La sofferenza emotiva per la MCT è causata da esperienze interiori riconducibili ad uno specifico pattern che Wells definisce Cognitive Attentional Syndrome: Sindrome Cognitivo-Attentiva[1]. La CAS consiste nel pensare eccessivamente a ciò che accadrà (rimuginare), o a ciò che è accaduto (ruminare), focalizzando l’attenzione su stati somatici e usando strategie di coping o di autoregolazione disfunzionali. Di nuovo, non sono i pensieri negativi il problema ma il modo in cui vi si reagisce, il modo in cui si getta benzina sul fuoco.
La Metacognitive Therapy si fonda sull’assunto che la metacognizione costituisce la base per le nostre valutazioni e per le strategie che mettiamo in atto per modulare i pensieri e le emozioni.
Se la CBT e la REBT considerano la sofferenza psicologica come effetto di pensieri disfunzionali. La MCT, pur essendo in accordo con questa tesi, attribuisce le cause a un particolare stile cognitivo e a certe specifiche credenze non messe a tema dalla CBT e REBT.
In particolare, per la MCT non sono tanto le distorsioni cognitive il fulcro del disagio psichico ma il CAS, ovvero l’eccessivo indugiare su pensieri verbali sotto forma di rimuginii e ruminazioni.
Il paziente tende a focalizzare l’attenzione sulla minaccia. Quindi la MTC invece lavorare sulle credenze concernenti sé stessi, gli altri, il mondo o il futuro, si focalizza sulle credenze riguardanti i pensieri: le credenze metacognitive.
Sia la REBT sia la TCC affermano che la sofferenza psichica non sia causata dagli eventi ma piuttosto da come essi vengono interpretati, ossia dal significato attribuito alle esperienze, generalmente, derivato da una visione distorta di sé e del mondo; l’approccio terapeutico consiste nel sostenere il paziente affinché possa modificare il contenuto del proprio pensiero.
La MCT invece sostiene che la sofferenza psichica sia dovuta piuttosto dal modo di pensare, spesso inflessibile e ridondante, che si presenta in risposta alla comparsa di pensieri e stati somatici. Da questo punto di vista, la MCT si focalizza sulla “rimozione”[2] degli stili di pensiero disfunzionali. L’idea di fondo è questa: è possibile modificare un contenuto cognitivo inadeguato solo se questo viene affrontato a livello metacognitivo.
Se per esempio una persona depressa pensa “Sono inutile”, il terapeuta MCT invece di intervenire sul contenuto (distorto, irrazionale, disfunzionale…) di questo pensiero che la maggior parte delle persone ha con conseguente e transitoria deflessione dell’umore, pensiero che dopo un po’, spontaneamente svanisce e va via, interviene sul modo in cui il soggetto risponde sia al pensiero che allo stato somatico conseguente, la MCT interviene cioè sulla metacognizione alla base dei stili cognitivi caratterizzati da un vero e proprio vortice di autovalutazioni negative, frequenti e insistenti. La MCT agisce sugli aspetti che causano la ripetitività del pensiero e le strategie disfunzionali con le quali si affrontano i propri vissuti interni. Quindi, ancora, se la CBT considera errate, distorte le valutazioni di un certo evento, effetto di credenze di base del tipo “Il mondo è un posto pericoloso” oppure “Sono sbagliato”, la MCT considera queste credenze come effetto della metacognizione che genera schemi attentivi e di pensiero che spingono il soggetto a indugiare sue queste idee.
La MCT non ritiene che le credenze di base siano unità fisse, stabili che debbano essere modificate o corrette ma li considera come generati dal processo cognitivo stesso, ovvero dalla metacognizione e quindi è su questa che è necessario convogliare le energie per il trattamento terapeutico.
Ci sono un numero considerevole di persone che hanno delle idee distorte di sé e sul mondo, queste sono causate da credenze negative circa il sentirsi, per esempio, un fallimento. Chi pensa cose del genere non per forza svilupperanno un disturbo depressivo, la MCT cambia prospettiva: la maggior parte delle persone pensa cose di questo tipo ma ciascuno di esse vi reagisce in modo diverso a seconda del proprio stile cognitivo, ossia delle proprie metacognizioni.
