L’uomo Mosè e la religione monoteistica: tre saggi (1934-38)
Primo saggio: Mosè egizio
337-45
L’uomo Mosè, che fu liberatore, legislatore e fondatore religioso del popolo ebraico, appartenne a tempi remoti, sicché non è lecito aggirare la questione preliminare: personalità storica o creazione della leggenda? Il suo nome, Mosè, era egizio; è semplicemente la parola egizia mose, che vuol dire “bambino”. Non si ritiene che l’origine di Mosè sia provata solo perché il suo nome è riconosciuto come egizio e da ciò non si traggono altre deduzioni. Nel 1909 Otto Rank pubblicava Il mito della nascita dell’eroe, che mette in rilievo come quasi tutti i popoli civili fin dai tempi remoti abbiano celebrato i loro eroi e arricchito la storia della loro nascita di peculiarità fantastiche. Una “leggenda mediana” mette in rilievo i seguenti lineamenti essenziali: l’eroe è figlio di genitori di altissimi natali; il suo concepimento è preceduto da difficoltà; il bambino appena nato è condannato alla morte o ad essere esposto, in genere per volontà del padre o di chi lo rappresenta; di regola è abbandonato alle acque in una cassetta; è salvato da animali o da umili persone e allattato da un animale femmina o da un’umile nutrice; cresciuto, ritrova i nobili genitori, si vendica del padre. Le due famiglie del mito, la nobile e la umile, sono perciò riflessi della famiglia autentica, quale appare al bambino in successivi momenti della sua vita. La prima famiglia, quella da cui il bambino viene esposto, è in tutti i casi che ci sono stati tramandati quella fittizia, mentre la successiva, nella quale il bimbo è accolto e cresce, è quella reale. Mosè è un Egizio, probabilmente un aristocratico, che la leggenda si propone di far divenire ebreo. Il divario tra la leggenda mosaica e tutte le altre del suo genere può essere d’altronde ricondotto a ciò che vi era di particolare nella storia di Mosè. Mentre di solito un eroe, nel corso della sua vita, si eleva al di sopra delle sue umili origini, la vita eroica dell’uomo Mosè ebbe inizio quando discese dalle altezze in cui si trovava e si abbassò sino ai figli di Israele.
Secondo saggio: Se Mosè: era egizio…(1-2)
346-52
Freud sperava che l’ipotesi dell’origine egizia di Mosè si rivelasse proficua e illuminante. Tuttavia la prima illazione tratta da questa ipotesi, cioè che la nuova religione che Mosè diede agli Ebrei fosse la sua, è naufragata dinanzi alla costatazione della diversità, anzi dell’opposizione tra le due religioni. Rimane possibile che la religione data da Mosè al popolo ebraico fosse davvero la sua, una religione egizia, anche se non la religione egizia. Dalla religione di Atòn era esclusa ogni forma di mito, di magia, di stregoneria. Il dio solare non era più raffigurato con una piccola piramide e un falcone, ma con un disco rotondo da cui partono raggi terminanti con mani umane. Nonostante l’amore per le armi proprio del periodo di Amarna, un’altra raffigurazione del dio solare non è stata trovata. Infine, silenzio assoluto sul dio dei morti, Osiride, e sul regno dei morti.
Secondo saggio: Se Mosè era egizio…(3)
353-58
Se Mosè fu egizio, e se trasmise agli Ebrei la propria religione, questa fu la religione di Ekhnatòn, la religione di Atòn. Tanto le somiglianze quanto le diversità tra le due religioni si possono scorgere facilmente, senza che da ciò ci venga molta luce. Entrambe sono forme di rigido monoteismo. Il monoteismo ebraico assume talora aspetti ancora più aspri di quello egizio. La differenza essenziale consiste nel fatto che la religione ebraica prescinde totalmente dal culto solare. Mosè non diede solo una nuova religione agli Ebrei, ma introdusse presso di loro la consuetudine della circoncisione. E dunque si può trarre questa conclusione: se Mosè diede agli Ebrei non solo una nuova religione, ma anche il precetto della circoncisione, egli non era ebreo, ma egizio, e allora la religione mosaica fu probabilmente una religione egizia, e precisamente, a causa del contrasto con la religione popolare, la religione di Atòn, con cui si accorda anche la religione ebraica posteriore in alcuni punti degni di nota. Secondo la ricostruzione di Freud, l’esodo dall’Egitto sarebbe avvenuto tra il 1358 e il 1350, cioè dopo la morte di Ekhnatòn e prima della restaurazione dell’autorità statale ad opera di Haremhab. Ammettere che la circoncisione fosse una costumanza egizia, introdotta da Mosè, sarebbe stato, per gli Ebrei, quasi come riconoscere che la religione trasmessa da Mosè fosse anch’essa egizia. Ma c’erano buone ragioni per rinnegare quest’ultima verità; di conseguenza bisognava anche contraddire i fatti riguardanti la circoncisione.
