth Wilkinson che, seppure per scopi diversi da quelli di Freud, ha praticato e raccomandato la tecnica delle associazioni libere, e da questo punto di vista ha dunque qualche diritto di essere considerato il precursore della psicoanalisi. “Nel 1857 – scrive Havelock Ellis – il dottor J. J. Garth Wilkinson scrisse un volume di poesie mistiche a rime baciate con cui riteneva di aver introdotto un nuovo metodo, il metodo dell’impressione. Si sceglie un tema e tutto ciò che s’imprime nella mente viene scritto.” In una lettera di Schiller a Körner, il grande poeta e pensatore ha raccomandato a coloro che vogliono essere produttivi di adottare il metodo delle associazioni libere. Il dottor Hugo Dubowitz ha attirato l’attenzione del dottor Ferenczi su un breve saggio (di appena quattro pagine e mezzo) di Ludwig Börne. Il saggio consiglia: “Prendete alcuni fogli di carta e per tre giorni di seguito scrivete tutto quello che vi passa per la testa senza falsità e ipocrisie… e, in capo a tre giorni, sarete fuori di voi dalla meraviglia per i pensieri nuovi e mai sentiti che vi saranno venuti in mente.” L’opera di Börne esercitò una grande influenza su Freud, fin da quando egli aveva quattordici anni.
Il dottor Anton von Freund (1920)
184-85
Il 20 gennaio 1920, pochi giorni dopo aver compiuto quarant’anni, in una casa di cura di Vienna morì il dottor Anton von Freund, che dal Congresso di Budapest del settembre 1918 era segretario generale dell’Associazione psicoanalitica internazionale. Usava i mezzi materiali di cui disponeva per aiutare gli altri a mitigare la durezza della loro sorte, e per rendere ovunque più vigile il senso della giustizia sociale. Quando, negli ultimi anni della sua vita, venne a conoscenza della psicoanalisi, gli parve di poter realizzare i suoi grandi desideri. Si assunse il compito di aiutare le masse con la psicoanalisi, di utilizzare le possibilità terapeutiche di questa scienza medica per alleviare la miseria nevrotica dei poveri. D’accordo con colui che era allora il sindaco della città, il dottor Stephan von Bárczy, destinò una somma alla fondazione a Budapest di un istituto psicoanalitico in cui l’analisi doveva essere praticata, insegnata e resa accessibile al popolo. Nelle sue intenzioni, l’Istituto aveva il compito di preparare all’esercizio della pratica psicoanalitica numerosi medici che avrebbero poi dovuto curare, e a spese dell’Istituto stesso, i nevrotici poveri. Inoltre l’Istituto avrebbe dovuto costituire un importante centro di ricerca per lo sviluppo scientifico della psicoanalisi. La prematura morte di von Freund ha troncato questi piani filantropici così promettenti per la scienza.
Associazione di idee di una bambina di quattro anni (1920)
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La bambina dice: “Se Emily si sposa, avrà un bambino.” E ancora: “Quando qualcuno si sposa, arriva sempre un bambino.” La bambina dice di sapere molte altre cose: “So anche che gli alberi crescono nella terra e che il buon Dio crea il mondo.” Quel che la bambina vuol dire è che i bambini crescono dentro la madre: sostituisce in modo simbolico la madre con la madre- terra. Nell’ultima affermazione, volendo comunicare un altro punto della sua conoscenza sull’origine dei bambini, dice: “So anche che tutto questo è opera del padre”, sostituendo il pensiero diretto con la sua corrispondente sublimazione, che Dio crea il mondo.
Estratto: Opere di Sigmund Freud (OSF) Vol 9. L’Io e l’Es e altri scritti 1917-1923, Torino, Bollati Boringhieri, 2000, (rist. 2006).