La filosofia non avrebbe saputo fingersi streghe, dèi, eroi, mostri, fate, gnomi e orchi così << rozzi, villani, feroci, fieri, mobili irragionevoli o irragionevolmente ostinati, leggieri e sciocchi [i quali] non possono essere che d’uomini per debolezza di menti quasi fanciulli, per robustezza di fantasia come di femmine, per bollore di passioni come di violentissimi giovani; onde hassene a niegar ad Omero ogni sapienza riposta. Le quali cose qui ragionate sono materie per le quali incomincian ad uscir i dubbi che ci pongono nella necessità per la ricerca del vero Omero. >>[1].
Ecco che allora in Omero non ci sarà , nessuna sapienza riposta, nessun dio che parla attraverso di lui, e tuttavia, le favole saranno narrazioni vere, vera narratio, la cui essenza risiede proprio nell’impeto che necessariamente e naturalmente partorisce i nomi poetici, frutto dell’incapacità di astrarre le forme, le proprietà dagli oggetti: è questa una deficienza? È questo che veramente intende dire il nostro Autore? Sembra proprio di no; anzi, il filosofo napoletano si cimenta nell’ardita impresa, di verificare, di scoprire << se Omero mai fusse stato filosofo >>[2]. Vico ci ricorda (o ci inventa: non importa!), per quanto riguarda Omero, che lo stesso Platone << ne lasciò impressa l’oppenione che fusse egli fornito di sublime sapienza riposta >>[3], ed anche se il buon filologo Nicolini ci rammenta che << è vero prorpio il contrario >>, Vico non solo non si fa intimorire, ma addirittura dedica un’intero Lbro, il Terzo, per precisione, al chiarimento della vera essenza di Omero, che intitola: Della discoverta del vero Omero.
Nessuno metterà in dubbio che Omero sia stato di nazionalità greca, e quasi tutte le città della Grecia se lo contenderanno, e addirittura, non mancarono << […] coloro che ‘l vollero greco d’Italia >>[4]: perché? << perché quasi ogniuna [città greca] osservava ne’ di lui poemi e voci e frasi e dialetti ch’eran volgari di ciascheduna >>[5] .