La gran parte di noi ha in qualche specifica fase della propria vita pensato di essere un fallimento. Per alcuni questo pensiero avrà rinnovato il desiderio di impegnarsi e darsi una mossa per avanzare nella vita in altri invece ha elicitato catene di pensieri negativi e ruminazione in merito ai fallimenti e alla propria incapacità.
L’ipotesi di Wells è che ci sia uno specifico pattern di risposta cognitivo ed emotivo:
“I have proposed that the mechanism is metacognition, that aspect of cognition that controls the way a person thinks and behaves in response to a thought, belief, or feeling.”[3]
Nel caso del soggetto depresso quindi possiamo ipotizzare che il suo pensiero sia prodotto da credenze metacognitive del tipo: “Se penso ai miei fallimenti e analizzo il perché mi siano capitati, sarò una persona migliore”. Purtroppo, la ruminazione, produce esattamente l’effetto contrario e il soggetto continuerà a sentirsi una fallito.
L’approccio clinico della MCT comporta che il trattamento non si focalizzi tanto sulla veridicità o disfunzionalità dei pensieri e delle credenze ma piuttosto sul modificare il modo in cui un soggetto risponde a queste idee (“how a person responds to these ideas.”), quindi, il trattamento si sposta sui processi cognitivi e le metacognizioni abbandonando l’analisi delle prove e controprove o la messa in evidenza dell’irrazionalità delle credenze, ossia dei contenuti cognitivi (es. “Sono un fallimento”). “The only exception occurs when the products themselves are metacognitions, as in the form of worry about worry (e.g., “Worrying will harm me”)[4].
Sarà Adrian Wells il primo ha evidenziare come la maggior parte dei disturbi psicologici possono dipendere dalla metacognizione[5] [6]
Con il costrutto “credenze cognitive” (“metacognitive knowledge”) Wells indica le idee, le teorie che ciascuno ha in merito al contenuto dei propri pensieri (es. Avere certi pensieri mi danneggerà). Secondo la MTC ci sono due tipi di credenze metacognitive: esplicite (dichiarative) e implicite (procedurali)[7].
La credenza esplicita può essere espressa verbalmente: es. “Se mi preoccupo potrei avere un infarto”, “Se ho così tanti pensieri negativi significa che ho qualche disturbo grave”, “Se mi concentro sul pericolo sarò in grado di evitare il danno”. La credenza implicita è una regola che guida il pensiero, cioè orienta il modo in cui focalizziamo la nostra attenzione, facciamo le ricerche nella nostra memoria, l’uso delle euristiche per emettere giudizi. In sintesi, è lo stile di pensiero.
La MTC definisce anche due possibili valenze che queste credenze possono assumere: negative o positive. Le credenze metacognitive positive concernono i benefici o vantaggi presunti ottenibili da una certa attività cognitiva rappresentata dal CAS (es. “è utile concentrarsi sulla minaccia, se mi preoccupo del futuro riuscirò a evitare il pericolo”).
Le credenze metacognitive negative riguardano l’incontrollabilità, la pericolosità e l’importanza dei pensieri e delle esperienze cognitive: es. “Non riesco a controllare i miei pensieri”, “Continuare a preoccuparmi mi farà impazzire”, “Se ho questi pensieri significa che sono sbagliato”, “Se penso queste cose significa che sono malato”.
L’obiettivo della MCT è quello di raggiungere un equilibrio cognitivo ed emotivo mediante l’uso di strategie metacognitive efficaci.
Alcuni soggetti tendono a convogliare l’attenzione su una minaccia perché pensano che così facendo saranno più pronti ad affrontare il pericolo. La sensazione di “perdere il controllo” spesso è insostenibile ed ecco che le strategie metacognitive orientano verso un controllo rigido dei pensieri che a lungo andare diventa disfunzionale: eliminare certi pensieri, ripensare e analizzare le proprie esperienze per trovare delle risposta, provare a predire cosa accadrà in futuro.
