Scritti 1913-14 Freud

Un sogno come mezzo di prova (1913) 169-77. Una signora che soffriva di dubbi e cerimoniali ossessivi pretendeva che le sue infermiere non la perdessero mai di vista, perché altrimenti prendeva a scervellarsi su quel che di proibito poteva aver fatto mentre non era sorvegliata. Una sera, mentre riposava sul divano, le parve di notare che l’infermiera di turno si fosse addormentata. Le domandò: “Mi hai visto?”; al che costei si scosse e rispose: “Sì, certamente!” Ora la malata aveva un motivo di più per dubitare, e dopo un po’ ripeté la domanda; l’infermiera rinnovò le sue assicurazioni, e in quel momento entrò un’altra inserviente portando la cena. Ciò accadde un venerdì sera. Il mattino dopo l’infermiera raccontò un suo sogno, che risolse i dubbi della paziente. Il fattore costitutivo essenziale del sogno è un desiderio inconscio, di solito un desiderio infantile, attualmente rimosso, che può trovare espressione in quel materiale somatico o psichico (e quindi anche nei residui diurni), fornendogli un’energia che gli permette di farsi strada fino alla coscienza anche durante la pausa dell’attività di pensiero che ha luogo durante la notte. Il sogno costituisce sempre l’appagamento di questo desiderio inconscio, qualunque altro elemento esso contenga: ammonimenti, riflessioni, confessioni e qualsivoglia altro aspetto dei ricchi contenuti della vita vigile preconscia che si prolunghi irrisolto nella vita notturna.

Prefazioni a “Il metodo psicoanalitico» di O. Pfister (1913)

183-85
La psicoanalisi è nata sul terreno della medicina, come procedimento terapeutico per alcune malattie nervose che sono state chiamate “funzionali”, e in cui con sempre crescente certezza si sono riconosciute le conseguenze, consistenti in disturbi della vita affettiva. Essa realizza il proprio scopo presupponendo che questi non siano l’unico e definitivo esito possibile di determinati processi psichici, e perciò scopre, nel ricordo del paziente, la storia dello sviluppo di tali sintomi, ridà vita ai processi che ne stanno alla base e li dirige verso una soluzione più favorevole. Fra educazione e terapia si instaura un rapporto che può essere chiaramente indicato. L’educazione si propone di vigilare affinché certe disposizioni e tendenze del bambino non rechino danno al singolo e alla società. La terapia entra in azione quando queste disposizioni hanno già prodotto l’esito indesiderato dei sintomi patologici. Ci si augura che l’impiego della psicoanalisi a fini educativi possa realizzare a breve le speranze che educatori e medici sono autorizzati a riporvi.

Prefazione alla traduzione di “Riti scatologici di tutti i popoli” di J. G. Bourke (1913)

186-88
Sull’affermazione che la pulizia del corpo si accompagna piuttosto al peccato che alla virtù Freud si soffermò spesso, quando il lavoro psicoanalitico gli permise di rendersi conto di come gli uomini civilizzati affrontano il problema del proprio corpo. Evidentemente tutto ciò che ricorda troppo chiaramente la natura animale dell’uomo li mette in imbarazzo. Il principale risultato delle ricerche psicoanalitiche è la scoperta che nella prima fase del suo sviluppo il bambino è costretto a ripetere quell’itinerario del rapporto dell’uomo con gli escrementi che probabilmente ha preso le mosse dal distacco dell’Homo sapiens dalla madre-terra. Nei primissimi anni dell’infanzia non c’è ancora traccia di vergogna per le funzioni escretorie né di disgusto per gli escrementi. Inizialmente nel bambino l’interesse per gli escrementi non è superato dagli interessi sessuali. La ricerca etnologica ci mostra come e in quale misura sia incompleta la rimozione delle tendenze coprofile in diversi popoli e in diverse epoche, e come in civiltà di livello diverso dal nostro il modo di trattare il materiale escrementizio si avvicini moltissimo a quello infantile.

Prefazione a “I disturbi psichici della potenza virile” di M. Steiner (1913)

189-90
Steiner appartiene a quella piccola schiera di medici che hanno riconosciuto fin dall’inizio l’importanza della psicoanalisi per il loro campo di specializzazione e che da allora non hanno cessato di perfezionarsi nella sua conoscenza teorica e nella sua tecnica. Solo una piccola parte delle malattie nevrotiche sono trattate dalla neuropatologia. La maggior parte di queste malattie vengono classificate tra le affezioni che interessano l’organo specifico che è stato colpito dal disturbo nevrotico. È utile e opportuno che anche il trattamento di questi sintomi o sindromi sia affidato allo specialista, il quale soltanto può fare una diagnosi da cui risulti la differenza rispetto a un’affezione organica, e può, nelle forme miste, sceverare l’elemento organico da quello nevrotico, e in generale fornire informazioni sul modo in cui questi due fattori patologici si rafforzano a vicenda. È auspicabile che non sia lontano il tempo in cui tutti capiranno che non si può né comprendere né trattare alcun disturbo nervoso senza servirsi della prospettiva e spesso anche della tecnica della psicoanalisi.

