In Italia agli Inizi del ‘900 impera l’ottica dell’emarginazione come possiamo constatare nel R. D. 3126 del 1923 della Riforma Gentile che regolamenta l’istruzione per i ciechi e i sordomuti nella quale si stabilisce che gli handicappati dovranno essere educati in istituzioni separate nelle scuole speciali o nelle cosiddette classi differenziali. L’articolo 230 del T.U./1928 sanciva che sarebbero stati i medici del Regno a promuovere gli studi di morfologia e psicologia e che l’assistenza e l’istruzione dei giovani con handicap sarebbe stato affidato al ministero della P.I. mentre l’art 415 del Regolamento 1297/28 stabiliva che lo studente con problemi psichici fosse allontanato definitivamente dalle classi normali per essere inserito in classi cosiddette differenziali.
Sarà l’articolo 34 della Costituzione Italiana a sancire che “la scuola è aperta a tutti”, ma è noto che l’applicazione di tale principio sarà disatteso fino addirittura agli anni ’60: l’inserimento scolastico del bambino e del giovane disabile sarà contrassegnato da un approccio metodologico in prevalenza medico e caratterizzato da una diffusa emarginazione che purtroppo tenderà a separare dal contesto familiare e socio-ambientale l’intervento di integrazione e/o sostegno riabilitativo. Questo modus operandi ha fatto sì che l’integrazione dei disabili si riducesse in realtà al mero inserimento di questi ultimi presso scuole speciali, finalizzate sì all’educazione, ma solo di persone con handicap, ponendo in questo modo l’accento esclusivamente sulla correzione del ‘difetto’ derivato dalla minorazione, senza darsi cura della personalità globale del bambino e del suo bisogno di confrontarsi con i coetanei e con il suo ambiente sociale.
Sarà la Legge 118 del 1971 nell’articolo 28 a stabilire il diritto dei disabili a frequentare la scuola di “tutti”: “L’istruzione dell’obbligo deve avvenire nelle classi normali della Scuola Pubblica, salvo i casi in cui i soggetti siano affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o rendere molto difficoltoso l’apprendimento o l’inserimento nelle predette classi.” Anche se la prima parte di questo articolo sancisce il diritto all’integrazione scolastica nelle classi normali da parte dei portatori di handicap (per altro già riconosciuto negli articoli 34, 37 e 38 della Costituzione Italiana, ma sin qui largamente disattesi), la seconda parte è stata troppo spesso utilizzata, nei fatti, come alibi per ulteriori esclusioni e discriminazioni, basti pensare alla sentenza della Corte di Cassazione che stabilì le sorti di un alunno di Livorno asserendo che egli non aveva diritto di frequentare le classi proprio per le motivazioni elencate nella seconda parte della norma.
Con la Legge 517 del 1977, diviene effettivo il principio di integrazione scolastica dei disabili, ed inoltre vengono abolite le classi “differenziali” e di “aggiornamento”, istituite da una legge del 1962:
- Articolo 2 (scuola elementare): definisce che le forme di integrazione si debbano attuare attraverso attività didattiche poste in essere da insegnanti specializzati comunemente denominati come insegnanti di sostengo (DPR 970/75)
- L’articolo 7 (scuola media): sancisce che “sono previste forme di integrazione e sostegno a favore degli alunni portatori di handicap da realizzare mediante l’utilizzazione di docenti di ruolo o incaricati a tempo indeterminato, in possesso di particolari titoli di specializzazione, [….] entro i limiti di una unità per ciascuna classe che accolga alunni portatori di handicap e nel numero massimo di sei ore settimanali. Le classi che accolgono alunni portatori di handicap sono costituite con un massimo di venti alunni.”
Nelle classi che ospitano portatori di handicap (sia nella scuola elementare che media) deve essere garantita l’integrazione specialistica, il servizio socio-psico-pedagogico e diverse forme di sostegno.
L’articolo 12 della legge 270 (1982) ha stabilito che per ogni insegnante di sostegno è possibile avere un numero non superiore a 4 alunni con handicap, anche se nella riforma dell’ordinamento della scuola elementare è stato prevista l’eventualità di modificare tale rapporto di presenza nel caso di handicap particolarmente gravi.
Non pochi sono stati i problemi che hanno accompagnato l’organizzazione delle diverse applicazioni della legge 517/77, numerose sono state le Circolari Ministeriali che hanno di volta in volta precisato, ad esempio, il ruolo che l’insegnante di sostegno avrebbe dovuto avere, le norme di valutazione dei studenti disabili per le prove d’esame di licenza media e inoltre i regolamenti in riferimento agli accordi che gli Istituti Scolastici avrebbero dovuto tenere con i servizi socio-sanitari della USSL, tutto ciò ha prodotto una fase di confusione organizzativa soprattutto nel coordinamento operativo.
L’inserimento dei giovani con handicap nelle scuole superiori ha trovato una svolta importante nella sentenza della Corte Costituzionale del 1987 (n. 215) dove si dichiara illegittimo l’art. 28 della Legge 118/71 ove si stabiliva che “sarà facilitata” la partecipazione alle attività didattiche della scuole medie superiori invece di disporre che tale frequenza “è assicurata“. Successivamente una Circolare del Ministro della Pubblica Istruzione (n. 262 del 1988) fornisce maggiori dettagli e sancisce ” l’effettività del diritto allo studio di alunni con handicap di qualunque tipologia in ogni ordine e grado di scuola “.