Lutto e melanconia e altri scritti (1915)

Lutto e melanconia (1915) 102-18. La melanconia, la cui determinazione concettuale risulta oscillante perfino nella psichiatria descrittiva, si presenta in forme cliniche differenti, il cui criterio di raggruppamento unitario non appare stabilito con certezza. Inoltre, alcune di queste forme fanno pensare ad affezioni di tipo più somatico che psicogeno. L’accostamento del lutto e della melanconia pare giustificato dal quadro d’insieme di questi due stati. Il lutto è invariabilmente la reazione alla perdita di una persona amata. La stessa situazione produce in alcuni individui – nei quali è sospettabile, perciò, la presenza di una disposizione patologica – la melanconia invece del lutto. La melanconia è psichicamente caratterizzata da un profondo e doloroso scoramento, da un venir meno dell’interesse per il mondo esterno, dalla perdita della capacità di amare, dall’inibizione di fronte a qualsiasi attività e da un avvilimento del sentimento di sé che si esprime in autorimproveri e autoingiurie e culmina nell’attesa delirante di una punizione. Nel lutto non compare il disturbo del sentimento di sé, ma per il resto il quadro è identico. La melanconia deriva una parte delle proprie caratteristiche dal lutto e l’altra parte dalla regressione che procede dalla scelta oggettuale di tipo narcisistico fino al narcisismo. La caratteristica più singolare della melanconia è la sua tendenza a convertirsi in mania. Nella mania l’Io ha superato la perdita dell’oggetto, e ora tutto l’ammontare di controinvestimenti che la dolorosa sofferenza della melanconia aveva attinto dall’Io per attrarlo e vincolarlo a sé si rende nuovamente disponibile. L’accumulo di investimenti, che dapprima è legato e poi diventa libero quando il lavoro melanconico si è concluso, consentendo lo svilupparsi della mania, deve essere in rapporto con la regressione libidica alla fase del narcisismo.

Considerazioni attuali sulla guerra e la morte (1915)

  1. La delusione della guerra

123-36
Presi nel vortice di questo tempo di guerra, privi di informazioni obiettive, senza la possibilità di considerare con distacco i grandi mutamenti che si sono compiuti o che si stanno compiendo, o di prevedere l’avvenire che sta maturando, noi stessi non riusciamo a renderci conto del vero significato delle impressioni che urgono su di noi. Ci sembra che mai un fatto storico abbia distrutto in tale misura il prezioso patrimonio comune dell’umanità, seminato confusione in tante limpide intelligenze, degradato così radicalmente tutto ciò che è elevato. Il singolo, se non è egli stesso un combattente e non è quindi diventato un semplice ingranaggio della gigantesca macchina bellica, ha smarrito ogni orientamento e si sente inibito nelle sue potenzialità. Due fatti hanno suscitato in questa guerra la nostra delusione: la scarsa moralità verso l’esterno di quegli Stati che all’interno si erigono a custodi delle norme morali, e la brutalità del comportamento di quei singoli individui che, in quanto membri della più progredita civiltà umana, non avremmo considerato capaci di tanto.

  1. Il nostro modo di considerare la morte

137-48
A sentir noi, eravamo naturalmente pronti a sostenere che la morte costituisce l’esito necessario di ogni forma di vita, che ognuno di noi ha verso la natura questo debito e deve essere preparato a saldarlo. In realtà però eravamo abituati a comportarci in tutt’altro modo. C’era in noi l’inequivocabile tendenza a scartare la morte, a eliminarla dalla vita. L’adulto civilizzato preferisce non pensare neppure alla morte di un’altra persona: gli parrebbe in questo caso di essere insensibile e malvagio. Questo nostro modo di considerare la morte ha comunque un grande effetto su tutta la nostra vita. La vita si impoverisce, perde interesse se non è lecito rischiare quella che, nel gioco dell’esistenza, è la massima posta, e cioè la vita stessa. È chiaro che la guerra è destinata a spazzar via questo modo convenzionale di considerare la morte. La morte non può più essere rinnegata; siamo costretti a crederci. Gli uomini muoiono veramente; e non più uno alla volta, ma in gran numero, spesso a decine di migliaia in un giorno solo. Non è più qualcosa di casuale. Il nostro inconscio possiede la stessa incapacità di rappresentarsi la propria morte dell’uomo dei tempi primitivi, prova lo stesso piacere per la morte di un estraneo, ed è ugualmente duplice (ambivalente) nei confronti della persona amata. Ma quanto ci siamo allontanati da questo stato primordiale nel nostro modo convenzionale, di uomini civili, di considerare la morte! La guerra elimina le successive sedimentazioni depositate in noi dalla civiltà e lascia riapparire l’uomo primitivo.

Lettera alla dottoressa H. von Hug-Hellmuth (1915)

151
La destinataria aveva mostrato a Freud il diario di una ragazzina della buona società viennese. Freud lo giudica un piccolo gioiello, tanto da scrivere nella lettera: “Nessuno è mai riuscito a penetrare con una simile chiarezza e veridicità negli impulsi psichici che caratterizzano lo sviluppo di una fanciulla del nostro livello sociale e culturale negli anni della prepubertà. Come i sentimenti scaturiscono dall’egoismo infantile fino a raggiungere la maturità sociale, come si presentano inizialmente le relazioni con i genitori e i fratelli e come esse, poco alla volta, acquistano in serietà e intimità, come si intrecciano e si rompono le amicizie e come il segreto della vita sessuale emerge in essa, tutto ciò è stato espresso in queste schiette annotazioni in modo così incantevole, naturale e serio che certamente desterà grandissimo interesse negli educatori e negli psicologi.”

