La metafora paterna instaura una dissociazione nell’oggetto, nella forma del fallo che ricopre la forma generale dell’interdetto, ovvero: o il soggetto non lo è, o il soggetto non lo ha. Se il soggetto lo è (il fallo), facendosi oggetto del desiderio della madre, allora: non lo ha! Cioè è lo stesso che dire che non ha il diritto di servirsene, ecco il valore fondamentale della legge, ossia la proibizione dell’incesto. Se lo ha, avendo quindi realizzato l’identificazione con il padre, allora il fallo, non lo è! Ecco il significato profondo della dimensione dell’Edipo.[1]
Freud nella sezione dell’Interpretazione dei sogni, dove tratta i sogni tipici, parla di Amleto, subito dopo aver trattato l’Edipo re di Sofocle. Amleto è per lui la versione moderna di Edipo. La trama del dramma è il risultato della rimozione del complesso edipico dovuta alla differenza nella vita psichica dei due periodi di civiltà, tanto distanti fra loro. Amleto è capace di agire ma non quando deve uccidere Claudio che ha realizzato i suoi desideri infantili rimossi per Gertrude. Il ribrezzo che dovrebbe spingerlo alla vendetta è sostituito da autorimproveri, scrupoli di coscienza, i quali gli rinfacciano che egli stesso, alla lettera, non è migliore del peccatore che dovrebbe punire. Per certi versi il dramma cattura lo spettatore anche se Amleto rinvia la propria azione e Freud sottolinea che questo rinvio dev’essere causato da qualcosa in cui tutti si riconoscono. Lacan, nella sua analisi dell’Amleto parte da Freud, cioè da un accostamento di Edipo all’Amleto ma, insistendo sulle loro differenze. Claudio e la madre chiedono ad Amleto di restare in Danimarca per porre fine al lutto, perché la morte di un padre è un fatto normale. Amleto, a differenza della madre, non nega il lutto. Per Amleto la parvenza del lutto non “lo rappresenta veramente”[2], il lutto per lui concerne l’essere, non il rito funebre. Dal sembiante del cerimoniale egli non si sente rappresentato nella sua verità. Un significante vuoto non può denotare, nel senso di significare, veramente un soggetto. Ecco perché Amleto parla come un folle: egli fa emergere una verità nel detto. Nonostante il fatto che, il non rispetto della formalità del lutto non implichi per forza la falsità dell’amore, e che il lutto sia elaborato veramente, Amleto non le crede, soprattutto per la brevità con cui la madre si risposa. Nessuno piange sul Re Padre. Solo lui lo fa, e sembra farlo per tutti. Claudio dice che nell’insistere con il lutto, Amleto mostra “una volontà indocile al cielo”, i padri infondo muoiono prima dei figli. Perché ostinarsi nel lutto?
Claudio uccide il fratello, ma non si capisce fino a che punto sia malvagio, egli crede che il delitto possa esser cancellato, crede di poter essere, nonostante tutto, un buon re e un buon padre per Amleto. Il delitto è per certi versi fuorcluso: Claudio e Gertrude si comportano come se esso non avesse importanza, come se non ci fosse mai stato, e quindi non ha senso pensarci.
Gertrude è incapace di mantenere la parola, lei passa da un amore che sembrava totale al “letto incestuoso” di Claudio. Ma la fragilità di Gertrude è malvagità? Ciò che angoscia Amleto, ciò che gli fa desiderare di non essere, non è la fragilità della madre o la crudeltà amorale di suo zio, quanto piuttosto che in tutto ciò egli intercetta qualcosa di una legge universale dell’esistenza, una colpa generale. Infondo Amleto stesso si rimprovera di non essere tutto sommato troppo diverso da Gertrude e da Claudio. Anche Marco, nel caso che ho illustrato nella prima parte, s’interroga sulla possibilità che lui sia come la madre strafottente o come i parenti distratti, che hanno dimenticato il padre troppo presto.
Il padre amava la moglie “con dignità pari ai voti”, ma poi la lussuria che era in lei ha avuto la meglio. Amleto dovrà rispettarla lo stesso, lasciando che sia il cielo ad occuparsi di lei.
