Fonte: Emanuele Severino, “Sul significato della ‘morte di Dio’”, in “Essenza del Nichilismo”, edizione Adelphi, Milano, 1982, pag. 253-254
Con la comparsa della metafisica, i linguaggi storici si trovano per la prima volta a confronto con la testimonianza del senso dell’essere e del niente. Nel confronto, il senso di ogni parola premetafisica subisce una trasformazione essenziale. Alla luce dell’essere e del niente la vita, la nascita e la morte, il si e il no, il dolore, l’amore, la terra e il cielo vengono sottratti al loro senso primitivo e restano affidati ad un altro senso, inaudito. Con la metafisica non sopraggiunge semplicemente un mondo, ma il mondo. […] La metafisica greca ha portato alla luce la dimora in cui abita l’Occidente e questa dimora ha dato il proprio senso a tutto ciò che in essa si è andato compiendo. Il mondo è divenuto il pensiero e la forza dominante e un poco alla volta tutti gli aspetti fondamentali e derivati dell’esistenza e della civiltà sono stati pensati e vissuti nel mondo. […] Raccogliendosi nel mondo gli enti divengono: nascono, muoiono, si trasformano dal punto di vista della metafisica, ciò significa che gli enti del mondo (tutti o in parte, completamente o in qualche loro aspetto) escono e ritornano nel niente – passano dalla loro nientità all’essere un non-niente e viceversa – e, in quanto sono, sono essenzialmente esposti al rischio dell’annientamento. Se non ci fosse nulla, negli enti, che diventasse un niente, se tutto restasse ciò che è, come sarebbe possibile il divenire del mondo? […] Prima di acquistare l’essere, l’ente è un niente, e così dopo averlo perduto. L’evidenza di tutte le evidenze è costituita dalla alienazione più abissale e più pura: la persuasione che l’ente sia niente. Essa è il senso che vien respirato da ogni cosa e opera nella dimora in cui cresce la nostra civiltà. L’alienazione essenziale è divenuta la realtà più solida e indubitabile. Nulla è in noi più fermo della persuasione di ‘essere al mondo’. Eppure l’uomo incomincia ad esporsi al mondo – ad essere e a venire al mondo – solo ad un certo punto della sua storia, quando è il mondo a venire all’uomo.[…]
Che significato ontologico possiede un linguaggio che – come ogni linguaggio premetafisico – non testimoni, ossia non parli esplicitamente intorno al senso dell’essere e del niente? Certe cose possono essere dette solo in quanto l’essere sia inteso in un certo modo; ma se il dire non esplicita il senso dell’essere, ci manca la chiave che consenta di scoprire, sulla base delle cose dette, le cose illuminate, ma non possiamo vedere quale sole le illumini. Vediamo le tracce di un sole che rimane sconosciuto. […] Con l’avvento del pensiero metafisico, anche ‘dio’ esce dall’ambiguità ed entra nel mondo: non nel senso che venga necessariamente inteso come uno degli enti sensibili e divenienti, ma in quanto è pensato come il fondamento stesso del mondo, ossia come ciò che fa sì che il mondo sia.