Segno della percezione, significante, traccia neurale (5/14)

Scrive Lacan nel Seminario IX: «Fare tracce falsamente false è un comportamento, non dirò essenzialmente umano, ma essenzialmente significante. È qui che sta il limite. È qui che si presentifica un soggetto. Quando una traccia è stata fatta perché la si prenda per una falsa traccia, allora sappiamo che vi è un soggetto parlante, sappiamo che vi è un soggetto come causa.»[i].

Considerazione banale, trita, ritrita: l’esperienza lascia una traccia nel nostro modo di raffigurarci il mondo.

Al di là del reale del nostro corpo, così come esso si manifesta, al di là di ogni determinazione genetica, l’esperienza lascia tracce, tracce che ci modificano.

La percezione lascia una traccia che può trasformarsi in memoria.

La percezione lascia un segno, un “segno della percezione”.

Freud avalla l’ipotesi di una psiche formatasi attraverso un “processo di stratificazione” dove le tracce mnestiche già esistenti sono, di volta in volta, sottoposte ad una risistemazione che riconfigura la logica delle relazioni, risistemazione che in qualche modo le riscrive, ridistribuendo i valori significanti.

Questo per Freud consente di ripensare al concetto stesso di memoria che non è una “forma univoca, ma molteplice” composta di una varietà di “segni”.[ii]

Ogni segno può essere una trascrizione e ci possono essere più trascrizioni della stessa percezione, più segni appunto, lui sostiene che ce ne siano “almeno tre, ma è probabile che siano di più”[iii].

Ogni singola trascrizione è separata “in base ai neuroni che le trasmettono”[iv].

I neuroni nei quali si formano le percezioni (W) coscienti non conservano nessuna traccia del fatto in quanto tale, di esse non si ha memoria, ma solo coscienza.

I segni della percezione (Wz) sono le prime trascrizioni delle percezioni, si strutturano in base ad “associazioni di simultaneità”, di esse non si ha coscienza, ma solo memoria[v].

La trascrizione successiva, la seconda è quella inconscia (Ub) “ordinata in base ad altre relazioni”, casuali, cioè possono riferirsi a concetti o altri ricordi che non hanno accesso alla coscienza.

Infine abbiamo la terza riscrittura, preconscia (Vb) connessa alle rappresentazioni della parola.

Senza escludere che ci saranno poi, ulteriori trascrizioni, trascrizioni che potranno inibire quelle precedenti.

Se venissero a mancare le nuove trascrizione il correlato affettivo, la reattività pulsionale legata al periodo psichico più antico, quello riconducibile alla precedente trascrizione, diventerebbe predominante, detterebbe la sua legge.

La “rimozione” di una certa trascrizione produce sofferenza e questa sofferenza ostacola il lavoro di trascrizione. La rimozione si scaglia contro la traccia mnestica non ritrascritta, che proviene da un’epoca psichica anteriore.

Quindi, se l’accadimento X causa un certo stato corporeo (es. angoscia), la sua trascrizione mnestica, ovvero X1, X2 e così via, può inibire la reazione di sofferenza al ripresentarsi del ricordo. Ora, in realtà, più la liberazione della sofferenza è inibita più la traccia mnestica preme per riemergere.

Tuttavia se X ha provocato una certa sofferenza e al suo riemerge ripresenta ancora una certa sofferenza, in questo caso l’inibizione non ha più effetto. Il ricordo così si attualizza comportando la liberazione di un certo quantum d’eccitamento di troppo.

L’immagazzinamento e il recupero delle percezioni avverrebbe in modo spontaneo, come quando guidiamo o portiamo alla bocca la forchetta per mangiare o mentre leggiamo una rivista. Sono forse operazioni “non coscienti”? Forse sì. Certamente non sono operazioni “inconsce”. Non è l’inconscio, almeno quello freudiano, ad essere in gioco in questi casi.

«L’inconscio è il cerchio maggiore, che racchiude in sé quello minore del conscio; tutto ciò che è conscio ha un gradino preliminare inconscio […]»[vi].

L’inconscio si struttura come una catena di “segni della percezione” e di associazioni “irripetibili”, uniche, accessibili alla coscienza solo attraverso lapsus, sogni, atti mancati, dimenticanze e altre formazioni dell’inconscio.

L’esperienza è tracimata nelle associazioni che essa stessa genera. Essa si perde nei meccanismi stessi che la registrano, si intreccia con essi, si confonde con loro.

Le tracce frutto delle esperienze si modificano, si intrecciano, si associano con altre tracce.