Wells sottolinea come i pensieri e le credenze siano spesso vissuti come percezioni, ovvero allo stesso modo in cui si sente il ticchettio di un orologio o si vedono cadere i fiocchi di neve sui tetti[8]. È possibile vivere queste cognizioni diversamente, ossia riconoscendo i pensieri e le sensazioni per quello che sono e non considerandoli «as the actual world itself»[9], e non come una rappresentazione del mondo in quanto tale. Infatti, generalmente, secondo Wells, i pensieri e le credenze non vengono considerati eventi interni ma si fondono con la realtà. Questo specifico modo di esperire la realtà, in cui i non si riescono a distinguere i pensieri e le credenze dalle conoscenze dirette di sé e del mondo è definito modo oggetto (object mode): dove gli eventi interni ed esterni non si distinguono, sono indifferenziati.
Il modo metacognitivo (metacognitive mode), di contro invece consentirebbe di esperire i pensieri e credenze come eventi separati da sé e dal mondo, cioè come rappresentazioni che possono avere un grado variabile di accuratezza.
Il modo metacognitivo consentirebbe di fondare una nuova relazione coi propri pensieri, come se facessero parte di “of a greater multifaceted landscape of conscious experience”[10].
Il modo metacognitivo, nell’ambito della MCT, non richiede il lavoro di identificazione e confutazione dei pensieri negativi o di sfida delle credenze irrazionali o delle inferenze non basate sull’evidenza, esso rappresenta un modo diverso di relazionarsi con le esperienze interiori, a prescindere dal fatto che esse rappresentino in modo accurato o non il mondo esterno.
Il modo metacognitivo propone la “detached mindfulness“[11] dove per “mindfulness” si intende il fatto di riuscire ad avere una consapevolezza oggettiva dei (“objective minfulness”) dei pensieri e delle credenze e “detached” indica invece due fattori: “(1) the disengagement of any conceptual or coping-based activity in response to the thought and (2) separating the conscious experience of self from the thought. This latter factor consists of the individual becoming aware of being the perceiver of the thought and separate from the thought itself.”[12].
La MCT, come abbiamo già detto, si fonda sul principio che i disturbi psicologici siano correlati all’attivazione di un particolare stile di pensiero: il CAS si caratterizza per uno stile di pensiero perseverante che si esprime attraverso rimuginio, ruminazione, focalizzazione dell’attenzione sulla minaccia, comportamenti di coping inefficaci e disfunzionali (es. soppressione del pensiero, evitamento…). Il CAS si sostanzia di due tipi di credenze: 1) quelle positive, es. “se mi preoccupo dei miei sintomi, non perderò nulla di importante”, 2) quelle negative relative all’incontrollabilità, le pericolosità o importanza dei pensieri e delle emozioni (es. “Non ho il controllo della mia mente; la mia ansia può farmi impazzire”)[13].
Secondo il modello della MCT, la sofferenza psicologica consta di pattern di pensiero difficili da tenere sotto controllo con caratteristiche di ripetitività, rimuginazione, ruminazione che si focalizzano su questioni riguardando se stessi. Ecco in cosa consiste il CAS: aumento dell’attenzione rivolta versi di sé. Preoccupazioni, ruminazione, lunghe catene di pensiero in forma verbale: “E se…? “, “Perché mi sento così?” e bias attentivi che orientano l’attenzione sugli stimoli collegati alla minaccia. In questo caso Wells parla di “monitoraggio delle minaccia”, “threat monitoring”[14].
In sintesi, il modello MCT propone una visione diversa dalla REBT e dalla TCC per quanto riguarda i disturbi psicologici. La loro causa è da attribuire al CAS che ingenera un’idea negativa di riferita a sé stessi e un senso generale di minaccia. Esso si attiva grazie alle credenze metacognitive positive e negative.
Se applichiamo i fondamenti teorici della MCT al modello ABC che abbiamo visto nella REBT e che viene usato anche nella TCC, appaiono evidenti le differenze.