Materiale fiabesco nei sogni (1913)

195-201
La psicoanalisi conferma l’importanza che hanno acquistato le fiabe popolari nella vita psichica dei bambini. In alcuni individui il ricordo delle fiabe preferite si è sostituito ai ricordi d’infanzia; le fiabe sono diventate per contro ricordi di copertura. Elementi e situazioni tratti dalle fiabe si trovano spesso anche nei sogni. Viene raccontato il sogno di una giovane signora che pochi giorni prima aveva ricevuto la visita del marito: un omino entra in una camera tutta bruna in cui c’è la signora, e danza su e giù davanti a lei. La descrizione dell’omino corrisponde all’aspetto del suocero della sognatrice, alla quale però, subito dopo, viene in mente la fiaba di Tremotino. La camera bruna all’inizio suscita qualche difficoltà: la signora ricorda la sala da pranzo dei genitori, che ha un rivestimento in legno scuro. Poi racconta alcune vicende di letti in cui è scomodo dormire in due. La camera in legno scuro è in primo luogo il letto e, attraverso la connessione con la sala da pranzo, un letto matrimoniale. La vicenda va interpretata come una raffigurazione del coito. Un giovane racconta di aver sognato che era di notte e che, mentre si trovava nel suo letto, improvvisamente la finestra si aprì da sola: sul grosso noce proprio di fronte alla finestra stavano seduti sei o sette lupi bianchi. Secondo il giovane si trattava di un’illustrazione della fiaba di Cappuccetto Rosso, ed era il primo sogno d’angoscia che egli ricordasse della sua infanzia. Interpretazione: il lupo altro non era che il primo sostituto paterno.

Il motivo della scelta degli scrigni (1913)

207-18
Due scene di Shakespeare, lieta l’una, tragica l’altra, hanno fornito lo spunto per questo scritto. La scena lieta è quella della scelta fra tre scrigni compiuta dai pretendenti nel Mercante di Venezia. Porzia è vincolata a prendere per marito colui che sceglierà, fra i tre scrigni, quello giusto. Gli scrigni sono rispettivamente d’oro, d’argento e di piombo. I due aspiranti che avevano scelto gli scrigni d’oro e d’argento si sono già ritirati a mani vuote. Il terzo, Bassanio, si decide per quello di piombo e ottiene la mano della sposa, la cui simpatia, già prima del giudizio della sorte, andava a lui. Shakespeare non ha inventato questo oracolo della scelta fra tre scrigni, ma lo ha ricavato da un racconto delle Gesta Romanorum, nel quale la medesima scelta è compiuta da una ragazza per conquistarsi il figlio dell’imperatore. Anche qui il terzo metallo, il piombo, è quello che porta fortuna. Si tratta di un antico motivo umano, cioè la scelta che un uomo compie fra tre donne. Identico è il contenuto dell’altra scena, quella del Re Lear, quando il re si decide a spartire da vivo il suo regno fra le tre figlie, in ragione dell’amore che ciascuna di esse gli dimostrerà. Respinge Cordelia, che ricusa di soddisfare tale condizione, e divide il suo regno tra le altre due, procurando così la propria e l’altrui sventura. Vengono subito in mente altre scene tratte da miti, fiabe e poemi. Il pastore Paride è chiamato a scegliere fra tre dee, e dichiara che la terza è la più bella. Cenerentola è anch’essa la più giovane delle sorelle, che il figlio del re preferisce alle due maggiori. Nella favola di Apuleio, Psiche è la più giovane e la più bella di tre sorelle. In tutti e tre i racconti ci sono tre donne e la più giovane è sempre la migliore. Nei Dodici fratelli dei Grimm si narra di una fanciulla che per salvare i fratelli si assoggetta a non pronunciare una sola parola per sette anni. La mitologia greca più antica conosce soltanto un’unica Moira, che si è successivamente evoluta in un gruppo di tre divinità sorelle. Sono qui raffigurate le tre forme nelle quali variamente si atteggia per l’uomo, nel corso della vita, l’immagine materna: la madre vera, la donna amata, che egli sceglie secondo l’immagine della madre, e la madre-terra che lo riprende nel suo seno.

Le due bugie di due bambini (1913)

223-27
Numerose bugie di bambini ben educati hanno un significato particolare e dovrebbero far riflettere gli educatori anziché irritarli. Esse si verificano per l’influsso di impulsi d’amore straordinariamente forti e diventano fatali se provocano un malinteso tra il bambino e la persona che egli ama. Per una paziente di Freud prendere denaro da qualcuno aveva assunto il significato della dedizione corporea, del rapporto amoroso. Prendere denaro dal padre aveva il valore di una dichiarazione d’amore. Quando aveva sette anni, si era appropriata di parte di una somma affidatale dal padre, e per questo era stata severamente punita. La piccola non poteva confessare l’appropriazione del denaro; doveva negare perché il motivo dell’azione, a lei stessa inconscio, non era confessabile. La punizione era dunque un rifiuto della tenerezza offertale, un disdegno, e aveva perciò spezzato il suo ardire. Un’altra paziente, gravemente ammalata in seguito a una frustrazione patita, era stata un tempo una ragazza particolarmente attiva, amante della verità, seria e buona, ed era poi diventata una moglie affettuosa. Come primogenita di cinque fratelli, aveva precocemente sviluppato un attaccamento straordinariamente intenso per il padre, sul quale sarebbe poi naufragata in anni maturi la felicità della sua vita. Il senso di colpa relativo all’eccessiva inclinazione per il padre trovò la sua espressione nel tentativo d’inganno; una confessione era impossibile, perché avrebbe comportato l’ammissione dell’amore incestuoso tenuto celato.

