Qualcosa è là, ad aspettarci (3/14)

La vita è davvero una causa persa? Qualcosa è perso. Irrimediabilmente. Gli psicoanalisti parlano di oggetto perduto.

Ma di cosa parlano quando dicono “oggetto perduto”? Di “oggetto trovato e ritrovato”.

Quell’oggetto primordiale è “La Cosa”[i], che cerchiamo, insistentemente e che non troviamo mai. Al suo posto troviamo delle cosucce, cianfrusaglie, moneta spicciola.

Abbiamo la cosa cercata e le cose trovate.

Accanto al neonato c’è qualcuno, c’è un prossimo, è il primo Altro del bambino che generalmente è la madre.

C’è il bambino, c’è “La Cosa”, e c’è l’Altro accanto al bambino. Ci ricordiamo dell’Altro, del primo prossimo, attraverso un lavoro sul ricordo, su “qualcosa” che dice qualcosa che viene dal corpo.

Il primo Altro, il primo prossimo, il primo Altro reale, la madre, indica la presenza del primo simile, indica la separazione, la prima realtà esterna, estranea, il primo oggetto di soddisfacimento, il primo oggetto ostile perché in grado rifiutare l’aiuto necessario per sopravvivere, per soddisfare i bisogni essenziali.

Il primo oggetto di soddisfacimento è stato il primo essere umano prossimo che, essendo anche l’unica risorsa di sostentamento, fondamento per la sopravvivenza, è anche il primo oggetto di ostilità, proprio perché può determinare la vita ma anche la morte.[ii]

Grazie all’essere umano prossimo impariamo a conoscere.

Le percezioni che sorgono da questo prossimo saranno uniche ed irripetibili.[iii]

Questo accadrà anche con le altre percezioni dell’oggetto, se l’”oggetto” grida, ricordare le proprie grida potrà riattivare un vissuto di dolore.[iv]

Freud in tal senso dice che il “complesso di un altro essere umano” si scompone in due parti: una è compatta, costante e coerente, uno stato endosomatico, una sensazione corporea, mentre l’altra può essere solo ricordata, ossia compresa grazie alla memoria, “può, cioè, essere ricondotta a un’informazione che [il soggetto] ha del proprio corpo”.[v]

Impariamo dunque a distinguere, a conoscere, grazie all’Altro.

La Cosa è quella parte del “primo essere umano prossimo” (l’Altro), che resterà sempre inaccessibile, impossibile, estranea e per certi versi ostile, ma sarà strutturalmente costante: essa si troverà sempre allo stesso posto.

La Cosa sarà allo stesso tempo perduta e il fulcro intorno al quale ruoterà la nostra ricerca, la ricerca di quel soddisfacimento per sempre perduto, di quella prima esperienza di felicità.[vi]

Quindi, i resti di quelle due esperienze, quella di dolore e quella di soddisfacimento, sono per Freud gli affetti e gli stati del desiderio che comporteranno anche un aumento di tensione (energia interneuronica).

Entrambi questi stati sono alla base del flusso di energia interneuronica che colpisce i neuroni del sistema memoria, facendo assumere a certi ricordi una “forza coattiva”.

Il desiderio spinge il soggetto verso l’oggetto, verso la sua immagine mnestica, l’esperienza dolorosa invece porta a respingere l’immagine mnestica ostile (difese primarie).

La forza attrattiva del desiderio sembra essere causata dall’investimento dell’immagine mnestica gradevole, caratterizzata da un flusso di energia (interneuronica) molto più intensa di quelle esperibile per una semplice percezione. Invece, le esperienze primarie di dolore, si interrompono per effetto di una difesa riflessa, automatica, ovvero per l’emersione di qualcosa che sostituisce l’oggetto ostile prendendo il suo posto, ponendo fine all’esperienza di dolore. Tale processo, dice Freud, “istruisce biologicamente” il corpo che cercherà di riprodurre “lo stato che ha segnato una cessazione del dolore”. [vii]

Quindi, se inizialmente, nelle prime fasi di vita si vive un’esperienza di dolore automatico, riflesso, di fronte ad un oggetto che si ipotizza essere ostile, questo oggetto viene sostituito da un altro che pone fine all’esperienza di dolore. Questo oggetto (perduto per sempre) sarà cercato per tutta la vita, infatti, si cercherà ogni volta l’identità tra pensiero e percezione, ed ogni volta questa identità non sarà mai trovata. Un’identità tra il ricordo e la percezione reale che ha indotto il ricordo stesso. Quindi il corpo si porterà dentro un “comando biologico” che agirà indipendentemente dalla nostra volontà.

