Tratto da Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XIX, pagg. 676-678 – A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, I, 38
Nella contemplazione estetica abbiamo ritrovato due inseparabili elementi: la conoscenza dell’oggetto, non come cosa singola, ma come idea platonica, cioè come forma permanente di tutta questa specie di oggetti; e la coscienza del soggetto conoscente, non come individuo, ma come soggetto della conoscenza puro, libero dalla volontà. […]
Finché dunque la nostra coscienza è riempita dalla nostra volontà, finché siamo abbandonati all’impulso dei desideri, col suo perenne sperare e temere, finché siamo soggetti del volere, non ci è concessa duratura felicità né riposo. Che noi andiamo in caccia o in fuga, che temiamo sventura o ci affatichiamo per la gioia, essenzialmente è la stessa cosa: la preoccupazione della volontà con le sue continue esigenze, sotto qualsiasi aspetto, riempie e agita senza posa la coscienza; e senza pace nessun reale benessere è mai possibile. Il soggetto del volere è cosí senza tregua legato alla volgente ruota di Issione, attinge sempre col vaglio delle Danaidi, è Tantalo che in eterno si strugge.
Quando però una causa esteriore, o una disposizione interna ci trae all’improvviso fuori dall’infinita corrente del volere e sottrae la conoscenza alla schiavitú della volontà, e quando l’attenzione non è piú rivolta ai motivi del volere, ma percepisce le cose sciolte dal loro rapporto col volere, ossia le considera senza interesse, senza soggettività, in modo puramente oggettivo, immergendosi tutta in esse, in quanto esse sono mere rappresentazioni e non motivi: allora sopraggiunge, improvvisa e spontanea, quella pace che, sempre dapprima cercata sulla via del volere, ognora sfuggiva, e noi siamo allora perfettamente felici. È quello stato senza dolore, che Epicuro lodò come il massimo bene e come condizione degli dèi: perché noi siamo, in quell’istante, liberati dal vile impulso della volontà, e celebriamo, noi forzati lavoratori della volontà, il nostro giorno di festa: la ruota di Issione si arresta.
Questo è appunto lo stato, da me piú sopra descritto come necessario per la conoscenza dell’idea in quanto pura contemplazione, assorbimento nell’intuizione, smarrimento di sé nell’oggetto, oblio di ogni individualità, abolizione della conoscenza legata al principio di ragione, che afferra soltanto relazioni; è lo stato, in cui immediatamente e inseparabilmente il singolo oggetto intuito si eleva all’idea della sua specie, l’individuo conoscente si eleva a puro soggetto del conoscere libero dalla volontà, ed entrambi, in quanto tali, non si trovano piú nella corrente del tempo e di tutte le altre relazioni. È indifferente, allora, se il sole che tramonta si veda da un carcere o da un palazzo.