La disposizione alla nevrosi ossessiva. Contributo al problema della scelta della nevrosi (1913)

235-44
È il testo della relazione tenuta da Freud al Congresso di psicoanalisi di Monaco (7 settembre 1913). Le ragioni decisive che inducono alla scelta della nevrosi hanno natura di disposizioni e sono indipendenti dalle esperienze capaci di provocare effetti patogeni. Le nostre disposizioni sono inibizioni evolutive. La sequenza in cui vengono di solito esposte le forme principali di psiconevrosi – isteria, nevrosi ossessiva, paranoia, dementia praecox – corrisponde (anche se in modo non del tutto esatto) all’ordine cronologico in cui queste affezioni irrompono nella vita. Le forme morbose di tipo isterico possono essere osservate già nell’infanzia vera e propria; la nevrosi ossessiva manifesta di solito i suoi primi sintomi nella fanciullezza (da sei-otto anni in su); le altre due psiconevrosi si manifestano soltanto dopo la pubertà e nell’età matura. L’organizzazione sessuale che contiene la disposizione alla nevrosi ossessiva, una volta instauratasi, non viene mai più completamente superata. Gli impulsi di odio e l’erotismo anale hanno una parte straordinaria nella sintomatologia della nevrosi ossessiva. La psicoanalisi consiste nel riconoscimento delle pulsioni sessuali parziali, delle zone erogene, e dell’estensione che in tal modo si ottiene del concetto di “funzione sessuale”, in antitesi alla più limitata “funzione genitale”. La contrapposizione tra maschile e femminile non è presente nella fase della scelta oggettuale pregenitale. I processi della formazione del carattere sono meno trasparenti e meno accessibili all’analisi, rispetto ai processi nevrotici. La storia della disposizione a una nevrosi è completa soltanto se prende in considerazione sia la fase dello sviluppo dell’Io sia la fase dell’evoluzione libidica. Per l’isteria rimane valida l’intima relazione con l’ultima fase dello sviluppo libidico, contraddistinta dal primato dei genitali e dall’avvento della funzione riproduttiva.

L’interesse per la psicoanalisi (1913)

  1. L’interesse psicologico

249-58
La psicoanalisi è un procedimento medico che si propone di curare alcuni disturbi nervosi (nevrosi) mediante una tecnica psicologica. Moltissime manifestazioni della mimica e del linguaggio e molte forme di pensiero non sono state sinora oggetto della psicologia. Freud intende riferirsi agli atti mancati, alle azioni casuali e ai sogni delle persone normali, e agli accessi convulsivi, ai deliri, alle visioni, alle idee e azioni ossessive dei nevrotici. Il motivo più frequente per reprimere un’intenzione è l’evitamento del dispiacere. La spiegazione degli atti mancati deve il suo valore teorico alla facilità di soluzione e alla frequenza con cui tali fenomeni si presentano nell’uomo normale. L’interpretazione dei sogni ha posto la psicoanalisi in antitesi con la scienza ufficiale. La ricerca medica descrive il sogno come un fenomeno puramente somatico. La psicoanalisi ne ha fatto un atto psichico dotato di senso e intenzione, che occupa un posto preciso nella vita psichica dell’individuo; nell’asserire ciò, non si dà pensiero della stranezza, incoerenza e assurdità del sogno. Il lavoro onirico dà luogo alla deformazione, per effetto della quale non riconosciamo più i pensieri onirici nel contenuto del sogno. Tutti i sogni comportano un appagamento di desiderio. Il lavoro onirico ci costringe a supporre un’attività psichica inconscia, che si estende a un ambito maggiore ed è più importante dell’attività a noi nota collegata alla coscienza. La psicoanalisi rivendica il primato dei processi affettivi nella vita psichica, e dimostra la presenza in misura inaspettata di elementi affettivi di perturbamento e offuscamento dell’intelletto nelle persone normali non meno che in quelle malate.

  1. L’interesse per la psicoanalisi da parte delle scienze non psicologiche

La biologia

259-65
L’interpretazione di un sogno è perfettamente analoga alla decifrazione di un’antica scrittura ideografica. Sia nel primo che nel secondo caso sono presenti alcuni elementi non destinati all’interpretazione o, rispettivamente, alla lettura, la cui funzione consiste soltanto nell’assicurare in qualità di “determinativi” la comprensione di altri elementi. Si può dire che il linguaggio onirico è il modo di esprimersi dell’attività psichica inconscia. La filosofia non potrà fare a meno di tener conto nel modo più ampio dei contributi che la psicoanalisi ha recato alla psicologia, e dovrà reagire a questo nuovo arricchimento del nostro sapere. La psicoanalisi può indicare la motivazione soggettiva e individuale di dottrine filosofiche scaturite, sembra, da un lavoro logico imparziale, e segnalare alla stessa indagine critica i punti deboli del sistema. La psicoanalisi ha reso giustizia alla funzione sessuale esaminandone nei particolari l’importanza nella vita psichica e nella vita pratica. Interessi e attività sessuali esistono nel bambino sin dai primissimi inizi dell’esistenza. Dalla sessualità infantile emerge la sessualità normale dell’adulto attraverso una serie di processi evolutivi, di combinazioni, scissioni e repressioni, che non si svolgono mai con perfetta compiutezza e lasciano perciò dietro di sé le disposizioni al regredire della funzione sotto forma di stati patologici.

