Vulcano fracassò il capo di Giove e da lì nacque Minerva: cioè i plebei si ribellarono alla schiavitù imposta dal regno dei signori e ruppero il capo di Giove e quelle città che prima erano dominate dalla monarchia e che inseguito furono città eroiche adesso sono solo città: << […] le nazioni greche immaginarono la decima divinità delle genti dette maggiori, che fu Minerva. E la si finsero nascere con questa fantasia, fiera ugualmente e goffa: che Vulcano con una scure fendette il capo di Giove, onde nacque Minerva; volendo essi dire che la moltitudine de’ famoli ch’esercitavan arti servili, che, come si è detto, venivano sotto il genere poetico di Vulcano plebeo, essi ruppero […] il regno di Giove […] che non era, nello stato delle famiglie, monarchico, e cangiarono in aristocratico in quello delle città.>>[1]
Questa favola fu fatta propria dai filosofi e allora Minerva divenne la dea della sapienza. Ma nonostante ciò, in Omero, ella sarà sempre la “guerriera”, la “predatrice” e poche volte la “consigliera”[2].
Minerva aiuterà Diomende a ferire Venere e Marte, che poi saranno rispettivamente spogliati e colpiti con un sasso; Marte inveirà contro Minerva chiamandola “mosca canina”, anche Achille e Agamennone si offenderanno vicendevolmente chiamandosi “cani”, insomma: selvaggi i costumi della Grecia antica selvaggi anche i poeti.
I poeti però, nonostante la loro volgarità, dice Vico: << […] eglino sono decorosissimi in rapporto alla natura eroica [propria] dei puntigliosi >>[3]; gli eroi omerici si dilettano con il vino e quando soffrono si ubriacano per lenire il loro dolore << Precetti invero di consolazione, degnissimi di filosofo ! >>[4], scherza Vico.
In Omero la sapienza si interseca con le passioni che travolgono l’uomo. Minerva, dea della sapienza prende a pugni, viene offesa, lotta con i sassi. Ma tutto ciò sarà necessario ad Omero per farsi intendere da un volgo selvaggio e barbaro, impresa a cui non ci sarebbe sicuramente riuscito con << l’ ingegno addimesticato ed incivilito da alcuna filosofia. Né da un animo da alcuna filosofia umanato ed impietosito potrebbe nascer quella traculenza e fierezza di stile, con cui descrivere tante, sì varie e sanguinose battaglie, tante, sì diverse e tutte in istravaganti guise crudelissime spezie d’ammazzamenti, che particolarmente fanno tutta la sublimità dell’Iliade >>[5].