Una rappresentazione è qualcosa che sostituisce un’altra cosa, un’altra cosa che può appartenere alla realtà condivisa oppure appartenere al mondo della fantasia.
La parola sedia, per esempio, indica, tra le altre, anche la sedia sulla quale adesso sono seduto a scrivere.
Una rappresentazione non è una copia identica di ciò che rappresenta, ne riassume solo alcuni aspetti. Essa fa parte di un insieme di rappresentazioni collegate tra di loro, che corrispondono, in un certo qual modo, a quelle esistenti tra gli oggetti del mondo che viene rappresentato.
Se misuriamo la temperature corporea di Marco e questa corrisponde a 36, questo valore rappresenta solo uno degli aspetti di Marco e tale aspetto è tale perché può essere messo in relazione a quello di altre persone del mondo rappresentato.
Aristotele e gli stoici usarono il termine phantasia per indicare qualcosa che è a cavallo tra il somatico e lo psichico, tra il percepito e il pensato, tra ciò che si percepisce (aistheta) e ciò che si pensa (noemata), qualcosa che è in grado di richiamare una determinata esperienza percettiva quando ormai l’esperienza non c’è più, quando ormai l’oggetto non è più presente. Phantasia è qualcosa che sostituisce ciò che appartiene al mondo esterno e a quello interno.
Phantasia deriva da phainestai (apparire) ed è la parola usata nell’antichità per indicare quello che oggi indichiamo con la parola rappresentazione.
Storicamente viene attribuita a Cartesio la delicata operazione concettuale che ha portato alla scissione tra la dimensione psichica e quella somatica, e questo sembra aver orientato verso una concezione della rappresentazione quasi esclusivamente ad appannaggio della psiche. Freud invece la riannoderà alla dimensione somatica.
Freud (in Progetto di una psicologia) sostiene che l’inconscio è costellato da rappresentazioni di cose.
Il preconscio ha la funzione di associarle a delle rappresentazioni di parola. L’insieme cosa-parola può accedere alla coscienza a seguito della scarica di neuroni verbali motori, dice Freud, sostanzialmente, parlando.
Il metodo psicoanalitico ha la funzione di dare parola a ciò che non ne ha.
Nelle ricerche metapsicologiche del 1915, Freud usa i termini Triebrepräsentant, rappresentante e Triebrepräsentanz, «rappresentanza pulsionale», invece che Vorstellung (rappresentazione).
Tali termini danno rilievo alla componente quantitativa del funzionamento psichico e sottolineano che il concetto di rappresentazione in psicoanalisi è diverso da quello che troviamo in filosofia.
Il termine Repräsentanz letteralmente significa “delegazione” e sta ad indicare che nonostante la pulsione trovi la sua rappresentazione, sia sul versante psichico che quello somatico, è il versante somatico ad essere la fonte, cioè, è grazie a questa spinta che si mettono in moto i processi di eccitamento (Reiz) che sono alla base dei processi psichici. L’intensità di questa spinta somatica si insinua nella psiche sotto forma di affetto (Affektbetrag).
La delegazione pulsionale spinge per farsi sentire anche a livello psichico, attraverso una delegazione pulsionale, attraverso dei rappresentanti dell’eccitamento somatico che sono in cerca di scarica.
Il termine Repräsentanz conferma ancora una volta la sua stretta dipendenza dagli stati somatici e sottolinea come questi abbiano un ruolo fondamentale su tutte le funzioni psichiche.
Con la psicoanalisi assistiamo ad una rivoluzione del concetto di rappresentazione che diventa principalmente inconscia e mai scollegata dalle sensazioni corporee.
In particolare essa sembra invitarci a porre l’attenzione su quelle rappresentazioni originarie, i «fantasmi originari» (Urphantafsieri) che fungono da catalizzatori associativi che orientano il flusso di rappresentazioni. Una specie di schemi apriori che canalizzano le nostre percezioni. Sono fantasmi in carne ed ossa in grado di orientare le catene associative ed il nostro comportamento nel mondo.