Totem e tabù: alcune concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici (1912-13)
- L’orrore dell’incesto
10-26
Gli aborigeni dell’Australia evitano con ogni cura e con la più scrupolosa severità i rapporti sessuali incestuosi. Tutta la loro organizzazione sociale sembra obbedire 0 quanto meno tendere a questo scopo. Le inesistenti istituzioni religiose e sociali sono sostituite dal sistema del totemismo. Il totem è di solito un animale oppure, più raramente, una pianta o un elemento naturale, legato a tutto il clan da un rapporto particolare. Quasi dovunque vige il totem, vige anche la legge che membri di uno stesso totem non possono avere rapporti sessuali e non possono quindi contrarre matrimonio tra di loro. La violazione del divieto viene vendicata con estremo rigore dall’intera tribù. L’esogamia connessa col totem ha conseguenze che vanno al di là della prevenzione dell’incesto con la madre e con le sorelle. Il divieto rende impossibile all’uomo anche l’unione sessuale con tutte le donne del suo clan, dal momento che egli le considera tutte sue consanguinee. L’esogamia totemica appare il mezzo adatto per prevenire l’incesto di gruppo. In una tribù australiana i dodici clan totemici sono sistemati in quattro sottofratrie e due fratrie. Tutte le sezioni sono esogame. In Melanesia i divieti restrittivi (che consistono nell'”evitare” certe persone) sono diretti contro i rapporti del ragazzo con la madre e le sorelle, e per questo il giovinetto abbandona la casa paterna. Conseguentemente, non le incontra all’aperto e neppure parla di loro. Costumi analoghi regnano nella Nuova Caledonia, nella Nuova Britannia, nella Nuova Meclemburgo, nelle isole Figi, a Sumatra. La misura di gran lunga più diffusa e rigorosa è quella che impone all’uomo di evitare ogni rapporto con la suocera. I popoli selvaggi sentono ancora i desideri incestuosi dell’uomo – destinati a cadere in seguito nella sfera dell’inconscio – come una minaccia incombente da cui considerano necessario difendersi con l’adozione di regole improntate al massimo rigore.
- Il tabù e l’ambivalenz emotiva
(1)
27-34
Con il tabù è connessa la nozione di una sorta di riserva: esso si esprime infatti essenzialmente in divieti e restrizioni. Le restrizioni derivanti dal tabù sono diverse dai divieti religiosi o morali. Wundt definisce il tabù come il più antico codice di leggi non scritte dell’umanità. La fonte del tabù – si ritiene – è una particolare forza magica che inerisce a persone e a spiriti, e da questi può essere irradiata attraverso la mediazione di oggetti inanimati. Vi sono tabù permanenti e tabù temporanei. Si direbbe che alla base di tutti questi divieti ci sia una sorta di teoria che li rende necessari, perché certe persone e certe cose posseggono una forza pericolosa che, quasi in virtù di un contagio, si trasmette per contatto all’oggetto. Anche la quantità di questa proprietà pericolosa entra in gioco. Ci sono persone o cose che ne posseggono in misura maggiore di altre, e il pericolo varia proprio in relazione a questa differenza. Chiunque abbia trasgredito uno di questi divieti acquista a sua volta il carattere della cosa proibita. “Tabù” è tutto ciò che, si tratti di persone o anche di località, di oggetti, di circostanze temporanee, è portatore e fonte di questa caratteristica misteriosa. A detta di Wundt, le fonti vere e proprie del tabù vanno ricercate più a fondo che non negli interessi dei ceti privilegiati: “esse sgorgano là dove hanno origine gli impulsi più primitivi e al tempo stesso più costanti dell’uomo, nel timore dell’azione di potenze demoniache”. La credenza – propria del tabù delle origini – in una potenza demoniaca celata nell’oggetto e il cui contatto provoca la vendetta sul colpevole mediante incantesimo, non è nient’altro che il timore oggettivato, il quale non si è ancora ramificato nelle due forme che assumerà in una fase più evoluta: venerazione e orrore. Ai primi inizi del tabù non esiste ancora, per Wundt, una distinzione tra “sacro” e “impuro”. “Tabù” perciò ha una connotazione comune sia al sacro che al profano: l’orrore di entrare in contatto.
