La psicoanalisi offre innanzitutto uno spazio di parola, un ascolto particolare, la possibilità di dare voce alla singolarità del proprio sintomo, alla parola del soggetto che soffre.
La guarigione è una domanda che si origina dal dolore, “la cosa sorprendente è che ci sia risposta” dice Lacan.
Ma che tipo di risposta?
La domanda mette in gioco l’inconscio: un fenomeno da decifrare. L’ascolto orientato psicoanaliticamente (e non l’interpretazione selvaggia) di questa parola produce degli effetti curativi.
Si tratta di una esperienza strutturata dai principi della psicoanalisi, “senza standards ma non senza principi”,
I fondamenti sui quali il clinico deve basarsi spesso si collocano all’estremo opposto degli standard dettati dal “manuale” o dalle “linee guida” utilizzati nel campo della salute mentale. L’operatore psicoanaliticamente orientato, è sempre anche analizzante. Nella sua pratica egli si basa fondamentalmente su una cosa: la propria analisi. Non rinuncia alla lotta contro il suo “non ne voglio sapere nulla” e attraverso la interrogazione constante del proprio inconscio e del suo stile singolare di soddisfazione, che le scelte del clinico, i suoi atti, possono diventare terapeutici. Ciò costituisce l’essenza di ciò che un operatore, in continuo divenire, porta nell’incontro clinico.