La storia della civiltà

265-72

La psicoanalisi è stata costretta a derivare la vita psichica dell’adulto da quella del bambino, a prendere sul serio la massima: il bambino è il padre dell’uomo. Nel corso dell’approfondimento della vita psichica infantile, sono state compiute alcune scoperte degne di nota, fra cui quella della straordinaria importanza delle impressioni infantili per tutta la vita successiva. Nonostante tutti i mutamenti che lo sviluppo porta con sé, nulla si perde nell’adulto delle formazioni psichiche infantili. Sembra perfettamente possibile trasferire la concezione psicoanalitica ricavata dal sogno a prodotti della fantasia popolare quali il mito e le fiabe. La psicoanalisi stabilisce un intimo rapporto fra tutte queste produzioni psichiche del singolo e della collettività, postulando per le une e per le altre la medesima fonte dinamica. Scopo primo del meccanismo psichico è liberare l’individuo dalle tensioni prodotte dai bisogni. La ricerca sui popoli primitivi indica che gli uomini sono in un primo tempo dominati dalla credenza infantile nella propria onnipotenza. L’arte costituisce un ambito intermedio tra la realtà che frustra i desideri e il mondo della fantasia che li appaga, un dominio in cui si direbbe siano rimaste in vigore le aspirazioni all’onnipotenza dell’umanità primitiva. I sentimenti sociali (i fondamenti affettivi del rapporto tra singolo e società) comportano regolarmente un contributo da parte dell’erotismo. La psicoanalisi ha riconosciuto il carattere asociale delle nevrosi, che tendono invariabilmente a sospingere l’individuo fuori dalla società e a sostituire in lui, grazie all’isolamento assicurato dalla malattia, quello che un tempo era il rifugio del convento. Ha dimostrato appieno l’importanza delle condizioni e delle esigenze sociali nel causare la nevrosi. Ha scoperto i desideri, le forme di pensiero, i processi evolutivi dell’infanzia, permettendo una miglior comprensione dei metodi educativi. Quando gli educatori avranno preso confidenza con i risultati della psicoanalisi, non correranno il rischio di dare eccessivo peso all’insorgere nel bambino di moti pulsionali socialmente inutilizzabili o perversi. Al contrario, si asterranno dal tentare una repressione violenta di questi impulsi, sapendo che tali interventi spesso peggiorano le cose, provocando una rimozione che instaura la tendenza a una successiva malattia nevrotica.

Esperienze ed esempi tratti dalla pratica dell’analisi (1913)

277-81
Sono presentate dodici brevi osservazioni tratte dall’esperienza psicoanalitica. Esse vertono su: un sogno di cui si ignora lo stimolo che l’ha provocato; le ore della giornata nei sogni (rappresentano molto spesso l’età del sognatore in un determinato periodo della sua infanzia); la rappresentazione di periodi di vita nei sogni; la posizione quando ci si sveglia da un sogno; due stanze che diventano una sola (il sogno si riferisce all’organo genitale femminile e all’ano, che il sognatore, quando era bambino, supponeva formassero un’unica cavità); il mantello o il cappotto come simboli dell’uomo; i piedi (scarpe) di cui ci si vergogna (la sognatrice quando era bambina si era provata a imitare il fratellino che orinava e s’era bagnata le scarpe); l’autocritica dei nevrotici (nella sognatrice in questione l’autocritica dissimulava il vanto di avere un corpo bellissimo); la considerazione della raffigurabilità (il sognatore, che è un ufficiale, siede a un banchetto dal lato opposto dell’imperatore: si mette in opposizione rispetto all’imperatore, che simboleggia suo padre); i sogni che si riferiscono a defunti; i sogni frammentari; la comparsa di sintomi patologici nel sogno.

Falso riconoscimento (“già raccontato”) durante il lavoro psicoanalitico (1913)

287-92
Durante il lavoro psicoanalitico accade non di rado che il paziente accompagni l’esposizione di un fatto da lui ricordato con l’osservazione: “Ma questo gliel’ho già raccontato”, mentre l’analista è sicuro di non aver mai sentito prima il racconto in questione. La spiegazione di questo fenomeno sembra essere che egli ha già avuto realmente l’intenzione di fornire questa informazione, che ha tentato una o più volte, con osservazioni preparatorie, di dire quella certa cosa, ma poi la resistenza gli ha impedito di portare a termine il suo proposito, e ora la memoria confonde l’intenzione con la sua realizzazione. Il fenomeno che il paziente presenta in simili casi merita il nome di “falso riconoscimento”, ed è del tutto analogo al fenomeno descritto come déjà vu in certi altri casi. C’è un altro tipo di “falso riconoscimento” che non di rado si presenta alla conclusione di un trattamento, con soddisfazione del medico. Dopo che costui è riuscito a rendere accetto al paziente l’evento rimosso contro tutte le resistenze, in certo qual modo riabilitando l’evento stesso, accade che il paziente dica: “Ora ho la sensazione di averlo sempre saputo.” A questo punto il compito dell’analisi è finito.

