Oscuro senso di colpa (2/17)

In Considerazioni attuali sulla guerra e la morte, Freud, per definire l’idea di senso di colpa primordiale che domina l’umanità fin dai più antichi tempi, soprattutto nelle varie religioni, usa l’espressione “oscuro senso di colpa”. E’ qualcosa di riconducibile all’idea di un peccato originale causato da un probabile delitto di sangue, di cui l’umanità primitiva si è resa colpevole.[1]

In Totem e tabù (1912-13) si interroga sulla natura di questa antica colpa e lo fa riprendendo il tema biblico del sacrificio. Il Figlio di Dio ha dovuto offrire in sacrificio la propria vita per liberare l’umanità dal peccato originale e, se consideriamo la legge del taglione ovvero l’espiazione mediante una pena eguale alla colpa, la colpa di cui si è macchiato il Figlio deve essere stata anch’essa un crimine di morte. Il peccato originale fu una colpa contro Dio padre, quello che Freud definisce “il più antico delitto del l’umanità” che, “deve esser stato un parricidio” ovvero “l’uccisione di quel padre primordiale della primitiva orda umana la cui immagine mnestica è stata successivamente trasfigurata in Divinità”[2]. Per l’uomo primitivo, la propria morte, era anch’essa irrappresentabile come lo è, del resto, ancora oggi per ognuno di noi. Quando l’uomo primitivo vedeva morire un suo caro “[…] nel suo dolore egli doveva apprendere che anche lui stesso poteva morire, e tutto il suo essere si rivoltava contro questa possibilità;[…]”[3]. Ma il nostro inconscio non crede alla propria morte e si comporta, dice Freud, “come se fosse immortale”[4]. L’inconscio non conosce la negazione, in esso gli opposti coincidono, e dato che alla propria morte si può dare solo un contenuto negativo, anch’essa non è presente nell’inconscio. La morte non ha nessuna rispondenza pulsionale. “Il nostro inconscio – insiste Freud – possiede la stessa incapacità di rappresentarsi la propria morte dell’uomo dei tempi primitivi, prova lo stesso piacere per la morte di un estraneo, ed è egualmente duplice (ambivalente) nei confronti della persona amata”[5]. Il primo dovere di ogni essere vivente è quello di sopportare la vita e per fare ciò è necessario accettare la morte. A tal proposito Freud preferisce sostituire il vecchio adagio “Si vis pacem, para bellum“, ovvero “se vuoi conservare la pace, preparati alla guerra” con “si vis vitam, para mortem” ovvero “se vuoi poter sopportare la vita, disponiti ad accettare la morte“.


[1] S. Freud, Considerazioni attuali sulla guerra e la morte, OSF, Torino, Bollati Boringhieri, 2002, vol. 8, 140.

[2] S. Freud, Totem e tabù: alcune concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici, in OSF, Torino, Bollati Boringhieri, 2000, Vol. 7, 140-141.

[3] Ibidem.

[4] S. Freud, op. cit., p. 144.

[5] S. Freud, op. cit, pp. 147-148.