(2)
Chi affronta il problema del tabù partendo dalla psicoanalisi, concluderà dopo breve riflessione che questi fenomeni non gli sono ignoti. La concordanza più immediata e vistosa tra i divieti ossessivi (negli individui nervosi) e i tabù consiste nel fatto che questi divieti sono, al pari dei tabù, immotivati e misteriosi per quanto concerne la loro origine. Il divieto principale ed essenziale delle nevrosi, come anche del tabù, è quello del contatto, da cui il nome paura del contatto. Un carattere proprio dei divieti ossessivi è un’eccezionale spostabilità. Al pari delle proibizioni derivanti dal tabù, i divieti ossessivi comportano enormi rinunce e restrizioni nella vita di coloro che vi si assoggettano, anche se parte di esse possono essere eliminate eseguendo determinate azioni che pure devono essere compiute e hanno carattere coatto; si tratta di azioni ossessive, che per la loro natura rientrano certamente negli atti punitivi e di espiazione, nelle misure di difesa e di purificazione. Un conflitto permanente tra divieto e pulsione è detto fissazione psichica. Il carattere principale di questa costellazione psicologica sta in ciò che si potrebbe definire il comportamento ambivalente dell’individuo verso un certo oggetto, anzi verso una certa azione che lo riguarda. La spostabilità del tabù è il riflesso della tendenza – accertata nella nevrosi – della pulsione inconscia a spostarsi per via associativa su oggetti sempre nuovi. Se la violazione di un tabù può essere riparata grazie a un’espiazione o a una penitenza, che significano poi rinuncia a un qualche bene o a una qualche libertà, è dimostrato che il rispetto della prescrizione del tabù era esso stesso una rinuncia a qualcosa di desiderabile. Riepilogando: il tabù è un antichissimo divieto imposto dall’esterno (da un’autorità) e diretto contro le brame più intense degli uomini. La voglia di violare il tabù permane nel loro inconscio. Gli uomini che rispettano il tabù hanno un atteggiamento ambivalente verso ciò che è colpito da tabù.
(3)
Il trattamento dei nemici
43-49
Anche presso i popoli selvaggi e semiselvaggi l’uccisione di un uomo obbliga al rispetto di una serie di prescrizioni, classificate tra gli usi imposti dal tabù. Queste prescrizioni si possono agevolmente distinguere in quattro gruppi: 1) la riconciliazione con il nemico ucciso; 2) alcune limitazioni; 3) pratiche espiatorie, purificazione dell’uccisore; 4) determinate misure cerimoniali. Da tutte queste prescrizioni noi deduciamo che nel comportamento verso i nemici si esprimono anche altri impulsi oltre a quelli esclusivamente ostili. Scorgiamo espressioni di pentimento, di stima per il nemico, di cattiva coscienza per averlo privato della vita. Nell’interpretazione corrente di tutte queste prescrizioni circa la riconciliazione, la limitazione, l’espiazione e la purificazione si intrecciano due princìpi: l’estensione del tabù dal morto a tutto ciò che è venuto in contatto con lui, e il timore dello spirito dell’ucciso. Quel che preme sottolineare è l’unitarietà della concezione psicoanalitica, che fa derivare tutte queste prescrizioni dall’ambivalenza emotiva nei confronti del nemico.
Il tabù dei sovrai
49-59
Il comportamento dei popoli primitivi verso i loro capi, re e sacerdoti è retto da due princìpi. Non solo un sovrano dev’essere difeso, ma bisogna difendersene. Bisogna guardarsi dai sovrani perché sono portatori di quella misteriosa e pericolosa forza magica che si trasmette per contatto come una carica elettrica e arreca morte e rovina a colui che non sia a sua volta protetto da una carica analoga. La necessità di proteggere il re da tutti i pericoli possibili e immaginabili deriva dall’estrema importanza che egli ha per i suoi sudditi. Il cerimoniale tabù dei re è apparentemente il massimo degli onori e della protezione loro accordati; propriamente, invece, è la punizione per tale elevazione, la vendetta che i sudditi si prendono su di loro. La diffidenza, il cui concorso appare innegabile nella motivazione dei tabù regali, sarebbe un’espressione di ostilità inconscia. Un esempio tra i più stridenti del soffocamento e della paralisi di un sacro sovrano ottenuta attraverso il cerimoniale dei tabù, è stato trovato nel modo di vivere del Mikado del Giappone nei secoli passati. Alcuni tabù ai quali sono sottoposti re barbarici richiamano sorprendentemente le restrizioni imposte agli assassini. Il cerimoniale tabù non solo isola i re e li innalza al di sopra di tutti i comuni mortali, ma trasforma la loro esistenza in un tormento e in un peso insopportabile, costringendoli a una servitù assai più penosa di quella dei loro sudditi.
