Per agire necessitiamo di punti di riferimento immobili, fissi, cioè delle
“forme immobili”: questa sedia, questa penna, questa porta, questo tavolo. Per
Bergson la realtà è in movimento, in continuo movimento. La percezione di una
forma (sedia, penna, porta, tavolo) è un’istantanea fissata su una transizione.
Ciò consente di avere delle “prospettive stabili sulla instabilità”, cioè,
questo fermo immagine “solidifica in immagini discontinue la continuità fluida
del reale”.
Facciamo l’esempio di un movimento semplice, come il
tragitto di una mano quando si sposta da A in B. Questo tragitto è dato dalla
mia coscienza come un tutto indiviso, tuttavia, “bisognoso” di simmetria. «Se
la linea AB rappresenta la durata trascorsa del movimento compiuto da A in B,
essa non può in nessun modo, essendo immobile, rappresentare il movimento che
si compie, la durata che scorre; per il fatto che questa linea è divisibile in
parti, per il fatto che termina con dei punti, non si deve concludere né che la
durata corrispondente si compone di parti separate, né che sia limitata dagli
istanti».[i]
Ora, Bergson, sottolinea che fin dal pensiero greco, la filosofia ha tentato di
comprendere il senso del divenire all’interno di quel che il filosofo francese
chiama “metodo cinematografico”, che è una modalità di rappresentarsi il fluire
del divenire all’insegna dell’utile, cioè la filosofia, cercando di spiegare
quel “divenire”, inserisce “negli intervalli fra due istantanee”, altre
istantanee, altri fermi immagine, finendo per interrogarsi non più sul divenire
ma sull’immutabilità di ogni punto (virtuale) di arresto di questo continuo
fluire. È così che le infinite posizione successive di un corridore si
contraggono in un solo atteggiamento simbolico, che il nostro occhio
percepisce, che l’arte riproduce e che diventa per tutti l’immagine di un uomo
che corre.
[i] Bergson H., Materia e memoria, Editori la Terza, 2004, Milano-Bari, p. 160.