Segnale affettivo (25/28)

Il termine segnale di angoscia (Angstsignal) Freud lo introduce nel 1926 per indicare la reazione che l’Io ha dinnanzi ad un pericolo, è cioè una reazione volta ad evitare qualcosa di insostenibile, un troppo di sensazioni spiacevoli che sta per arrivare.

Il segnale di angoscia ripropone una certa reazione somatica avuta in passato di fronte ad un’esperienza traumatica. Esso consente di difendersi, di anticipare un pericolo in arrivo.

Il segnale di angoscia può manifestarsi come «simbolo mnestico» o «simbolo affettivo» [i] legato ad una situazione che può verificarsi ma che non si è ancora verificata e che è necessario evitare.

Quindi l’affetto acquista forma di segnale. In passato è stato vissuto come angoscia automatica, come esperienza di qualcosa di troppo. La quota d’angoscia che il segnale mobilita è ridotta rispetto ai vissuti spiacevoli che hanno inscritto nel corpo quel segnale, l’esperienza traumatica originaria. Quindi, gli stati affettivi sono incorporati nella vita psichica, sono dei resti di antichissime esperienze

traumatiche che vengono riattivate dai simboli mnestici di situazioni simili.

Riporto qui integralmente, questo bellissimo passaggio di Freud su questo tema, dalle Cinque conferenze sulla psicoanalisi:

«Signore e signori, se mi consentite la generalizzazione, inevitabile del resto in un’esposizione cosi concisa, possiamo racchiudere le conoscenze sinora acquisiste nella formula: i nostri malati isterici soffrono di reminiscenze. I loro sintomi sono residui e simboli mnestici di determinate esperienze (traumatiche). Un confronto con altri simboli mnestici in altri campi ci porterà forse a una comprensione pili profonda di questo simbolismo. Anche le opere d’arte e i monumenti di cui adorniamo le nostre grandi città sono simboli mnestici di questo genere. Passeggiando per Londra trovate dinanzi a una delle maggiori stazioni della città una colonna gotica riccamente decorata, la Charing Cross. Nel tredicesimo secolo uno dei vecchi re Plantageneti fece trasferire a Westminster la salma della sua amata regina Eleonora, erigendo una croce gotica a ciascuna delle stazioni in cui la bara era stata deposta per terra; Charing Cross è l’ultimo dei monumenti destinati a perpetuare il ricordo di quel corteo funebre. In un altro punto della città, non lontano dal Ponte di Londra, scorgete un’altra colonna più moderna che vien chiamata semplicemente The Monument. Essa dovrebbe richiamare alla memoria il grande incendio che scoppiò in quei pressi nel 1666, distruggendo gran parte della città. Questi monumenti sono dunque simboli mnestici come i sintomi isterici; fin qui il paragone sembra giustificato. Ma che ne direste di un londinese che sostasse ancor oggi, con malinconia, dinanzi al monumento del corteo funebre della regina Eleonora, anziché attendere alle sue faccende con la sollecitudine che i moderni rapporti di lavoro esigono, o anziché gioire pensando alla freschezza della giovane regina del suo cuore? Oppure di un altro che dinanzi al “Monumento” piangesse la distruzione della sua amata città natale, che pure da allora è risorta tanto più splendida? Al pari di questi due londinesi privi di senso pratico si comportano invece tutti gli isterici e i nevrotici; non solo ricordano le esperienze dolorose del loro remoto passato, ma sono ancora attaccati ad esse emotivamente; non riescono a liberarsi del passato e trascurano per esso la realtà e il presente. Questa fissazione della vita psichica ai traumi patogeni è uno dei caratteri pili importanti e praticamente più significativi della nevrosi.»[ii]


[i] Freud S., op. cit, p. 243.

[ii] Freud S., Cinque conferenze sulla psicoanalisi, OSF, vol. 6, p. 135-36.