59-80
Il tabù dei morti (4)
Il tabù dei morti mostra una particolare virulenza presso quasi tutti i popoli primitivi. Si manifesta anzitutto nelle conseguenze che porta con sé il contatto con il morto, e nel trattamento di quanti sono in lutto per lui. I costumi tabù che conseguono al contatto fisico con i cadaveri sono uguali in tutta la Polinesia e la Melanesia e in parte dell’Africa: l’elemento costante è il divieto di toccare cibo e la conseguente necessità di farsi imboccare. Sostanzialmente analoghe sono le limitazioni tabù cui soggiacciono le persone il cui contatto con i morti va inteso in senso traslato. Uno degli usi più singolari, ma anche più istruttivi, connessi con il tabù del lutto presso i primitivi è il divieto di pronunciare il nome del defunto, poiché il nome per i selvaggi è una parte essenziale e un patrimonio importante della personalità. I nevrotici ossessivi si comportano, per quanto riguarda i nomi, nello stesso identico modo dei selvaggi. I selvaggi non fanno mistero del loro timore per la presenza e il ritorno dello spirito del defunto. Si suppone che l’amato membro della famiglia diventi, nell’atto stesso della sua morte, un demone dal quale i superstiti non possono aspettarsi che ostilità e dalle cui brame malvage debbono difendersi con ogni mezzo. Si scorge l’ambivalenza delle emozioni umane là dove la persona in lutto si autorimprovera per la morte dell’amato e per l’inconscia soddisfazione provata per quella morte. L’intelligenza del fenomeno del tabù permette di far luce sull’origine della coscienza morale: è probabile che la coscienza morale nasca, sulla base di un’ambivalenza emotiva, da relazioni umane ben precise a cui questa ambivalenza è connessa e nelle condizioni proprie sia del tabù sia delle nevrosi ossessive; uno dei due elementi emotivi contrastanti è cioè inconscio e tenuto in stato di rimozione dall’altro elemento coattivamente dominante. I primitivi temono che violare un tabù provochi una punizione per il trasgressore; nella nevrosi ossessiva la situazione è diversa: se il malato fa qualcosa che gli è proibito, il suo timore è che la punizione non colpisca lui stesso ma un’altra persona. Ciò che realmente accade nel secondo caso è che l’originario desiderio della morte di una persona cara è sostituito dall’angoscia che essa possa morire, e la nevrosi non fa che compensare in tal modo l’opposto atteggiamento di base, ispirato a un brutale egoismo. Le nevrosi sono formazioni asociali; cercano di ottenere con mezzi individuali ciò che nella società si produce attraverso un lavoro collettivo. I divieti del tabù, come i sintomi nevrotici, hanno questo duplice senso.
- Animismo, magia e onnipoteza dei pesieri
(1-2)
81-91
L’umanità ha dato origine nel corso dei tempi a tre sistemi di pensiero, a tre grandi concezioni del mondo: la concezione animistica (mitologica), la concezione religiosa e la concezione scientifica. La prima a sorgere è stata quella animistica. Per la psicoanalisi non è possibile supporre che gli uomini si siano impegnati nella creazione del loro primo sistema universale per una pura brama speculativa di sapere. Il bisogno pratico di assoggettare il mondo deve aver avuto la sua parte in questo sforzo. Insieme con il sistema animistico procedono infatti un insieme di istruzioni intese a padroneggiare uomini, animali e cose, o meglio i loro spiriti. Queste istruzioni, note con i nomi di “incantesimo” e “magia”, si possono considerare le tecniche dell’animismo. L’incantesimo è sostanzialmente l’arte di influire sugli spiriti, trattandoli per così dire alla stessa stregua degli uomini, ossia placandoli, conciliandoseli, propiziandoseli, intimidendoli, privandoli del loro potere, sottomettendoli alla propria volontà ecc. La magia invece è una cosa diversa: essa prescinde in fondo dagli spiriti e si avvale di mezzi particolari, non dei comuni metodi psicologici. La magia deve servire agli scopi più disparati: assoggettare alla volontà dell’uomo i fenomeni naturali, difendere l’individuo da nemici e pericoli, conferigli il potere di danneggiare i suoi nemici. Una delle procedure magiche più diffuse per danneggiare un nemico consiste nel farsi un’effigie di lui con un materiale qualsiasi; da quel momento, quel che viene fatto all’immagine accade anche all’odiato originale. Si può ricorrere anche a un altro procedimento: ci si impadronisce dei capelli del nemico, delle sue unghie, di ciò che egli butta via o perfino di parte delle sue vesti, e si compie un atto ostile contro questi oggetti. Il principio che regge la magia, la tecnica del modo di pensare animistico, è quello della “onnipotenza dei pensieri”.