Nel modello classico della ABC abbiamo visto che A rappresenta l’evento che attiva un pensiero o una credenza irrazionale B che a sua volta causa la reazione emotiva e comportamentale disfunzionale (sofferenza psichica). Questo è il modello che in sostanza può essere riconducibile sia alla REBT che alla TCC.
A | B | C |
Evento attivante | Pensieri automatici negativi e credenze irrazionali | Emozione negativa e comportamento disfunzionale |
Sono Sola | Le cose non cambieranno | Tristezza, disperazione… |
La MCT rifonda il modello ABC a partire dalle credenze metacognitive M e sostituendo l’evento attivante (o situazione) con un’esperienza interna che può essere un pensiero negativo o una credenza irrazionale. Questo nuovo modello viene denominato AMC[15].
Questo modello inizia con un evento attivante interno, cognitivo invece che esterno e la componente M rappresenta le credenze metacognitive e il CAS. I Pensieri automatici negative, le credenze irrazionali sono valutati e influenzati dai processi cognitivi.
[1] A. Wells, Metacognitive Therapy for Anxiety and Depression (Pbk. ed.). New York, Guilford Press, 2011.
[2] “It focuses on removing”, A. Wells, Metacognitive Therapy for Anxiety and Depression (Pbk. ed.). New York, NY: Guilford Press, 2011, p. 3
[3] A. Wells, Metacognitive Therapy for Anxiety and Depression (Pbk. ed.), New York, Guilford Press, 2011, p. 4.
[4] Ibidem [ L’unica eccezione si ha quando i contenuti stessi sono metacognizion, ad esempio quando questi assumono la forma di “preoccupazioni riguardo alla preoccupazione stessa” (“Preoccuparmi sarà dannoso per me”).
[5] Lo studio della metacognizione è iniziato nell’ambito della psicologia dello sviluppo, psicologia della memoria, dell’invecchiamento e neuropsicologia: A. L. Brown, Knowing when, where, and how to remember: A problem of metacognition. In R. Glaser (Ed.), Advances in instructional psychology, 1978, (pp. 367–406). Hillsdale, NJ: Erlbaum.; J. H. Flavell, Metacognition and metacognitive monitoring: A new area of cognitive–developmental inquiry. American Psychologist, 1979, 34, 906–911.; J. Metcalfe, A. P. Shimamura, Metacognition, Cambridge, MIT Press, 1994.
[6] A. Wells, M. Gerald, Attention and Emotion: A Clinical Perspective. Hove, UK, Erlbaum, 1994; A. Wells, Meta–cognition and worry: A cognitive model of generalised anxiety disorder, Behavioural and Cognitive Psychotherapy, 1995, 23, 301–320.; A. Wells, Emotional disorders and metacognition: Innovative cognitive therapy, Chichester, Wiley, 2000.
[7] A. Wells, G. Matthews, Attention and Emotion: A Clinical Perspective, Hove, Erlbaum, 1994; A. Wells, Emotional disorders and metacognition: Innovative cognitive therapy, Chichester, Wiley, 2000.
[8] Cfr. A. Wells, Metacognitive Therapy for Anxiety and Depression (Pbk. ed.), New York, Guilford Press., 2011, pp 7-8.
[9] Ivi, p. 8.
[10] “un panorama multisfaccettato di esperienze consce” (Ibidem).
[11] A. Wells, G. Matthews, Attention and Emotion: A Clinical Perspective, Hove, Erlbaum, 1994.
[12] Ibidem, [1) disimpegnarsi da ogni attività concettuale o di coping in risposta al proprio pensiero e 2) riuscire a separare la rappresentazione consapevole di sé dal pensiero stesso. Quest’ultimo fattore è legato al fatto che se la persona capisce di essere soltanto colei che sperimenta il pensiero, riesce anche a prendere le distanze]
[13] A. Wells, Metacognitive Therapy for Anxiety and Depression (Pbk. ed.), New York, Guilford Press., 2011, p. 10.
[14] Ivi, p. 11.
[15] Ivi, p. 18.