Tratto da Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XVIII, pagg. 92-94- F. W. J. Schelling, Primo abbozzo di un sistema della filosofia della Natura, Introduzione
Ora, il meccanicismo è però lungi dal costituire da solo la Natura. Infatti non appena entriamo nel campo della natura organica ogni collegamento meccanico di causa ed effetto viene meno. Ogni prodotto organico sussiste per se stesso, la sua esistenza non dipende da nessun’altra esistenza. Ora, la causa non è però mai identica all’effetto: un rapporto di causa ed effetto è possibile solo fra cose affatto diverse. L’organismo, invece, produce se stesso, scaturisce da se stesso: ogni singola pianta non è che il prodotto di un individuo della sua specie, e cosí ogni singolo organismo produce e riproduce all’infinito soltanto il proprio genere […].
Soltanto nell’essere organizzato le parti sono reali; ed esistono senza il mio intervento, poiché tra esse e il tutto v’è un rapporto oggettivo. A fondamento di ogni organismo sta quindi un concetto, giacché là dove vi è relazione necessaria del tutto con le parti e delle parti col tutto, ivi c’è il concetto. Ma questo concetto abita nell’organismo stesso, e non ne può venire separato: l’organismo organizza se stesso, e non è soltanto un’opera dell’arte, il cui concetto si trova fuori di essa, nella mente dell’artista. Non solo la forma, ma anche l’esistenza dell’organismo è conforme a scopi. Esso non potrebbe organizzarsi se non fosse già organizzato […].
Ogni organismo è dunque un tutto: la sua unità si trova in lui stesso, e non dipende dal nostro arbitrio pensarlo come un’unità o come una molteplicità. Il rapporto di causa ed effetto è qualcosa di transitorio, di dileguante, mera apparenza, nel senso comune del termine. L’organismo invece non è mera apparenza, ma esso stesso oggetto, e piú precisamente un oggetto sussistente di per se stesso, in se stesso intero ed indivisibile; e poiché in esso la forma è inseparabile dalla materia, l’origine di un organismo in quanto tale non è piú spiegabile meccanicisticamente di quanto non lo sia l’origine della materia stessa.
Qualora dunque si debba spiegare il finalismo dei prodotti organici, il dogmatico si vede del tutto abbandonato dal suo sistema. Qui non giova piú a nulla separare a nostro piacimento concetto e oggetto, forma e materia. Infatti per lo meno qui l’una cosa e l’altra non sono unite nella nostra rappresentazione, ma lo sono già originariamente e necessariamente nell’oggetto […].
La prima cosa, dunque, che voi ammettete è questa: ogni concetto di finalismo può sorgere soltanto in un intelletto, e solo in relazione a un tale intelletto una cosa può esser definita conforme a scopi.
Egualmente siete non meno costretti ad ammettere che il finalismo dei prodotti naturali risiede in essi stessi, che esso è oggettivo e reale, che dunque non appartiene alle vostre rappresentazioni arbitrarie, ma a quelle necessarie. Siete infatti in grado di distinguere molto bene ciò che nelle connessioni dei vostri concetti è arbitrario e ciò che è necessario. Ogni volta che raccogliete in un’unità numerica cose che sono separate dallo spazio, voi agite affatto liberamente; l’unità che conferite loro, non fate che trasferirvela dai vostri pensieri; nelle cose stesse non vi è ragione alcuna che vi necessiti a pensarle come un’unità. Ma del fatto che pensate ogni pianta come un individuo in cui tutto cospira a un unico scopo, dovete cercare la ragione nella cosa fuori di voi: vi sentite necessitati nel vostro giudizio, e dovete quindi ammettere che l’unità con cui pensate ciò non è soltanto logica (soltanto nei vostri pensieri), ma reale (effettiva fuori di voi).
Vi si chiede ora di rispondere a questa domanda: come avviene che un’idea, la quale evidentemente non può esistere che in voi e perciò avere realtà soltanto in relazione a voi, debba ciononostante venir intuita e rappresentata da voi stessi come reale fuori di voi? […].
Questa filosofia deve dunque ammettere che nella Natura ci sia uno sviluppo di gradi della vita, che anche nella materia meramente organizzata ci sia vita, solo una vita di specie limitata. Quest’idea è cosí antica, e nelle piú varie forme si è mantenuta fino ad oggi cosí costantemente (già nei tempi piú antichi si riteneva che tutto quanto l’universo fosse compenetrato da un principio vivificante detto anima del mondo, e la piú recente epoca di Leibniz assegnò ad ogni pianta la sua anima), che si può a ragione presumere che nello stesso spirito umano si trovi una qualche ragione di questa credenza sulla Natura. E cosí stanno veramente le cose. Tutto il fascino che circonda il problema dell’origine dei corpi organici dipende dal fatto che in queste cose necessità e contingenza sono intimamente unite. La necessità, perché la loro stessa esistenza, e non solo (come nell’opera d’arte) la loro forma, è conforme a scopi; la contingenza, perché questa conformità a scopi è reale soltanto per un essere che intuisca e che rifletta. Da ciò lo spirito umano fu sin dall’antichità condotto all’idea di una materia organizzante sé stessa, ed essendo l’organismo rappresentabile soltanto in relazione a uno Spirito, all’idea di un’unione originaria dello Spirito e della materia in queste cose. Esso si vide necessitato a cercare la ragione di queste cose per un verso nella Natura stessa, e per l’altro in un principio superiore alla Natura, e perciò pervenne assai per tempo a pensare Spirito e Natura come un’unità. Qui per la prima volta si fece innanzi dalla sua sacra oscurità quell’essenza ideale in cui esso pensa come una sola unità concetto e atto, progetto ed esecuzione. Qui per la prima volta l’uomo fu colto da un presentimento della sua propria natura, nella quale intuizione e concetto, forma e oggetto, ideale e reale sono originariamente una sola e medesima cosa. Di qui il particolare mistero che avvolge questi problemi: un mistero che la filosofia meramente riflessiva, mirante solo alla separazione, non è mai in grado di svelare, mentre la pura intuizione, o piuttosto l’immaginazione creatrice, ha ormai da lungo tempo scoperto il linguaggio simbolico, che basta interpretare per accorgersi che la Natura parla tanto piú intelligibilmente quanto meno la si pensa in maniera meramente riflessiva.