Ecco il cuore del desiderio inconscio.

Il primo Altro, il primo essere umano prossimo, il primo oggetto, può rifiutarsi di dare un aiuto, può rifiutarsi di soddisfare il bisogno e questo può produrre un segnale di dolore al quale fa seguito un grido che ha la funzione di caratterizzare l’oggetto.[viii]

L’esistenza dell’oggetto è possibile grazie al grido. È il grido a qualificare la natura ostile, cattiva, dell’oggetto.

Il grido, come riflesso, come scarica dice qualcosa sull’oscurità dell’Altro

È un primo tentativo di mettere in discorso l’Altro.

Il grido diventa domanda di qualcosa, l’Altro, la madre (o chi per essa), lo accoglie come appello: “che vuoi?”. Facciamo un esempio. Il bambino ha fame. Questo crea uno scompenso metabolico di fronte al quale il neonato emette un grido. La madre decide che quel grido significa che il lattante ha fame e dunque gli dà il seno. È attraverso questa mossa dell’Altro che il bambino “sa” che quella determinata condizione del corpo vuol dire che ha fame. “Questa sensazione vuol dire che ho fame”, altrimenti sarebbe stata una sensazione corporea priva di senso, un urlo inascoltato nell’oscurità del non senso.

Il primo essere umano prossimo è un essere parlante, orientato dal suo desiderio.

Il “che vuoi” della madre, per il bambino diventerà “come mi vuoi?”.

Cosa vuoi Tu, Altro, da me, quale è il tuo desiderio?

Cosa sono io per te? Che posto ho nel tuo desiderio?

Il soddisfacimento del neonato è totalmente legato all’Altro, al primo essere umano prossimo, al quale si riferisce attraverso un grido, dal quale si differenzia grazie ad un grido. L’altro è un simile e allo stesso tempo Altro. Rappresenta un primo incontro con la realtà, la prima prova di realtà.[ix]

La rappresentazione (Vorstellung) testimonia la realtà di ciò che ci si rappresenta, dell’immaginato, cioè rende nuovamente presente qualcosa che è stato precedentemente percepito in un dato momento anche se quell’oggetto in questo momento non c’è più là fuori, esternamente.

La Cosa, viene ritrovata nella rappresentazione, cioè, viene prima trovata e poi si inizia a cercarla, si inizia a cercarla nella Vorstellung, nell’immagine, nell’immaginazione o, per dirla con Lacan, nell’“elemento immaginario dell’oggetto”, nella sua fantasmizzazione. Infatti, nel pensiero antico un primo concetto riconducibile a quello di rappresentazione lo incontriamo nella lettura platonica e aristotelica della φαντασία, del fantasma nel senso di immagine rassomigliante alla percezione priva della materia che l’ha prodotta.

Oltre alle rappresentazioni, noi umani abbiamo a che fare con i rappresentanti delle rappresentazioni (Vorstellungsreprasentaz), con i significanti, che diventano quelle cose che troviamo al posto della Cosa, ossia le parole, i “giri di parole”.

L’oggetto primordiale lo si ritrova perché non è stato mai realmente perso, lo ritroviamo ogni volta lì, davanti a noi, ma per poterlo ritrovare tuttavia dobbiamo necessariamente averlo perduto. Giri di parole, appunto. Lo ritroviamo in parte nel nostro corpo, in parte fuori di noi, grazie al linguaggio, grazie alla nostra partecipazione al mondo esterno, condiviso.

Ciò che viene cercato non è l’oggetto primordiale, ma le tracce mnestiche, i segni della percezione, i segni della prima esperienza di soddisfacimento ottenuto grazie al primo Altro.

