Aumenta vertiginosamente il numero di giovani che spezzano ogni legame sociale con la scuola, la famiglia, gli amici. Sono giovani che compromettono il loro futuro presi nel vortice della loro sofferenza psichica. Il tessuto sociale, sanitario pubblico non riesce più a dare un posto a loro che chiedono aiuto attraverso l’irrequietezza e i passaggi all’atto: sono ragazzi che tendono a chiudersi, che hanno crisi di pianto, che possono essere aggressivi, che si agitano, fanno fatica a dormire da soli, chiudono continuamente di poter usare il cellulare….
Come leggere ciò che si nasconde dietro a un ragazzo irrequieto, difficile, turbolento? È valido sostenere l’ipotesi che un ragazzo oppositivo in realtà vuole domandare, vuole essere riconosciuto, ma ha necessità di un posto e di un tempo per farlo? Un posto dove poter enunciare, prendere parola?
Se il cucciolo di essere vivente non umano, appena nato, riesce a stare in piedi, riesce a cercare da solo il latte della madre, il cucciolo di uomo, solo, privo dell’altro, vive una condizione di assoluta impotenza. È attraversato da sensazioni frammentate. Per esempio, quella della fame, è vissuta come un stato di tensione che cresce, momento dopo momento e alla quale viene associata inevitabilmente un valore affettivo di dispiacere, di dolore. Quella condizione di angoscia può essere attenuata solo da un’azione di qualcuno. Il cucciolo d’uomo, da solo, è impotente, è in balia dell’altro. Non è in grado di nutrirsi, non ha le capacità sensoriali e motorie per farlo. L’unica cosa che può fare, è gridare. L’altro (la madre o chi per essa) risponde al grido offrendogli un “seno” che lo nutre, sollevandolo dal bisogno. Il seno offre un “senso” a quel grido. Tra il grido e il sollievo indotto dall’azione dell’altro si forma un’associazione. L’associazione tra il grido e l’azione coincidono nel tempo, in una simultaneità. La risposta dell’altro umanizza il grido che altrimenti si disperderebbe nel nulla, lasciando cadere nell’abisso il cucciolo di uomo. La risposta trasforma il grido in una domanda d’aiuto: ho fame!
Il baratro dell’angoscia si esperisce quando ritorniamo a essere grido disperso nel nulla, un suono senza senso. È questo l’abisso dove rischiano di cadere i ragazzi che stanno molto male.
Il grido è una prima cellula del desiderio, il grido è una domanda che, se tradotta, implica l’amore: chi sono? Cosa sono per te?”.
Spesso i ragazzi non formulano una domanda, gridano attraverso le loro azioni impulsive o attraverso l’irrequietezza, i passaggi all’atto. Sono i genitori in crisi perché non ce la fanno a domandare un aiuto. Sono i servizi sociali o quelli sanitari che domandano. Sono le scuole, che con le loro scarse risorse, le fragilità organizzative, la demotivazione, mollano la presa.
Freud ha dimostrato che le antiche relazioni in cui un bambino è coinvolto, si ripresentano per il soggetto, a volte, facendolo ammalare. Il momento in cui si realizza questo ritorno del passato è l’adolescenza. Periodo in cui quelle antiche esperienze vengono a scontrarsi con le nuove strutture psichiche che nel frattempo hanno formato un primo nucleo di personalità, il miraggio di un io. Nell’adolescenza il soggetto deve coniugare il bambino di allora, con il giovane di adesso. La fatica di adeguare il passato con il presente genera una certa sofferenza che, per alcuni, diventa insostenibile: sono ragazzi che fanno fatica a venire a patti con il mondo, rifiutando non solo le regole, ma tutto ciò che il mondo può offrire loro.
Come si ascolta un adolescente che dice di non voler essere ascoltato? Come gli si dà un posto se lui rifiuta l’offerta? Come si accolgono le sue aggressioni, le provocazioni, le fughe? Come si crea un luogo in grado di aiutarlo a decifrare ciò che gli accade? Come si assume la posizione di un partner non troppo persecutorio ma allo stesso tempo in grado di aiutare a pacificare la pulsione autodistruttiva?
Questo servizio ha come obiettivo quello di accompagnare genitori e figli verso il superamento del disagio familiare connesso ad una situazione specifica. Il terapeuta potrà lavorare con il minore, con la coppia genitoriale o con l’intero nucleo familiare.
È consigliabile un intervento di questo tipo quando il minore mostra un disagio evidente o quando i genitori sono in crisi nella gestione di alcuni dei suoi comportamenti. A volte, le difficoltà coinvolgono l’intero nucleo familiare che può trovarsi ad affrontare una separazione, un lutto, una malattia, un cambiamento importante, il cambio di scuola, una crisi economica, la nascita di un fratellino o di una sorellina….
Spesso i sintomi che accompagnano queste fasi e che possono orientare verso una richiesta di un intervento di consulenza e terapia per l’età evolutiva sono quando nel minore sono osservabili: condotte aggressive, crisi di rabbia, oppositività, difficoltà con le regole, difficoltà scolastiche, difficoltà di relazione con i coetanei, ansia, fobie paure, tendenza a isolarsi o alla malinconia, problemi nell’addormentamento, paure notturne o difficoltà nel dormire nel proprio letto, problemi di alimentazione, controllo sfinterico, difficoltà di attenzione o iperattività, comparsa di comportamenti tipici dei bambini più piccoli o perdita di abilità (es. vestirsi da soli) acquisite precedentemente, sintomi psicosomatici (privi di causa medica riscontrabile.
Le domande tipiche dei genitori che stanno valutando di chiedere una consulenza o terapia per l’età evolutiva sono: perché mio figlio fa così fatica a scuola? Mangia così poco o così tanto o in modo così disordinato? Perché è così agitato, triste o arrabbiato? Perché trascorre così tanto tempo col cellulare o al computer? Come devo comportarmi quando non vuole dormire da solo o in camera sua o si ostina a voler dormire con me? Perché mio figlio ha così spesso il mal di testa o di pancia? Come possiamo comunicargli che ci stiamo separando, di una malattia o di un lutto?