Ci si distanzia, sempre di più, vorticosamente, vertiginosamente dall’evento, dal “realmente” esperito.

Il processo associativo forma una realtà psichica che si allontana sempre di più da quelle esperienze che hanno prodotto le tracce iniziali a partire dalle quali ha avuto inizio il processo associativo stesso.

Le tracce si organizzano, si associano e si combinano tra di loro fino a sostituirsi all’esperienza, venendo a creare un sistema nuovo, una realtà psichica che si impone sulla realtà esterna, «Il reale rimarrà per sempre “inconoscibile”»[vii].

La traccia si combina e si ricombina con altre tracce, ma l’esperienza risulta introvabile. Le continue trascrizioni rendono irriconoscibile l’esperienza che si perde. Le tracce invece restano, imperiture.

Noi percepiamo gli eventi non mentre essi stanno accadendo, mentre si stanno compiendo ma come se l’evento fosse già compiuto. Se io dovessi raccontare a qualcuno cosa ho fatto ieri in tarda serata prima di andare a letto direi: mi sono diretto in bagno (1), poi in cucina per bere un bicchiere d’acqua (2), alla scrivania per leggere una pagina di un libro (3) e mi sono affacciato al balcone per guardare la pioggia cadere (4). La nostra attività psichica si sdoppia nello spazio. Uno sdoppiamento che si svolge nello spazio omogeneo. Uno sdoppiamento puramente simbolico e che pertanto potrà realizzarsi solo e soltanto se si stabilisce come punto di partenza una decisione presa, un atto già compiuto, terminato, come se fosse già accaduto. Noi non viviamo. Ma ci “vediamo vivere”. Sostituiamo la linea 1234 che si sta tracciando mentre spiego a qualcuno cosa ho fatto ieri sera prima di mettermi a letto con la linea “1234” vissuta, esperita mentre realmente facevo quel percorso, concretamente, carnalmente, fisicamente, materialmente, lì e in quel momento: in bagno, poi alla cucina, poi alla scrivania ed infine al balcone. Noi confondiamo il tempo vissuto con lo spazio. Il tempo in cui sto realmente tracciando la linea su questo foglio e la linea finitamente tracciata dal punto 1 al punto 4, già compiuta. Io confondo il tempo con lo spazio. Il dentro con il fuori. Ovviamente questa linea di ricerca è stata brillantemente sviluppata da Bergson, al quale dedicheremo ampio spazio più avanti. Ci raffiguriamo dunque una correlazione causale che ci anticipa quello che accadrà in futuro a partire sempre e comunque dallo stato dell’arte presente, dalle condizioni che abbiamo nel presente. Bergson parla al riguardo di “preformazione”. Cioè un’anticipazione di quello che accadrà che concretamente consiste nel rappresentarci nello spazio delle figure in movimento secondo delle regole e delle leggi che determinano, preformano, la posizione e il movimento di tali figure proiettate geometricamente in uno spazio virtuale.[viii]

Alla rappresentazione del mondo esterno corrisponde una mappatura cerebrale dinamicamente distribuita. Non ci sono rappresentazioni fisse, ricordi fissati una volta per tutte in una certa ed unica, quanto fantomatica, sinapsi.

Abbiamo invece una rete di sinapsi distribuite dinamicamente e ogni attivazione sincrona “raffigura” una rappresentazione di una esperienza. Cioè una specifica configurazione neurale di elementi corrispondenti alla rappresentazione di un’esperienza della realtà esterna.

Nella lettera del 6 dicembre 1896[ix] Freud avanza una prima ipotesi di modello di registrazione della traccia: c’è il segno della percezione (WZ) e il suo destino si articola attraverso ulteriori trascrizioni apportate dai sistemi, inconscio (Ub), preconscio (Vb) e conscio (Bw).

Quindi, da una parte abbiamo la percezione, dall’altra la coscienza. In mezzo abbiamo la serie di trascrizioni successive, in forma di tracce mnestiche, che vanno a costituire l’inconscio e il preconscio. Ancora una volta, prima abbiamo la percezione (W), poi la sua prima registrazione, la prima traccia, quella che Freud chiama “segno della percezione” (Wz) (Wahmebmungszeichen), strutturato a partire dalla coincidenza temporale (Gleichzeitigkeit), che comporta la formazione di «associazioni per simultaneità».

Secondo Freud il segno della percezione non può riemergere alla coscienza.

Nella seconda topica, il sistema “Percezione-coscienza” (Pc-Cs) implica una registrazione diretta della percezione, registrazione che risulta poi accessibile alla coscienza, nonostante essa venga registrata in parallelo anche nell’inconscio.