Il Mosè di Michelangelo

1

299-310
Viene riportata una serie di giudizi critici di vari autori sul Mosè di Michelangelo, che è una parte soltanto del gigantesco monumento funebre che l’artista avrebbe dovuto erigere per il potente papa Giulio II. Non c’è il minimo dubbio che la statua rappresenti Mosè che tiene le tavole dei Comandamenti. Mosè è raffigurato seduto, il tronco teso in avanti, il capo con la barba possente e lo sguardo diretto verso sinistra, il piede destro posato a terra, mentre il sinistro è posto in modo da toccare il suolo soltanto con le dita. Nel volto di Mosè si legge un misto di ira, dolore e disprezzo. La maggior parte dei critici descrivono la statua riferendosi al momento in cui Mosè ha avuto in consegna da Dio le tavole della legge, e si accorge che gli Ebrei fanno festa intorno al vitello d’oro. Mosè non può voler balzare in piedi, ma è in atteggiamento di calma sublime, come le altre figure e come la statua, progettata, del papa. Senza l’espressione delle passioni dell’ira, del disprezzo e del dolore, non sarebbe stato possibile mettere in risalto la natura di un tale superuomo. Michelangelo non ha creato l’immagine di un personaggio storico, ma un tipo di carattere che, grazie a un’energia irresistibile, domina le avversità del mondo; ha dato forma ai tratti riferiti dalla Bibbia, alle sue esperienze interiori, alle impressioni suscitate in lui dalla personalità di papa Giulio e anche dalla tenacia combattiva di Savonarola.

2

311-18
La figura del Mosè presenta in due luoghi alcuni dettagli mai presi in considerazione né descritti. I dettagli riguardano l’atteggiamento della mano destra e la posizione delle due tavole. Il pollice è nascosto, e soltanto l’indice tocca effettivamente la barba. Esso è premuto così profondamente nella morbida massa dei peli, che sopra e sotto la barba si rigonfia. Si può ipotizzare che la mano destra fosse in un primo tempo staccata dalla barba e che poi, in un momento di forte tensione affettiva, si protendesse verso sinistra per afferrarla, per poi infine tornare indietro portandone una parte con sé. Questa interpretazione va incontro ad alcune difficoltà, poiché la mano destra è in relazione con le tavole, che sono capovolte. Le tavole, sovrapposte, poggiano ritte su uno spigolo. Il bordo superiore procede in linea retta, quello inferiore mostra nella parte anteriore una sporgenza simile a un corno, ed è proprio con questa sporgenza che le tavole toccano il seggio di pietra. È per evitare che le tavole urtino contro il suolo che la mano destra torna indietro abbandonando la barba, una parte della quale è trascinata senza volere nella stessa direzione; poi la mano riesce a raggiungere il bordo delle tavole e le sostiene vicino all’angolo posteriore, che è ora quello più in alto di tutti. Così lo strano insieme costituito dalla barba, dalla mano e dalle tavole appoggiate sullo spigolo deriva da quell’unico movimento appassionato della mano e dalle sue conseguenze ben giustificate.

3-4; Poscritto del 1927
319-28
In un accesso d’ira Mosè sulle prime voleva, dimentico delle tavole, balzare in piedi e vendicarsi; ma la tentazione è stata superata; egli continuerà a stare seduto tenendo a freno la collera, in un atteggiamento di dolore misto a disprezzo. Non getterà le tavole a infrangersi contro i sassi, perché proprio per causa loro ha dominato la sua ira, proprio per salvarle ha frenato la sua passione. Una triplice stratificazione si esprime nella sua figura se la osserviamo a partire dall’alto. I tratti del volto rispecchiano gli affetti che sono diventati dominanti, al centro della figura sono visibili i segni del movimento represso, il piede mostra ancora la posizione dell’azione progettata. Mosè era, secondo le testimonianze della tradizione, uomo iracondo e soggetto agli impeti della passione. Tuttavia Michelangelo ha posto nel mausoleo del papa un altro Mosè, che va al di là del Mosè storico o tradizionale. Michelangelo è giunto abbastanza spesso, nelle sue creazioni, al limite estremo di ciò che l’arte può esprimere; e forse nel caso del Mosè non è riuscito appieno – ammesso che questa fosse la sua intenzione – a rendere intelligibile la tempesta di violento eccitamento attraverso gli indizi che di essa sono sopravvissuti nella quiete sopraggiunta. Nel Poscritto, rifacendosi a un articolo di H.P. Mitchell apparso nel 1921, che descriveva una statuetta in bronzo di Nicola di Verdun, risalente al 1180 e raffigurante Mosè seduto con le tavole tenute nella mano sinistra, Freud sottolinea le differenze tra le due raffigurazioni e si dice convinto che questa scoperta accresca la verosimiglianza dell’interpretazione da lui tentata nel 1914.

Inizio del trattamento (1913-14)

333-52
Lunghe conversazioni preliminari prima dell’inizio del trattamento psicoanalitico, una precedente terapia di altro genere, così come una conoscenza già in atto tra il medico e l’analizzando, hanno particolari conseguenze sfavorevoli alle quali bisogna essere preparati. Queste situazioni infatti fanno sì che il paziente si ponga di fronte al medico in un atteggiamento di traslazione già definito, atteggiamento che il medico è costretto a scoprire soltanto lentamente, anziché avere l’opportunità di osservare il crescere e il divenire della traslazione fin dal suo inizio. Si diffidi di coloro che vogliono cominciare la cura con un rinvio. Sono punti importanti le determinazioni relative al tempo e al denaro. È indifferente il materiale con cui si inizia il trattamento. In ogni caso bisogna lasciar parlare il paziente e rimettere al suo arbitrio la scelta del punto di partenza. Fintantoché le comunicazioni e le idee improvvise del paziente si susseguono senza interruzione, si lasci intatto il tema della traslazione. Occorre comunque attendere sino a che il perturbamento della traslazione venga eliminato dalle resistenze di traslazione che affiorano una dopo l’altra.

