La psicoterapia interviene su disagi di natura ed entità diversa, che possono oscillare dal modesto disadattamento o disagio personale fino ad una sintomatologia grave e che possono precipitare in sintomi nevrotici o psicotici tali da compromettere la vita ingenerando una profonda sofferenza nell’individuo. Le finalità sono il cambiamento dei processi psicologici dai quali dipende la sofferenza o lo stile di vita inadeguato e disfunzionale.
Ci sono problemi che appaiono insormontabili, quando qualcosa di indefinibile si impone impedendo di vedere vie d’uscita. La psicoterapia interviene sulle cause profonde di questa condizione agendo sui conflitti alla base del malessere, con l’obiettivo di aprire a nuove possibilità esistenziali, a nuove opportunità di vita. Essa può avere presa anche su problematiche prive di sintomi gravi, cioè su quei disagi mossi dalla necessità di fare luce sui propri desideri, di scandagliarli alla ricerca di una riconciliazione più profonda con la propria reale e autentica natura, per raggiungere un maggiore benessere esistenziale attraverso la ricerca di nuovi percorsi in grado di decostruire i problemi in parti più piccole, promuovendo la capacità di saperci fare col proprio disagio, già insita in ciascuno. Essa è in grado trasformare la condizione di sofferenza in una opportunità di crescita. Attraverso un percorso psicoterapeutico individuale è possibile ri-storicizzare la vita a partire da una nuova visione delle cose.
Spesso si sente dire che la psicoterapia interviene solo sugli aspetti psicologici mentre, per esempio, i psicofarmaci intervengono sul cervello modificando concretamente il malessere di un paziente. Tralasciando la complessa querelle del rapporto mente-cervello, il premio Nobel Eric Kandel ha dimostrato che la psicoterapia agisce sul cervello, che essa è un trattamento biologico nel senso che neutralizza le mappature cerebrali disfunzionali promuovendo percorsi alternativi, nuovi, che aprono al cambiamento.
La psicoterapia orientata dalla psicoanalisi si fonda su evidenze scientifiche. Pensieri e sentimenti alla base del comportamento del paziente tendono ad organizzarsi in una modalità “non saputa” dal paziente. Fare spazio alla storia personale, alle proprie esperienze, alle relazioni passate e presenti con l’altro, all’immaginazione e alla fantasia è di fondamentale importanza nel processo terapeutico. Gli obiettivi sono: la risoluzione del conflitto intrapsichico, la ricerca della verità su se stessi, miglioramento delle relazioni interpersonali, nuovo significato della propria vita.
La psicoterapia interviene su molteplici sintomi: ansia, attacchi di panico, depressione, fobie, ossessioni, i disturbi del comportamento alimentare – anoressia e bulimia – e della sfera sessuale, disturbo bipolare, il comportamento compulsivo, l’abuso di sostanze (alcol, droghe, farmaci ecc.), disturbi della personalità, le forme di disagio personale non psicopatologicamente strutturato (difficoltà relazionali, affettive, interpersonali), e i fenomeni relazionali complessi quali il mobbing, il conflitto coniugale o stress da lavoro.
Per esempio, in quest’ultimo caso, in alcuni soggetti il lavoro può diventare una dipendenza, un appoggio attraverso il quale evitare di affrontare questioni irrisolte, domande scomode sulla propria vita e questa fuga da se stessi può tradursi in condotte eccessive, in iperattività lavorativa. Il lavoro diventa strumento per esprimersi, dimensione dove entrano in gioco identificazioni con i genitori o persone di riferimento, è una componente essenziale per ciascun soggetto. Il lavoro, oltre che consentirci il sostentamento, diventa ricettacolo di sogni, progetti, desideri, paure. Ma può diventare causa di stress quando si ha la sensazione di non riuscire a portare a termine un compito da soli, perché ci si sente insicuri o si vuole la perfezione, oppure perché, nonostante gli ottimi risultati raggiunti, nonostante il fatto di aver lavorato bene, con professionalità, ci si sente insoddisfatti, perché si poteva fare di più, ancora di più. In altri casi invece si resta costantemente in attesa di una parola di approvazione dal capo, quel riconoscimento senza il quale ci si sente inadeguati e quindi si lavora sempre di più, per farsi notare, per essere considerati. Ci sono poi situazioni in cui si da tutto se stessi al lavoro rinunciando alla salute, agli affetti, agli interessi, senza staccare mai, senza pause, sempre disponibili a rispondere a tutte le richieste. Vivere nella fatica, nello stress, nella continua tensione dell’essere produttivi crea una paradossale condizione di comfort, entusiasmo, illusione di pienezza. Tutto il resto passa in secondo piano. Se da un lato il lavoro rappresenta lo strumento attraverso il quale poter raggiungere l’indipendenza, l’autonomia, in questi casi si precipita in una dipendenza: il giudizio, la necessità del riconoscimento, il terrore della disapprovazione e tutto ciò crea una condizione che può portare ad un crollo importante.