Fonte: A. Tarski, Truth and Proof, trad. it. in E. Casari, La filosofia della matematica del ‘900, Sansoni, Firenze, 1973, pagg. 79-83
A questo scopo dobbiamo analizzare quei tratti caratteristici del linguaggio comune che sono la fonte reale dell’antinomia del mentitore. Nel corso di questa analisi colpisce subito un aspetto notevole del linguaggio in questione: il suo carattere universale, onnicomprensivo. Il linguaggio comune è universale, né deve altrimenti, giacché ci si aspetta che esso fornisca i mezzi adeguati a esprimere ogni cosa che possa essere espressa, in un qualsivoglia linguaggio; esso si arricchisce di continuo per soddisfare tale requisito. In particolare il linguaggio comune è semanticamente universale nel senso seguente: accanto agli oggetti linguistici, come proposizioni e termini, che sono componenti del linguaggio, in esso sono presenti anche i nomi di tali oggetti (come sappiamo, un nome di un’espressione si può ottenere ponendo l’espressione fra virgolette); inoltre, il linguaggio contiene termini semantici quali “verità”, “nome”, “designazione” che, direttamente o indirettamente, si riferiscono alla relazione fra gli oggetti linguistici e ciò che essi esprimono. Di conseguenza, per ogni proposizione formulata nel linguaggio comune, possiamo formarne nello stesso linguaggio un’altra, la quale esprima che la prima proposizione è vera o falsa. Con un ulteriore espediente, possiamo perfino costruire nel linguaggio ciò che talvolta vien detta una proposizione autologa, cioè una proposizione S che esprime il fatto che S stessa è vera o che è falsa. Se S esprime la propria falsità, si può dimostrare con un semplice ragionamento che S è contemporaneamente vera e falsa, e cosí ci troviamo di fronte l’antinomia del mentitore.