Una psicosi necessita di una condizione preliminare, il Nome-del-Padre è precluso, ossia non iscritto nel luogo dell’Altro. L’appello del soggetto rivolto al Nome-del-Padre non fallisce per l’assenza del genitore, ma per quella del significante: al posto del significante paterno, nel luogo dell’Altro, c’è un buco. Tali condizioni preliminari sono per Lacan necessarie ma non sufficienti per lo scatenamento della psicosi. Affinché si realizzi una psicosi è necessario che il soggetto, confrontandosi con una situazione di vita reale, in una relazione duale che lo coinvolge in un’area investita libidicamente (scuola, amore, lavoro, …), nel momento in cui prova a richiamare, a fare appello al significante paterno, che gli consentirebbe in qualche modo di affrontare la sua situazione concreta, non incontra questo significante, ma la sua mancanza, mancanza che è, tuttavia, sostituita, nel reale, da qualcosa che supplisce al significante paterno che manca nel simbolico. In altre parole, lo scatenamento, emerge quando il soggetto, coinvolto in una relazione immaginaria investita libicamente, trova nel luogo terzo della posizione simbolica una figura immaginaria al posto di un significante, figura che finisce per ricoprire in qualche modo la funzione paterna. Per risolvere questa “congiuntura drammatica” (così la chiama Lacan), dove il soggetto, seppur facendo appello al significante paterno, non ottiene dall’Altro l’emersione di quel significante paterno in grado di sostenerlo simbolicamente, ciò che invece vede emergere dall’Altro, nel punto di mancanza dell’Altro, è una figura denominata da Lacan l’“Un-padre”[1], che incarna nel reale, il significante paterno forcluso, ovvero non iscritto nel simbolico: “Si cerchi all’inizio della psicosi questa congiuntura drammatica. Che si presenti per la donna che ha appena partorito nella figura dello sposo; per la penitente che confessa la sua colpa, nella persona del confessore; per la ragazza innamorata, nell’incontro col “padre del ragazzo”, la si troverà sempre, e tanto più facilmente quanto ci si orienti sulle “situazioni” nel senso romanzesco del termine”[2]. Lacan ironizza con gli studiosi che si muovono a “tastoni” nel tentativo disperato “distinguere fra il padre tuonante, il padre bonario, il padre onnipotente, il padre umiliato, il padre goffo, il padre derisorio, il padre faccendiero, il padre girovago” o che “vanno errando come anime in pena dalla madre frustrante alla madre ingozzate”. È necessario intercettare nello scatenamento psicotico sempre quella struttura simbolica che però sempre si presenta attraverso figure della vita quotidiana.
In “Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi“, scritto tra il dicembre 1957 e il gennaio 1958, pubblicato sul vol. IV de La Psychanalyse, confluiscono i temi del Seminario III e del Seminario IV. È in questo testo che appare la prima volta il concetto della metafora paterna. Mentre nel Seminario III, per la prima volta Lacan introduce la formula del significante Nome-del-padre. La metafora paterna si costruisce a partire dal concetto di fallo, in quanto connesso al significante paterno, in altre parole essa si fonda sullo stretto legame tra complesso di castrazione e complesso di Edipo. L’attribuzione della procreazione al padre può soltanto essere effetto di un puro significante, di un riconoscimento non del padre reale ma di ciò che la religione ci ha insegnato a invocare come Nome-del-Padre[3]. Lacan considera il fallo un significante immaginario, e in quanto immaginario il fallo è il fulcro della dialettica identificatoria che include il bambino e l’Altro, nelle sue sembianze materne e paterne. Nella sua funzione immaginaria il fallo è il “perno del processo simbolico che compie nei due sessi la messa in questione del sesso da pare del complesso di castrazione”[4].
[1] Jacques Lacan, op. cit., p. 573
[2] Jacques Lacan, op. cit., p. 574
[3] Jacques Lacan, op. cit., p. 552
[4] Jacques Lacan, op. cit., p. 551