Al centro del discorso nel Seminario X si pone la questione dell’oggetto a, e vi si pone in un seminario che ha come tema centrale l’angoscia, proprio perché per Lacan l’angoscia è la “traduzione soggettiva”[1], la sola, dell’a.
In questo Seminario assistiamo ad una vera e propria rettifica dello statuto dell’oggetto a: “L’oggetto a non è da situare in nulla di analogo all’intenzionalità di una noesi. […] tale oggetto deve essere concepito come la causa desiderio. […] l’oggetto è dietro il desiderio.”[2] E poi ancora “là dove voi dite io, è proprio lì, per l’esattezza, che a livello dell’inconscio si situa a”[3]. L’oggetto a è il nocciolo duro di cui parla Freud, la riserva ultima, irriducibile della libido.
Se cerchiamo di leggere nell’Altro di che cosa si tratta quando parliamo di oggetto del desiderio, lì troviamo una x, troviamo una mancanza. L’oggetto a è mancante e lo troviamo “lì” “dove il soggetto si costituisce nel luogo dell’Altro, vale a dire il più lontano possibile, al di là persino di quello che può apparire nel ritorno del rimosso”[4]. È lì che si struttura l’irriducibile dell’ignoto, dove si colloca ciò che nella sua concezione lacaniana di transfert, è denominato con il termine agalma.
È questo posto vuoto a cui si punta nel transfert, il posto delimitato dalla materializzazione nell’immagine, è un bordo, un’apertura, una faglia beante, l’immagine speculare che mostra il proprio limite: questo è il luogo per eccellenza dell’angoscia. La finestra, prediletta da alcuni suicidi melanconici, che si apre, che contorna un limite nel mondo immaginario del riconoscimento, è fenomeno di bordo. Questa incorniciatura, questa apertura la troviamo in due luoghi fondamentali: nel bordo dello specchio e nel segno del punzone, ◊. Questo bordo è il luogo dell’angoscia.
L’oggetto piccola a è isolato a partire dall’Altro, è nel rapporto del soggetto con
l’Altro che si costituisce come resto. Se il
soggetto barrato $ si costituisce nel
luogo dell’Altro come marchio del significante, l’esistenza dell’Altro è
sospesa “a una garanzia che manca”, ecco l’Altro barrato. Ciò che resta di questa
operazione è l’a.[5]
Lacan ci ricorda la concezione dell’ultimo Freud circa
la quale l’angoscia è vista come segnale nell’io, e ciò vuol dire che si
colloca da qualche parte nel luogo dell’io ideale. È un segnale che è un
fenomeno di bordo nell’immaginario dell’io. L’io ideale è la funzione attraverso la
quale l’io si costituisce a partire dalla
successione delle identificazioni con certi oggetti, quelli a proposito
dei quali, Freud si pone “un problema che lo lascia perplesso: l’ambiguità che
sussiste fra l’identificazione e l’amore”[6].
Tale ambiguità designa il rapporto fra l’essere e l’avere.
Questo emerge molto bene, a mio avviso, nel caso di Marco. L’oggetto a è allo stesso tempo oggetto dell’identificazione, e oggetto
dell’amore. È oggetto d’amore, in quanto oggetto che non si ha più. In francese
a è, allo stesso tempo, la prima
lettera dell’alfabeto e la terza persona dell’indicativo del verbo avere. E se
accettiamo la nota formula lacaniana che ci dice che si ama, si è amanti, con
quello che non si ha, “per questo motivo, quell’a che nell’amore non si ha più, lo si potrà ritrovare per via regressiva
nell’identificazione, sotto forma di identificazione con l’essere. Proprio per
questo Freud qualifica precisamente con il termine regressione il passaggio dall’amore
all’identificazione.”[7]
[1] J. Lacan, Il seminario. Libro X. L’angoscia 1962-1963, Enaudi, Torino, 2007, p. 109.
[2] J. Lacan, Il seminario. Libro X…, op. cit., p. 110.
[3] J. Lacan, Il seminario. Libro X…, op. cit., p. 112.
[4] Ibidem.
[5] J. Lacan, Il seminario. Libro X…, op. cit., p. 124.
[6] J. Lacan, Il seminario. Libro X…, op. cit., p. 127.
[7] J. Lacan, Il seminario. Libro X…, op. cit., p. 128.