Tutta la colpa cade su Claudio, è stato lui il vero traditore, Gertrude è vittima della lussuria ch’era in lei e che è in tutti noi. “Son quel che sono” dice Gertrude. Infondo lo stesso lust che lo spettro le attribuisce è la conseguenza della sua incapacità di giudicare, quella insensata superficialità che le fa dimenticare con l’assassinio, l’esistenza del padre di Amleto. Ad Amleto l’arduo compito di ristabilire l’ordine in Danimarca. “The time is out of point. O cursed spite That ever I was home to set it tight.” (Il tempo è fuori giunto. Maledetto dispetto essere nato per rimetterlo diritto). Un ordine deturpato, da qualcosa di insostenibile, “vi sono in cielo e in terra, Orazio, assai più cose di quante ne sogna la tua filosofia”. Egli intravede un disordine più fondamentale, difficilmente rimediabile, a lui il dovere di rimettere il tempo nel suo cardine, e forse ci potrà riuscire solo rinunciando a se stesso ed alla assolutezza del proprio desiderio.
Ci sono verità indicibili e forse, per questo, pur avendo accettato la missione assegnatale dal padre senza neanche un minimo dubbio, egli, dinanzi alla scelta fondamentale, quella di compiere o non compiere il proprio dovere, vendicare il padre o colludere con lo spregevole regicida, Amleto decide di non agire. Amleto non riesce a vendicare il padre. Sarà il teatro, la finzione della verità, a consentire ad Amleto di compiere il suo dovere.
Amleto rifiuta l’eredità, rifiuta di divenire re – se avesse ucciso Claudio sarebbe diventato lui il re -. La questione è col significante, con la sua trasmissione, è con il padre, non con l’assassino di Claudio. Egli non vendica la morte del padre, farlo vorrebbe significare accettare la sua eredità. Amleto non accetta di cessare d’essere chi è, cioè non è disposto a fare qualcosa che nessuno accetterebbe di fare. Vendicare il padre vorrebbe dire rinunciare a questo. Come Antigone che, piuttosto che lasciare il fratello senza una degna sepoltura, piuttosto che venire meno alla legge che impone la sepoltura per i morti, preferisce morire, altrimenti la vita non avrebbe avuto senso. Per lo stesso motivo, Amleto non uccide Claudio, egli esita perché spera di riuscire a conciliare la propria legge con quella imposta dalla domanda di vendetta del padre. Amleto si rifiuta di uccidere un assassino disarmato mentre è impegnato nella preghiera. Con Polonio le cose vanno diversamente. Amleto non esita, colpisce colui che si nasconde dietro l’arazzo. Lacan legge queste improvvise azioni come passaggi all’atto che hanno l’unico scopo di provocare l’intervento riparatore o punitore di qualcuno. Con Claudio, che invece è il fallo, Amleto non riesce a fare la stessa cosa, questa volta è titubante. Egli dovrebbe colpire qualcos’altro rispetto a ciò che si trova lì, che ha di fronte. Amleto si ferma perché non è giunta ancora l’ora dell’Altro, non è giunta l’ora, per l’Altro, di rendere conto all’eterno. Non è giunta l’ora per l’Altro, e Amleto arresta il suo gesto. Amleto fa sempre e solo ciò che è nell’ora dell’Altro. Il nevrotico rinvia per non incontrare la morte. Dopo la morte di tutti, tutto è compiuto. “Il resto è silenzio”, queste sono le ultime parole di Amleto. La verità di Amleto è una verità senza speranza, dice Lacan, e l’uomo non è semplicemente posseduto dal desiderio, ma deve trovarlo, trovarlo a proprie spese e con la più dura fatica. Lo troverà, al limite, solo in un’azione che non si compie, se non essendo mortale.
[1] J. Lacan, Le Séminaire Livre VI, op. cit., p. 532.
[2] “denote me truly”( William Shakespeare, Atto primo, Amleto, traduzione di Luigi Squarzina, Newton Compton Editori, Roma, 2011, p. p.35-36).