Fonte: K. Marx, Il capitale, Editori Riuniti , Roma, 1964, l. III, pagg. 263-264
Un capitale variabile, ad esempio di 100, rappresenta (a un dato salario e a una data giornata lavorativa) un numero determinato di operai messi in movimento; esso è l’indice di questo numero. Supponiamo che 100 sterline rappresentino ad esempio il salario di una settimana per 100 operai. Se essi fanno un lavoro necessario pari al pluslavoro, se cioè essi compiono ogni giorno per se stessi, ossia per la riproduzione del loro salario, un lavoro di durata uguale a quello che fanno per il capitalista, ossia per la produzione del plusvalore, il valore complessivo del loro prodotto sarà di 200 Lst. e il plusvalore da essi prodotto ammonterà a 100 Lst. Il saggio del plusvalore pv/v sarebbe del 100%. Questo saggio del plusvalore si esprimerebbe però, come si è visto, in saggi del profitto molto differenti a seconda della diversa entità del capitale costante e quindi del capitale complessivo C, dato che il saggio di profitto è pv/C. Se il saggio del plusvalore è del 100%, si avrà:
se c = 50, v = 100, quindi p = 100/150 = 66 2/3%
se c = 100, v = 100, quindi p = 100/200 = 50%
se c = 200, v = 100, quindi p = 100/300 = 33 1/3%
se c = 300, v = 100, quindi p = 100/400 = 25%
se c = 400, v = 100, quindi p = 100/500 = 20%
Restando immutato il grado di sfruttamento del lavoro, questo saggio del plusvalore si esprimerebbe quindi in un saggio decrescente del profitto, poiché insieme alla sua materiale entità si accresce pure, anche se non nella stessa proporzione, l’entità del valore del capitale costante e, per conseguenza, del capitale complessivo.
Se si suppone inoltre che questo graduale cambiamento della composizione del capitale non avvenga soltanto in alcune isolate sfere di produzione ma, in maggiore o minor misura, in tutte o almeno in quelle di maggiore importanza; se tale cambiamento modifica quindi la composizione media organica del capitale complessivo appartenente a una determinata società, questo graduale incremento del capitale costante in rapporto al variabile deve necessariamente avere per risultato una graduale diminuzione del saggio generale del profitto, fermi restando il saggio del plusvalore o il grado di sfruttamento del lavoro per mezzo del capitale. Si è però dimostrato che, in virtú di una legge della produzione capitalistica, lo sviluppo di quest’ultima è accompagnato da una relativa diminuzione del capitale variabile in rapporto al costante, e quindi anche al capitale complessivo messo in movimento. Ciò significa soltanto che lo stesso numero di operai e la stessa quantità di forza-lavoro, divenuti disponibili per mezzo di un capitale variabile di una data entità, in conseguenza dei particolari metodi di produzione che si sviluppano nella produzione capitalistica, mettono in movimento, impiegano, consumano produttivamente, durante il medesimo periodo di tempo una massa sempre crescente di mezzi di lavoro, di macchinario e capitale fisso d’ogni genere, di materie prime e ausiliarie e, per conseguenza, un capitale costante di sempre maggiore valore. Questa progressiva diminuzione relativa del capitale variabile in rapporto al capitale costante, e per conseguenza al capitale complessivo, è identica al progressivo elevarsi della composizione organica del capitale complessivo considerato nella sua media. Del pari, essa non è altro che una nuova espressione del progressivo sviluppo della produttività sociale del lavoro, che si dimostra per l’appunto nel fatto che, per mezzo dell’impiego crescente di macchinario e di capitale fisso in generale, una maggiore quantità di materie prime e ausiliarie vengono trasformate in prodotto da un eguale numero di operai nello stesso tempo, cioè con un lavoro minore. A questo crescente incremento di valore del capitale costante – benché esso non rappresenti che di lontano l’incremento della massa reale dei valori d’uso che costituiscono materialmente il capitale costante – corrisponde una crescente diminuzione di prezzo del prodotto. Ogni prodotto, considerato in se stesso, contiene una somma minore di lavoro di quanto avviene nei gradi piú arretrati della produzione, in cui la grandezza relativa del capitale investito in lavoro rispetto al capitale investito in mezzi di produzione è molto maggiore. Il prospetto dato a mo’ di ipotesi al principio di questo capitolo rappresenta quindi la tendenza reale della produzione capitalistica. Insieme alla progressiva diminuzione relativa del capitale variabile nei confronti del capitale costante, tale tendenza dà luogo a una piú elevata composizione organica del capitale complessivo, ciò che ha per immediata conseguenza il fatto che il saggio del plusvalore, ove il grado di sfruttamento del lavoro rimanga costante e anche aumenti, viene espresso da un saggio generale del profitto che decresce continuamente (mostreremo piú avanti perché tale diminuzione non si presenta in questa forma assoluta, ma piuttosto in una tendenza alla diminuzione progressiva). La progressiva tendenza alla diminuzione del saggio generale del profitto è dunque solo un’espressione peculiare al modo di produzione capitalistico per lo sviluppo progressivo della produttività sociale del lavoro. Ciò non vuol dire che il saggio del profitto non possa temporaneamente diminuire anche per altre ragioni, ma significa che, in conseguenza della natura stessa della produzione capitalistica, e come una necessità logica del suo sviluppo, il saggio generale medio del plusvalore deve esprimersi in una diminuzione del saggio generale del profitto. Dato che la massa di lavoro vivo impiegato diminuisce costantemente in rapporto alla massa di lavoro oggettivato da essa messo in movimento (cioè ai mezzi di produzione consumati produttivamente) anche la parte di questo lavoro vivo che non è pagata e si oggettiva in plusvalore, dovrà essere in proporzione costantemente decrescente rispetto al valore del capitale complessivo impiegato. Questo rapporto fra la massa del plusvalore e il valore del capitale complessivo impiegato costituisce però il saggio del profitto che dovrà per conseguenza diminuire costantemente.