Ricordare, ripetere e rielaborare (1913-14)

353-61
L’oblio di impressioni, scene, eventi, si riduce in genere a un loro sbarramento. Per una specie particolare di situazioni molto importanti che si verificano in un’epoca assai remota dell’infanzia e che allora vengono vissute senza essere capite, mentre vengono comprese e interpretate a posteriori, non è in genere possibile suscitare il ricordo. L’analizzato non ricorda assolutamente nulla degli elementi che ha dimenticato e rimosso, ma li mette in atto. Riproduce quegli elementi non sotto forma di ricordi, ma sotto forma di azioni; li ripete, ovviamente senza rendersene conto. La stessa traslazione rappresenta un elemento della ripetizione, e la ripetizione è la traslazione del passato dimenticato, non soltanto sulla persona del medico ma su tutti gli altri ambiti della situazione attuale. L’analizzato soggiace alla coazione a ripetere (che ora sostituisce l’impulso a ricordare) non soltanto nei suoi rapporti personali con il medico, ma in tutte le altre attività e relazioni della sua vita. Il mezzo principale per domare la coazione a ripetere del paziente, e trasformarla in un motivo che stimoli il ricordo, è dato dal modo in cui è impiegata la traslazione. Si rende la coazione a ripetere innocua, o addirittura utile, quando le si riconosce il diritto di fare quel che vuole entro un ambito ben definito. Il superamento delle resistenze è avviato dal fatto che il medico scopre la resistenza che l’ammalato da solo non ha mai riconosciuto e la comunica al paziente. Si deve lasciare all’ammalato il tempo di immergersi nella resistenza a lui ignota, di rielaborarla, di superarla persistendo, a dispetto di essa, nel lavoro psicoanalitico. Solo quando la resistenza è giunta a tale livello è possibile scoprire i moti pulsionali rimossi che la alimentano. Questa rielaborazione delle resistenze può, nella pratica, risolversi in un compito gravoso per l’analizzato e in una prova di pazienza per il medico. Da un punto di vista teorico la rielaborazione delle resistenze può essere equiparata all'”abreazione” delle quantità di affetto incapsulate dalla rimozione.

Osservazione sull’amore di traslazione (1913-14)
362-74
Queste osservazioni si riferiscono al caso in cui una paziente lascia capire o dichiara esplicitamente di essersi innamorata del medico che la analizza. Per il medico questo fenomeno ha il valore di un chiarimento prezioso e di un avvertimento a premunirsi da una “controtraslazione” che eventualmente stia per prodursi in lui. Egli deve riconoscere che l’innamoramento della paziente è una conseguenza dovuta alla situazione psicoanalitica. Quanto alla paziente, le si impone un dilemma: o deve rinunciare al trattamento psicoanalitico, o deve accettare come destino inevitabile di innamorarsi del medico. La paziente innamorata perde improvvisamente ogni interesse per il trattamento e cessa di capirlo. L’amore di traslazione è una forma di resistenza. La tecnica psicoanalitica fa obbligo al medico di rifiutare alla paziente bisognosa di amore il soddisfacimento richiesto. La cura deve essere condotta in stato di astinenza. L’analista deve tenere in pugno la traslazione amorosa, ma trattarla come qualcosa di irreale, come una situazione che deve verificarsi durante la cura e va fatta risalire alle sue cause inconsce, aiutando in tal modo a ricondurre alla coscienza e quindi al controllo della paziente gli elementi latenti della sua vita amorosa. Per il medico vi è una coincidenza di motivi etici e tecnici, i quali gli vietano di concedere il suo amore all’ammalata. Per quanto in alto egli ponga l’amore, deve porre ancora più in alto l’opportunità che gli è data di far superare alla paziente una fase decisiva della sua vita.

Per la storia del movimento psicoanalitico (1914)

381-97

“La psicoanalisi è una mia creazione; per dieci anni sono stato l’unica persona che se n’è occupata, e tutto il disappunto che questo nuovo fenomeno ha suscitato nei contemporanei si è riversato sotto forma di critica sul mio capo.” Nel 1909, per la prima volta, Freud poté parlare pubblicamente di psicoanalisi nell’aula di un’università americana. La teoria della rimozione è il pilastro su cui poggia l’edificio della psicoanalisi. Essa ne costituisce l’elemento più essenziale e non è altro che l’espressione teorica di un’esperienza ripetibile a volontà se si procede all’analisi di un nevrotico senza l’ausilio dell’ipnosi. Accade in questo caso di avvertire una resistenza che si oppone al lavoro psicoanalitico e adduce a pretesto un venir meno della memoria al fine di renderlo vano. Perciò, la storia della psicoanalisi vera e propria ha inizio soltanto con l’innovazione tecnica della rinuncia all’ipnosi. La valutazione teorica del fatto che questa resistenza coincide con un’amnesia conduce poi inevitabilmente a quella concezione dell’attività psichica inconscia che è propria della psicoanalisi, e che in ogni modo si distingue notevolmente dalle speculazioni filosofiche sull’inconscio. Si può dire quindi che la dottrina psicoanalitica è un tentativo di rendere intelligibili due fatti che si sperimentano in modo sorprendente e inatteso quando ci si sforza di ricondurre i sintomi morbosi di un nevrotico alle loro fonti nell’ambito della sua vita passata: l’esperienza della traslazione e quella della resistenza. Un’acquisizione dello stesso genere è stata la scoperta della sessualità infantile, una deduzione teorica ottenuta da innumerevoli osservazioni. In un primo tempo si pensava che la descrizione dei traumi sessuali infantili fatta dai malati si basasse sulla realtà, e solo più tardi si è scoperto che essi creano tali scene traumatiche nella loro fantasia, facendole entrare a far parte della realtà psichica.