Comunicazione di un caso di paranoia in contrasto con la teoria psicoanalitica (1915)

159-68
Un avvocato chiese il parere di Freud su un caso che gli riusciva difficile valutare. Una giovane donna si era rivolta a lui per essere tutelata dalle persecuzioni di un uomo che l’aveva indotta a una relazione amorosa. Affermava che quest’uomo aveva abusato della sua arrendevolezza consentendo che alcuni spettatori, nascosti alla sua vista, fotografassero le loro effusioni amorose; ora si trovava nelle mani di costui, che mostrando queste fotografie poteva svergognarla e costringerla ad abbandonare il suo impiego. Nei testi psicoanalitici si era affermato che il paranoico lotta contro un’intensificazione delle sue tendenze omosessuali, il che in fondo rimanda a una scelta oggettuale di tipo narcisistico. Inoltre si era proposta l’interpretazione che il persecutore è in definitiva colui che il paranoico ama o ha amato in passato. Da un accostamento di queste due tesi risulta che il persecutore dev’essere dello stesso sesso del perseguitato. Approfondendo l’esame delle circostanze in cui si è prodotto il delirio persecutorio della giovane donna, Freud individua dietro l’apparente comportamento erotico eterosessuale la sottostante componente omosessuale effettivamente responsabile della paranoia. La ragazza sembrava respingere l’amore per un uomo trasformando direttamente l’amato nel persecutore; non c’era la minima traccia dell’influenza di una donna, di una lotta contro un attaccamento omosessuale. Il settore della grande azienda in cui la ragazza lavorava era diretto da una vecchia signora, che lei descrisse come simile a sua madre. La dirigente dai capelli bianchi è un sostituto della madre. Nonostante la sua giovane età l’innamorato ha preso il posto del padre. È la forza del suo complesso materno a costringere la paziente a supporre l’esistenza di una relazione amorosa fra i due, nonostante la differenza di età e l’inverosimiglianza di una tale congettura.

Caducità (1915)

173-76
Dal precipitare nella transitorietà di tutto ciò che è bello e perfetto sappiamo che possono derivare due diversi moti dell’animo. L’uno porta al doloroso tedio universale del giovane poeta, l’altro alla rivolta contro il presunto dato di fatto. Il valore della caducità è un valore di rarità nel tempo. La limitazione della possibilità di godimento aumenta il suo pregio. Il lutto per la perdita di qualcosa che abbiamo amato o ammirato sembra talmente naturale che il profano non esita a dichiararlo ovvio. Per lo psicologo invece il lutto è un grande enigma, uno di quei fenomeni che non si possono spiegare ma ai quali si riconducono altre cose oscure. Il lutto si estingue spontaneamente. Se ha rinunciato a tutto ciò che è perduto, ciò significa che esso stesso si è consunto, e allora la nostra libido è di nuovo libera di sostituire gli oggetti perduti con nuovi oggetti, se possibile altrettanto o più preziosi ancora.

Trasformazioni pulsionali, particolarmente dell’erotismo anale (1915)

181-87
Le osservazioni psicoanalitiche avevano indotto Freud a supporre che la costante compresenza dei tre tratti caratteriali di ordine, parsimonia e ostinazione indicasse un rafforzamento della componente anale nella costituzione sessuale di certe persone in cui, peraltro, la riduzione e la scomparsa dell’erotismo anale nel corso dello sviluppo hanno portato alla formazione di questi specifici modi di reazione dell’Io. Nello sviluppo della libido umana bisogna supporre che la fase del primato genitale sia preceduta da un'”organizzazione pregenitale” nella quale il sadismo e l’erotismo anale hanno una funzione di guida. Nelle produzioni dell’inconscio (idee improvvise, fantasie e sintomi) i concetti di “sterco” (denaro, regalo) e quelli di “bambino” e “pene” non appaiono ben separati l’uno dall’altro, ma anzi vengono facilmente scambiati fra loro. Se si indaga abbastanza a fondo nella nevrosi di una donna, non di rado ci si imbatte nel desiderio rimosso di possedere un pene come quello dell’uomo. In definitiva, il desiderio del pene si identificherebbe con quello del bambino. È possibile indicare quale sorte spetti al desiderio infantile del pene qualora nel periodo successivo della vita non si creino le condizioni che determinano la nevrosi. Esso si trasforma nel desiderio dell’uomo, accetta quindi l’uomo in quanto appendice del pene. Attraverso questa metamorfosi un impulso inteso a contrastare la funzione sessuale femminile si trasforma in un impulso a essa propizio. Dall’erotismo anale deriva l’atteggiamento narcisistico della sfida, che costituisce un’importante reazione dell’Io contro le richieste di altre persone. Il bambino viene considerato come una “tattetta” (feci), come qualcosa che si stacca dal corpo passando attraverso l’intestino. L’interesse rivolto alle feci si trasforma in interesse per il regalo e successivamente per il denaro.

Estratti: Opere di Sigmund Freud (OSF) Vol 8. Introduzione alla psicoanalisi e altri scritti 1915-1917, Torino, Bollati Boringhieri, 2002.