Quindi abbiamo l’esperienza, la sua percezione e poi abbiamo il segno della percezione che è la prima traccia psichica che viene messa in parallelo con le altre tracce.

Il segno della percezione possiamo dire che è il «significante», Lacan lo dice chiaramente: «Possiamo subito dare a questi Wahrnehmungszeichen il loro vero nome di significanti»[x].

Lacan quindi assimila il Wahrnehmungszeichen al significante: «Ma non dimenticate che abbiamo a che fare con il sistema dei Wahrnehmungszeichen, dei segni della percezione, ossia con il sistema primo dei significanti, con la sincronia primitiva del sistema significante»[xi].

Il significante corrisponde ad una modificazione neurale connessa ad un’esperienza vissuta, irripetibile, un’esperienza che sarebbe il suo significato.

Quindi, la modificazione neurale, chiamiamola traccia sinaptica, oppure segno della percezione, oppure significante, corrisponde ad un significato che è la percezione di un’esperienza.

Un significante è una sequenza di lettere messa in relazione con un significato (un oggetto o di un evento legato ad un’esperienza).

Un significante è associato a un significato che altro non è che l’esperienza. Ora se ammettiamo che il significante, che pertiene al mondo della linguistica corrisponde alla traccia sinaptica, che pertiene al mondo delle neuroscienze, è possibile che il modello di facilitazione sinaptica (i numeri delle sinapsi attivate) possa avere l’equivalente linguistico in una sequenza di lettere che costituiscono, appunto, un significante.


[i] Lacan J., Il Seminario Libro X, L’angoscia 1962-1963, Enaudi, Torino, 2007, p. 70.

[ii] Freud S., Lettera a Fliess del 6 dicembre 1896, Lettere a Wilhelm Fliess, 1887-1904, Boringhieri, Torino, 1986, pp. 236-44.

[iii] Ibidem, 237.

[iv] Ibidem.

[v] Ibidem.

[vi] Freud, L’interpretazione dei sogni, 1899, OSF, Vol. III, p. 557.

[vii] Freud S., Compendio di psicoanalisi, 1938, OSF, Vol. 11, p. 623.

[viii] H. Bergson, Saggio sui dati immediati della coscienza, Raffaele Cortina Editori, Milano, 2002, pp. 130-131

[ix] Freud S., Lettera a Fliess, op. cit., p. 236.

[x] Lacan J., Il Seminario – Libro XI – I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi 1964, Enaudi, Torino, 2003, p 46., “Ebbene, se ci limitiamo alla lettera a Fliess, i Wahrnehmungszeichen, le tracce della percezione, come funzionano? Freud deduce dalla sua esperienza la necessità di separare assolutamente percezione e coscienza – perché qualcosa passi nella memoria è necessario in primo luogo che sia cancellato nella percezione e viceversa. Egli ci indica, allora, un tempo in cui i Wahrnehmungszeichen, le tracce della percezione, devono essere costituiti nella simultaneità. Di che altro si tratta, se non della sincronia significante? E, naturalmente, Freud lo dice tanto piu che non sa di dirlo cinquant’anni prima dei linguisti. Ma noi possiamo dare subito a queste tracce, i Wahrnehmungszeichen il loro vero nome –  significanti. E la nostra lettura è resa ancora più sicura dal fatto che Freud, quando ritorna su questo luogo nella Traumdeutung, ne designa ancora altri strati, in cui le tracce si costituiscono questa volta per analogia. Possiamo ritrovare qui quelle funzioni di contrasto e di similitudine che sono così essenziali nella costituzione della metafora, che si introduce, invece, con una diacronia. Non insisto perché oggi devo andare avanti. Diciamo solo che nelle articolazioni di Freud troviamo l’indicazione, senza ambiguità, che non si tratta solo, in questa sincronia, di una rete formata da associazioni di caso e di contiguità. I significanti hanno potuto costituirsi nella simultaneità solo grazie a una struttura ben definita della diacronia costituente. La diacronia è orientata dalla struttura. Freud indica chiaramente che, per noi, a livello dell’ultimo strato dell’inconscio, laddove funziona il diaframma, laddove si stabiliscono le prerelazioni tra il processo primario e ciò che ne sarà utilizzato a livello del preconscio, non ci possono essere miracoli. Questo, egli dice, deve aver rapporto con la causalità.”, ivi.

[xi] Lacan J., Il Seminario VII, L’etica della psicoanalisi 1959-60, Enaudi, Torino, 2006, p. 80.