398-414
A partire dal 1902 una schiera di giovani medici si raccolse attorno a Freud con l’implicita intenzione di imparare, esercitare e diffondere la psicoanalisi. La piccola cerchia non tardò ad allargarsi mutando ripetutamente, nel corso degli anni successivi, la propria composizione. Nel 1907 risultò che la psico-analisi aveva silenziosamente guadagnato interesse e trovato amici, anzi esistevano scienziati pronti a professarla. Ripetutamente Freud ha riconosciuto con gratitudine i grandi meriti della scuola psichiatrica di Zurigo per la divulgazione della psicoanalisi, promossa soprattutto da Bleuler e Jung. Nello scritto di Jung sui fenomeni occulti, pubblicato nel 1902, si trova già un primo accenno all’Interpretazione dei sogni. Negli anni a partire dal 1907 che sono seguiti all’unificazione delle scuole di Vienna e di Zurigo, la psicoanalisi conobbe quell’eccezionale impulso sotto il cui segno si trovava ancora in quel momento; di esso esisteva una documentazione sicura sia nella diffusione degli scritti in suo favore e nel fatto che continuava ad aumentare il numero dei medici che desideravano esercitare o apprendere la psicoanalisi, sia nell’accumularsi degli attacchi sferrati contro di essa in congressi e simili. Contemporaneamente all’espansione territoriale della psicoanalisi, avvenne un dispiegamento del suo contenuto, che dalle nevrosi e dalla psichiatria si estese ad altri campi del sapere. Un altro percorso condusse dall’indagine sui sogni all’analisi delle creazioni poetiche e infine a quella dei poeti e degli artisti stessi.

415-38

Due anni dopo il primo, ebbe luogo il secondo Congresso degli psicoanalisti, a Norimberga (nel marzo del 1910). Freud riteneva necessario istituire un’associazione ufficiale perché temeva gli abusi che in nome della psicoanalisi sarebbero stati commessi non appena essa fosse divenuta popolare. Al congresso si costituirono tre gruppi locali, quello di Berlino sotto la presidenza di Abraham, quello di Zurigo che aveva ceduto il proprio capo alla direzione centrale dell’Associazione, e il gruppo viennese, la cui guida Freud lasciò a Adler. Occorre ora menzionare le secessioni di Adler e di Jung. La teoria di Adler pone in evidenza le componenti egoistiche che entrano nella costituzione dei moti pulsionali libidici. La secessione di Adler si compì prima del Congresso di Weimar nel 1911. Nel 1912, in una lettera dall’America, Jung vantò le sue modifiche alla psicoanalisi, che avrebbero infranto la resistenza di molte persone. L’argomento junghiano si fonda sulla premessa ottimistica che il progresso dell’umanità, della civiltà e del sapere si sia svolto secondo una linea ininterrotta. Freud accenna anche allo sviluppo delle pubblicazioni periodiche al servizio della psicoanalisi, nell’ordine: una collana di monografie dal titolo “Schriften zür angewandten Seelenkunde” (Scritti di psicologia applicata); lo “Jahrbuch der Psychoanalyse” (Annuario di psicoanalisi); la “Internationale Zeitschrift für ärztliche Psychoanalyse” (Rivista internazionale di psicoanalisi medica); “Imago”. La psicoanalisi ha affrontato come primo compito la spiegazione delle nevrosi; ha eletto a punti di partenza i due dati di fatto della resistenza e della traslazione; e, tenendo conto di un terzo dato di fatto, l’amnesia, li ha spiegati con le teorie della rimozione, delle forze motrici sessuali della nevrosi e dell’inconscio.

Introduzione al narcisismo (1914)

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443-51

Il termine narcisismo deriva dalla descrizione clinica ed è stato scelto da Paul Näcke nel 1899 per designare il comportamento di una persona che tratta il proprio corpo allo stesso modo in cui viene solitamente trattato un oggetto sessuale. È stato motivo di sorpresa per gli psicoanalisti osservare che singoli tratti del comportamento narcisistico si presentano in molti individui affetti da altri disturbi, e si è fatta infine strada l’ipotesi che una collocazione libidica a cui va dato il nome di narcisismo si presenti in un ambito ben più vasto di situazioni e possa rivendicare un suo posto nel normale decorso dello sviluppo sessuale umano. Un motivo pressante per occuparsi della concezione di un narcisismo primario e normale nacque in Freud quando si trattò di far collimare ciò che si sapeva della dementia praecox (Kraepelin) o della schizofrenia (Bleuler) con le premesse della teoria della libido. Un terzo apporto all’ulteriore sviluppo della teoria della libido è fornito da ciò che si ricava dalle osservazioni e interpretazioni sulla vita psichica dei bambini e dei popoli primitivi. Non può esistere nell’individuo fin dall’inizio un’unità paragonabile all’Io; I’Io deve ancora evolversi. Le pulsioni autoerotiche sono invece assolutamente primordiali; qualcosa – una nuova azione psichica – deve dunque aggiungersi all’autoerotismo perché si produca il narcisismo. La conclusione di Freud è che si può rifiutare la tesi sostenuta da Jung secondo cui la teoria della libido sarebbe naufragata nel tentativo di padroneggiare la dementia praecox, e con ciò sarebbe stata liquidata anche per le altre nevrosi.