Ciò che è trovato è cercato nelle vie del significante, dirà Lacan, cioè nel pensiero materiale.

Nell’albore di quelle prime rappresentazioni che graviteranno intorno all’indicibile della Cosa, dell’oggetto che resta muto, ma non per questo privo di linguaggio; la Cosa è iscritta nel linguaggio e la sua è una parola non pronunciata, senza risposta.

Anche ciò di cui non possiamo dire niente possiamo non dirne solo e soltanto attraverso il linguaggio, anche l’inconoscibile, l’indicibile ha la struttura del linguaggio.

In questo senso si passa dalla Cosa alle cosucce, alle nostre cose, alle “mie cose”, gli effetti dell’incontro mancato con la Cosa, si manca l’incontro ma la Cosa produce lo stesso i suoi effetti: cianfrusaglie.

Qualcosa è là, ad aspettarci.

Anche se non lo incontreremo mai, se non ritrovandolo.

È quel primo Altro prossimo, irraggiungibile, oggetto primordiale, intorno al quale ruoterà la nostra ricerca, il nostro desidero.

Un marinaio esperto può riconoscere alcuni segnali in mare che per un occhio inesperto sono impercettibili, segnali che possono emergere solo nominandoli. Sono brandelli di reale che diventano leggibili, diventano segni, tracce, emergono all’esistenza, diventano qualcosa di rilevante, di interessante, di utile per noi. Allo stesso tempo, il linguaggio che nomina che fa esistere queste “cose” le fa anche sparire in quanto cose, per farle esistere in quanto segni, significanti.[x]


[i] Il “Das Ding” di cui Freud ci parla in “Progetto di una Psicologia” del 1895 e che sarà presente anche nello scambio epistolare con Fliess.

[ii] «L’essere umano prossimo […], un oggetto siffatto è stato simultaneamente il primo oggetto di soddisfacimento e il primo oggetto di ostilità, così come l’unica forza ausiliare.» Freud S., Progetto, OSF, vol. 2, p. 235.

[iii] I suoi lineamenti, i movimenti delle mani «coincideranno nel soggetto con i suoi ricordi di analoghe impressioni visive del suo corpo, i quali si assoceranno a ricordi di movimenti sperimentati da lui stesso.» Ibidem.

[iv] «Quindi, per esempio, se l’oggetto grida, un ricordo delle proprie grida risusciterà [nel soggetto] rinnovando le sue esperienze di dolore.» Ibidem.

[v] Ibidem.

[vi] Glück, felicità, Glücken, prosperità.

[vii] Freud S., Progetto, op. cit. p. 227.

[viii] “Esistono, in primo luogo degli oggetti (percezioni) che fanno gridare perché causano un dolore; ed è un fatto estremamente significativo che questa associazione di un suono con una percezione, la quale è già di per sé stessa composita, sottolinea il carattere ostile dell’oggetto e serva a dirigere sulla percezione. Dove altrimenti, a causa del dolore, non si riceverebbero chiari segni di qualità dell’oggetto, l’informazione del proprio grido serve a caratterizzare l’oggetto. Questa associazione è quindi un mezzo per rendere i ricordi che producono dispiacere coscienti e oggetto di attenzione: la prima categoria dei ricordi coscienti è stata così creata. Da questo punto non vi è che un breve passo alla scoperta del linguaggio.” Freud S., Progetto, op. cit., p. 264-265.

[ix] Qui non è in gioco la questione di trovare o meno nella percezione ciò che ci si rappresenta in quel momento, “il fine primo e più immediato dell’esame di realtà non è […] quello di trovare nella percezione reale un oggetto corrispondente al rappresentato, bensì di ritrovarlo, di convincersi che è ancora presente.” Freud S., Negazione, 1925, posiz. 87867, “sich ueberzeugen”, “testimoniarsi” che è ancora presente nella realtà.

[x] La Cosa non viene tout court sostituita dal suo significante, piuttosto quest’ultimo renderà possibile una sua evocazione, per farla diventare oggetto. Il Das Ding, La Cosa, diventa sache, che ha la stessa radice di sagen, che significa dire. La sache è la parola della Cosa, dice Lacan, la Cosa che viene detta è l’oggetto.