L’evento dell’uccisione di un progenitore ad opera dei fratelli dovette lasciare tracce indelebili nella storia dell’umanità. Tale evento finì, ipotizza Freud, con l’esprimersi attraverso dei mezzi sostitutivi che erano tanto più numerosi quanto meno era la consapevolezza e il ricordo del fatto in quanto tale. Le origini della religione, della società, della morale e dell’arte confluiscono nel complesso edipico. La psicoanalisi ha scoperto che questo complesso è alla base di tutte le nevrosi. I problemi della vita psichica si sono dimostrati curabili se venivano affrontati a partire dalla questione del rapporto con il padre. Freud sembra avallare l’ipotesi di una psiche collettiva, di una storia psichica comune a tutto il genere umano. In particolare egli sostiene che l’umanità ha fatto sopravvivere per millenni il senso di colpa generato da quella azione cruenta contro il padre. Tale senso di colpa si è mantenuto operante tra una generazione e l’altra, anche in chi di quell’azione non ha potuto avere alcuna nozione. L’ipotesi quindi di una “psiche collettiva”, sembra essere la condicio sine qua non, per l’esistenza di una psicologia dei popoli. Da un punto di vista psicoanalitico, si potrebbe dire che le prime regole e le prime restrizioni morali dei popoli primitivi sono state concepite come reazione ad un’azione che ha consentito, ai promotori di quell’atto, di formulare e di venire in possesso del concetto stesso di crimine. Essi hanno provato pentimento per questa azione ed hanno deciso che mai più si sarebbe dovuta ripetere. Ancora oggi, dice Freud, tra noi esiste questo senso creativo della colpa.