Che cos’è per Lacan l’essere? La Cosa, la mancanza assoluta, il vuoto per eccellenza, che viene allucinato in quanto oggetto irrappresentabile, inaccessibile, invisibile, innominabile. Esso esiste poiché ex-siste: “Non vi è altra definizione possibile del reale che: impossibile; quando qualcosa si trova caratterizzato dall’impossibile, là soltanto vi è il reale; quando si sbatte, il reale è l’impossibile da penetrare”[1] . L’essere io lo chiamo ex-sistere” , il reale, l’impossibile, l’essere, l’ex-sistere è la Cosa allucinata dal desiderio.
Ciò che ex-siste, esso è il reale, la Cosa, l’impossibile. “Io sono la dove non penso” dice Lacan, si potrebbe dire allo stesso modo, “io ex-sisto la dove non penso”, la dove l’impossibile permane nella sua indicibilità, l’Altro è l’altro che manca, è mancanza. Ed è proprio qui che s’instaura la problematica della relazione d’oggetto. Gli oggetti diventano, nel Seminario IV, significanti del desiderio dell’Altro, significanti di quell’impossibile di cui io dovrei causare la mancanza, altrimenti sarei condannato ad una vita assente d’amore. La nientificazione dell’oggetto, degli oggetti come puri miraggi, oasi nel deserto del nulla imperante, conduce, irrimediabilmente ad un manque à être.
In questo manque à être s’installa la concezione lacaniana dell’amore in quanto domandare dell’altro che fa portatore degli oggetti che dovrebbero soddisfare i miei bisogni. Ma ciò che cerchiamo è soprattutto il domandare. Quindi quest’altro che sarebbe il detentore degli oggetti che io cerco è propriamente l’Altro che manca di ciò che vado domandando. Ciò che io domando all’altro è proprio ciò che io stesso gli presento, gli dono come attributo che è assente nel partner. Ma è proprio questo gioco di riflessi, di miraggi a fare legame. È proprio questo a fare legame.
In Inibizione, Sintomo e Angoscia, il sintomo è la sostituzione della pulsione rimossa, esso si presenta quindi come una soddisfazione. Il sintomo è una modalità di godimento. Il sintomo si presenta con due facce, da un lato come sofferenza, dall’altro come modalità di godimento. Il grande apporto freudiano alla cura è stato proprio quello di aver spostato l’asse d’indagine sulla causa del sintomo e non tanto sulle modalità di ritrovamento di una estinzione di quest’ultimo. Ecco i godimento del domandare, del manque-à-être. Ecco che è proprio il sintomo a fare legame. Amare vuol dire amare il sintomo dell’altro. Se non c’è sintomo non c’è legame, e non c’è partner. Il sintomo è ciò che fa legame.
La mancanza ad essere è mancanza di cosa? Cos’e che manca? Y a d’l’Un, ripeterà Lacan, ve n’è Uno, c’è una Cosa, vero ed unico object du desir , ciò che viene allucinato dal desiderio, un nulla che permane nella sua indicibilità, nella sua assenza assoluta, nella sua invisibile lucentezza. “La Cosa non è nulla, ma letteralmente non è, brilla per la sua assenza ”. Il suo brillare va velato, coperto, perché altrimenti renderebbe ciechi, così accadde a Semele: così cadde, come dicono i poeti, quando Semele bramò veder l’aspetto del dio, il fulmine di lui sulla sua casa e, cenere, colpita a morte, partorì, frutto della tempesta, il sacro Bacco (Friedrich Hölderlin)
[1] J. Lacan, “Conférences et entretiens dans les universités nord-américaines, in Scilcet 6/7, Paris 1976, pp. 55-56.(vedi anche D. Tarizzo, op. cit., p.44)