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452-61
Freud dice di avere l’impressione che a uno studio diretto del narcisismo si oppongano speciali difficoltà. Probabilmente le parafrenie resteranno la via principale per accedervi. L’ipocondria si manifesta con penose e dolorose sensazioni corporee come il malessere organico e opera allo stesso modo anche sulla ripartizione della libido. L’ipocondriaco ritira dagli oggetti del mondo esterno interessi e libido, concentrandoli sull’organo che lo interessa. La differenza tra le affezioni parafreniche e le nevrosi di traslazione risiede nel fatto che nelle prime la libido divenuta libera a causa della frustrazione non resta legata agli oggetti della fantasia ma si ritira invece sull’Io. Il delirio di grandezza corrisponde pertanto al dominio psichico di questo ammontare libidico e costituisce l’equivalente di quell’introversione sulle formazioni fantastiche che si riscontra nelle nevrosi di traslazione: al fallimento di questa prestazione psichica fa seguito l’ipocondria parafrenica, omologabile all’angoscia delle nevrosi di traslazione. Giacché la parafrenia implica spesso, se non abitualmente, solo un parziale distacco libidico dagli oggetti, si sono potuti distinguere nel quadro clinico di essa tre gruppi di manifestazioni: 1) quelle che corrispondono a ciò che resta dello stato di normalità o di nevrosi; 2) quelle che corrispondono al processo morboso; 3) quelle che corrispondono al ristabilimento e consentono alla libido di tornare ad ancorarsi agli oggetti secondo le modalità dell’isteria o della nevrosi ossessiva.

462-72
La ricerca psicoanalitica ha sempre riconosciuto l’esistenza e l’importanza della “protesta virile”, ma ne ha sostenuto, in opposizione a Adler, la natura narcisistica e la derivazione dal complesso di evirazione. I moti pulsionali libidici incorrono nel destino di una rimozione patogena quando vengono in conflitto con le rappresentazioni della civiltà e dell’etica proprie del soggetto. La formazione di un ideale sarebbe da parte dell’Io la condizione della rimozione. A questo Io ideale si rivolge ora quell’amore di sé di cui l’Io reale ha goduto nell’infanzia. La sublimazione è un processo che interessa la libido oggettuale e consiste nel volgersi della pulsione a una meta diversa e lontana dal soddisfacimento sessuale. L’idealizzazione è un processo che ha a che fare con l’oggetto; in virtù di essa l’oggetto viene amplificato e psichicamente elevato. Forse esiste una speciale istanza psichica che ha il compito di vigilare affinché a mezzo dell’ideale dell’Io sia assicurato il soddisfacimento narcisistico, e a tal fine osserva costantemente l’Io attuale commisurandolo a questo ideale. Nel delirio di essere osservati questa forza (osservare, scoprire, criticare) compare in forma regressiva, rivelando in tal modo la sua genesi. A tutta prima il sentimento di sé ci appare un modo di esprimere l’ampiezza dell’Io. Viene discusso il sentimento di sé nelle persone normali e nevrotiche. Le relazioni esistenti fra il sentimento di sé e l’erotismo (gli investimenti oggettuali libidici) si possono esprimere nella formula seguente: bisogna distinguere il caso in cui gli investimenti amorosi sono in sintonia con l’Io da quello in cui, al contrario, hanno subìto una rimozione. Lo sviluppo dell’Io consiste nel prendere le distanze dal narcisismo primario e dà luogo a un intenso sforzo per recuperarlo. Questo allontanamento si effettua per mezzo dello spostamento della libido su un ideale dell’Io imposto dall’esterno, e il soddisfacimento è ottenuto grazie al raggiungimento di questo ideale. Viene presa in esame la relazione ausiliaria dell’ideale sessuale con l’Io ideale. L’Io ideale vincola non solo la libido narcisistica di un individuo, ma anche una quantità considerevole della sua libido omosessuale, che per questa via è riuscita a tornare nell’Io.

Psicologia del ginnasiale (1914)

477-80
La psicoanalisi ha insegnato che gli atteggiamenti affettivi verso il nostro prossimo, destinati ad avere grandissima importanza per il successivo comportamento dell’individuo, vengono acquisiti in via definitiva in un’epoca inaspettatamente remota. Già nei primi sei anni dell’infanzia il piccolo essere fissa la natura e la tonalità affettiva delle sue relazioni con le persone del suo stesso sesso e dell’altro sesso. Fra le imago che si sono formate in un’infanzia di cui di solito si è perduto il ricordo, nessuna è più importante, per il giovane o per l’uomo adulto, di quella del padre. Nel corso della fanciullezza ci si appresta a un mutamento in questo rapporto con il padre. Il fanciullo scopre che suo padre non è l’essere più potente, più saggio e più ricco della terra. In questa fase del suo sviluppo ha luogo l’incontro del ragazzo con gli insegnanti. Questi uomini, che pure non furono tutti dei padri, diventarono per noi i sostituti del padre. E perciò ci sono apparsi così maturi, così irraggiungibilmente adulti, anche se in realtà erano ancora molto giovani.

Estratto: Opere di Sigmund Freud (OSF) Vol 7. Totem e tabù e altri scritti 1912-1914, Torino, Bollati Boringhieri, 2000.