(3-4)
91-104
La persistenza dell’onnipotenza dei pensieri (eventi strani e perturbanti che sembrano perseguitare il malato) si presenta con la massima chiarezza nel caso della nevrosi ossessiva. Le azioni ossessive di questi nevrotici sono di natura assolutamente magica. Presso i primitivi il pensiero è ancora in larga misura sessualizzato; è quasi ovvio porre in rapporto con il narcisismo l’alto valore che l’uomo primitivo e il nevrotico attribuiscono alle azioni psichiche, e concepire tale atteggiamento come una componente essenziale del narcisismo stesso. L’onnipotenza dei pensieri si è conservata nella nostra civiltà soltanto in un ambito, quello dell’arte. L’animismo, la prima immagine del mondo alla quale l’uomo è approdato, era psicologico. La tecnica dell’animismo, la magia, ci mostra nel modo più chiaro e allo stato più genuino l’intenzione di imporre le leggi della vita psichica alle cose reali; non è affatto necessario che gli spiriti svolgano una qualche funzione in questa tecnica, anche se possono essere assunti a oggetto di trattamento magico. Spirito e dèmoni non sono che le proiezioni degli impulsi emotivi dell’uomo primitivo, che trasforma i propri investimenti affettivi in personaggi con i quali popola il mondo, e ritrova poi al di fuori di sé i propri processi psichici interni. La creazione degli spiriti sorgerebbe dunque dalle prescrizioni del tabù. Presso i primitivi la superstizione non è necessariamente l’unica o l’autentica motivazione di un particolare costume o prescrizione e non dispensa dall’obbligo di cercarne le ragioni nascoste. Quando predomina un sistema animistico, è inevitabile che ogni prescrizione e ogni attività riceva una giustificazione sistematica, che noi oggi chiamiamo “superstiziosa”.
- Il ritorno del totemismo nei bambini
(1)
105-12
Un totem è una categoria di oggetti materiali alla quale il selvaggio testimonia un rispetto superstizioso perché crede che esista tra la propria persona e ogni membro della categoria un profondo e particolarissimo rapporto. Possiamo distinguere almeno tre tipi di totem: 1) il totem del clan, che appartiene a un intero clan e si trasmette ereditariamente da una generazione all’altra; 2) il totem del sesso, che appartiene a tutti i maschi o a tutte le femmine di una tribù, con esclusione, in entrambi i casi, dell’altro sesso; 3) il totem individuale, che appartiene a una singola persona e non si trasmette ai suoi discendenti. Il clan si attende dal suo totem protezione e attenzioni. La comparsa del totem nei pressi di una casa è spesso considerata un annuncio di morte. In diverse circostanze significative il membro del clan cerca di sottolineare la sua parentela con il totem rendendosi esteriormente simile a lui, celandosi nella pelle dell’animale totemico, tatuandosene l’immagine ecc. L’aspetto sociale del totemismo si esprime anzitutto in un comandamento rigorosamente osservato e in una restrizione imponente. I membri di un clan totemico sono fratelli e sorelle, in dovere di aiutarsi e di proteggersi a vicenda. La corrispondente restrizione tabù consiste nel divieto imposto ai membri di uno stesso clan totemico di sposarsi tra loro e di avere un qualsiasi rapporto sessuale all’interno del clan. Se si vuole giungere a caratterizzare il totemismo originario, emergono i seguenti tratti essenziali: tutti i totem erano in origine animali, ed erano considerati gli antenati delle singole tribù; il totem si ereditava soltanto per linea materna; era proibito uccidere il totem; era proibito ai membri di uno stesso clan totemico avere rapporti sessuali tra loro.
(2) L’origine del totemismo; L’origine dell’esogamia
112-31
Le teorie sull’origine del totemismo si possono suddividere all’interno dei seguenti tre gruppi: a) teorie nominalistiche; b) teorie sociologiche; c) teorie psicologiche. Alcune interpretazioni del totemismo sono prive di qualsiasi legame con l’esogamia, così che le due istituzioni risultano nettamente disgiunte. Vi sono due concezioni opposte: una vuol mantenere la presunzione originaria che l’esogamia sia una componente essenziale del sistema totemistico, l’altra nega l’esistenza di tale legame e crede che la simultanea presenza di questi due tratti caratteristici delle civiltà più antiche sia puramente casuale. La maggior parte degli autori sono inclini a considerare il totemismo più antico dell’esogamia. Si deve lasciar cadere l’interpretazione che vede nell’orrore dell’incesto un istinto innato: non solo il divieto dell’incesto risalirebbe a epoche più remote dell’addomesticamento degli animali, che avrebbe consentito agli uomini di sperimentare gli effetti della riproduzione tra consanguinei sui caratteri razziali, ma le conseguenze dannose di tale unione non sono state chiarite definitivamente ed è assai difficile verificarle nella specie umana.
