Fonte: G. W. F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della religione, Laterza, Bari, 1983, vol I, pagg. 264-267
Su ciò si fonda la differenza tra filosofia e religione. La filosofia è l’attività che converte nella forma del concetto quello che è nella forma della rappresentazione. Il contenuto è lo stesso, deve essere lo stesso ossia è la verità. Essa è questo contenuto per lo spirito del mondo in genere, per lo spirito dell’uomo. Questo sostanziale può non essere differente per l’uomo, sia che si tratti, da una parte, della rappresentazione o, dall’altra parte, dell’intelligenza; ma in quanto l’uomo pensa – e il bisogno di pensare è essenziale per l’uomo – questo contenuto si converte nella forma del pensiero, dunque è tramutato nel concetto. Sorge allora la difficoltà di separare in un contenuto quello che è il contenuto come tale, ossia il pensiero, da ciò che appartiene alla rappresentazione come tale. I rimproveri che si fanno alla filosofia si riducono a questo: che essa spoglia le forme che appartengono alla rappresentazione. Questo è il punto generale. Nei confronti della religione compito proprio della filosofia è l’elevare il contenuto assoluto, che è nella rappresentazione della religione, nella forma del pensiero. Il contenuto della religione e della filosofia è lo stesso e non può essere differente, poiché non esistono due autocoscienze dello spirito assoluto, che potrebbero avere un contenuto differente od opposto; le differenze perciò sono della forma. Di ciò non si rende conto la coscienza comune; perché per essa la verità è legata a queste determinazioni della rappresentazione; la coscienza comune opina che tolta questa viene tolto completamente anche il contenuto. Ciò può certamente avvenire e avviene anche spesso; può essere che una filosofia abbia un contenuto diverso dal contenuto religioso di una particolare religione. Abitualmente però si prende anche quella trasformazione, traduzione, per cambiamento, distruzione. Qui dobbiamo considerare piú da vicino questi momenti, ciò che appartiene al modo della rappresentazione e ciò che appartiene a quello della filosofia.
Le forme del rapporto, quali esistono nella religione, possono essere sostituite e vengono sostituite da altre nella filosofia. Ma la filosofia viene cosí opposta alla religione solo quando si astrae dal contenuto che è in sé e per sé, e quando si prendono al contrario nella religione le forme come l’essenziale. In quanto dunque nelle religioni positive queste forme sono considerate come essenziali, sembra che la filosofia combatta la religione […].
La rappresentazione ha sempre figurazioni piú o meno sensibili; essa si trova tra la sensazione immediata, sensibile e il pensiero propriamente detto. Il contenuto è di specie sensibile, ma vi si è già introdotto il pensiero che però non ha ancora permeato di sé il contenuto e non lo ha ancora sopraffatto. La rappresentazione non è il prendere il sensibile come singolo e immediato, ma essa ha già compreso il sensibile singolo nella sua universalità, nella sua interiorità spirituale. Tuttavia essa è conscia di questa interiorità e universalità che è ancora nella forma della singolarità e del sensibile. Perciò il rappresentato ha in sé ancora spazialità e temporalità; non è ancora capace di liberarsi dal naturale; perché esso stesso è il naturale preso nella sua universalità e questa stessa universalità è ancora nella forma della sua naturalità. Vi è già il pensiero ma altrettanto vi è ancora il sensibile nel pensiero, cosí che ne vien fuori una mescolanza spuria. La rappresentazione si serve perciò facilmente di espressioni figurate, analogie o modi indeterminati; una simile rappresentazione è per esempio la generazione del Figlio nell’eternità […].
Nella religione vi è una narrazione; dapprima vi è il contenuto astratto, e il suo concreto compimento appare come una cosa naturale e perciò come un accaduto nel tempo. Quello che è essenzialmente momento della vita di Dio appare in forma figurata, come cosa accaduta nel tempo, e ogni nuovo momento del contenuto determinato sembra succedersi nel tempo. Solo nel pensiero concettuale si palesa l’interiorità, l’in sé della connessione, la sua vera unità che, penetrandosi eternamente, si rivela solo al pensiero che concepisce.