(3-4)
131-44
Il rapporto tra il bambino e l’animale è molto simile a quello tra l’uomo primitivo e l’animale. Nell’eccellente intesa tra il bambino e l’animale compare non di rado un singolare elemento di disturbo. Il bambino comincia improvvisamente a temere una determinata specie di animali e a proteggersi dal contatto o dalla vista di tutti gli animali appartenenti a quella specie. Ciò è dovuto a uno spostamento sugli animali della paura dei genitori. L’analisi mostra le vie associative, sia dense di significato sia casuali, lungo le quali procede questo spostamento. Si può dire che nelle zoofobie infantili riappaiono, al negativo, alcuni tratti caratteristici del totemismo. Se l’animale totemico è il padre, i due comandamenti fondamentali del totemismo, le due prescrizioni tabù che ne costituiscono il nucleo – non uccidere il totem e non avere rapporti sessuali con una donna appartenente allo stesso totem – coincidono quanto a contenuto con i due delitti di Edipo, che uccise il padre e prese in moglie la madre, o con i due desideri primordiali del bambino, la cui insufficiente rimozione o il cui ridestarsi formano forse il nucleo di tutte le psiconevrosi. L’uccisione sacramentale e la consumazione collettiva dell’animale totemico, altrimenti proibite, sono un elemento importante della religione totemica.
(5-6)
144-58
La festa è un eccesso permesso, anzi offerto, l’infrazione solenne di un divieto. L’eccesso è nella natura stessa della festa; I’umore festoso è provocato dalla libertà di fare ciò che altrimenti sarebbe proibito. I membri del clan, consumando il totem, si santificano. La psicoanalisi ci ha rivelato che l’animale totemico è realmente il sostituto del padre: si accorda con questa scoperta la circostanza contraddittoria per cui l’uccisione dell’animale, altrimenti proibita, assurge a occasione festosa, e tuttavia l’animale viene ucciso e addirittura compianto. La psicoanalisi ci spinge a postulare la stretta connessione e l’origine contemporanea di totemismo ed esogamia. L’antico pasto totemico ricorre nella forma originaria del sacrificio. Si suppone che lo stesso dio fosse l’animale totemico, sviluppatosi dall’animale in una fase successiva del sentimento religioso. In seguito l’animale perde la sua sacralità, e il sacrificio perde la relazione con la festa totemica: diventa una semplice offerta alla divinità, una rinuncia a favore del dio. Possiamo seguire attraverso i tempi l’identità del pasto totemico con il sacrificio animale, il sacrificio degli dei umani incarnati e l’Eucarestia cristiana, e riconoscere in tutte queste solennità la conseguenza del crimine che ha tanto oppresso gli uomini e del quale tuttavia essi dovettero andare così superbi. Ma la Comunione cristiana è in fondo una nuova eliminazione del padre, una ripetizione dell’azione da espiare.
(7)
158-64
Un evento come l’eliminazione del progenitore ad opera della schiera dei fratelli doveva lasciare tracce incancellabili nella storia dell’umanità e finire con l’esprimersi attraverso tramiti sostitutivi tanto più numerosi quanto meno il fatto era ricordato come tale. Gli inizi della religione, della moralità, della società e dell’arte convergono nel complesso edipico, in piena concordanza con ciò che la psicoanalisi ha stabilito, cioè che questo complesso costituisce il nucleo di tutte le nevrosi di cui si è riusciti a penetrare la natura. Pare che i problemi della vita psichica si siano dimostrati risolvibili a partire da un unico punto concreto: il rapporto con il padre. Non può essere sfuggito a nessuno che noi procediamo dall’ipotesi di una psiche collettiva. In particolare, facciamo sopravvivere per molti millenni il senso di colpa causato da un’azione, e lo manteniamo operante per generazioni e generazioni, che di questa azione non possono aver avuto nozione alcuna. Senza l’ipotesi di una psiche collettiva, la psicologia dei popoli non potrebbe sussistere. Un’altra perplessità potrebbe venir sollevata proprio da parte di chi ragiona in base alla psicoanalisi. Le prime prescrizioni e restrizioni morali della società primitiva sono state spiegate come reazione a un atto che ha fornito ai suoi promotori il concetto di crimine. Essi provarono rimorso per questa azione e decisero che non dovesse più ripetersi. Questo senso creativo della colpa esiste tuttora tra noi.
Estratto: Opere di Sigmund Freud (OSF) Vol 7. Totem e tabù e altri scritti 1912-1914, Torino, Bollati Boringhieri, 2000.