Secondo saggio: Se Mosè era egizio…(4)
358-63
Gli Ebrei possiedono una ricca letteratura extrabiblica, in cui troviamo le leggende e i miti che nel corso dei secoli si formarono attorno alla figura grandiosa del loro primo capo e fondatore religioso. In questo materiale possono essere dispersi frammenti di una tradizione attendibile, i quali non hanno trovato spazio nel Pentateuco. Di questo genere è una leggenda che narra amabilmente come l’ambizione di Mosè ebbe a manifestarsi sin dall’infanzia. Si dice che Mosè fosse “tardo di lingua”. Ciò può richiamare il fatto che Mosè parlava un’altra lingua, quella egizia, e non poteva comunicare con i suoi neo-Egizi semiti senza un interprete. Gli storici moderni ritengono che le tribù ebraiche (dalle quali più tardi trasse origine il popolo d’Israele) assunsero a un certo punto una nuova religione. Ma questo avvenimento non si compì in Egitto, e neppure ai piedi di un monte della penisola del Sinai, bensì in una località denominata Meribah-Qadesh, un’oasi contraddistinta dall’abbondanza di sorgenti e di pozzi sita nel tratto di terra nel Sud della Palestina, tra l’estremità orientale della penisola del Sinai e il margine occidentale dell’Arabia. Appresero qui a venerare un dio Yahweh, un dio vulcanico. Secondo Eduard Meyer, il mediatore tra Dio e popolo nella fondazione di questa religione aveva nome Mosè. Era genero del sacerdote madianita Ietro e ne custodiva il gregge nel momento in cui ebbe la chiamata divina.
Secondo saggio: Se Mosè era egizio…(5)
363-67
I tentativi di riconoscere in Mosè una figura che vada oltre il sacerdote di Qadesh, e di trovare una conferma della magnificenza che la tradizione esalta in lui, non sono cessati con Eduard Meyer. Nel 1922 Ernst Sellin trovò nel profeta Osea tracce inconfondibili di una tradizione secondo cui il fondatore religioso Mosè perì di morte violenta durante una sommossa del suo popolo recalcitrante. Nello stesso tempo la religione da lui instaurata fu ripudiata. Fra i maggiori enigmi della preistoria ebraica c’è quello dell’origine dei Leviti. Questi vengono fatti derivare da una delle dodici tribù di Israele, quella di Levi, ma nessuna tradizione giunge a dire dove questa tribù risiedesse originariamente, o quale parte del paese conquistato, Canaan, le fosse assegnata. Non è pensabile che un gran signore come l’egizio Mosè si unisse senza accompagnatori a un popolo che gli era straniero. Portò certo con sé il suo seguito. Ecco che cos’erano originariamente i Leviti: i Leviti erano la gente di Mosè. Freud avanza l’ipotesi che tra la scomparsa di Mosè e la fondazione della religione a Qadesh fossero trascorse due generazioni, forse anche un secolo. Il mantenimento della circoncisione prova che quando fu fondata la religione a Qadesh fu raggiunto un compromesso. Mosè fu trasferito a Qadesh o al Sinai-Oreb e messo al posto dei sacerdoti madianiti. A Yahweh, che aveva la sua sede su una montagna nel Madian, fu concesso di estendersi fino all’Egitto, e viceversa l’esistenza e l’attività di Mosè giunsero fino a Qadesh e al territorio a est del Giordano. Furono così fuse la sua persona e quella dell’altro successivo fondatore religioso, il genero del madianita Ietro, cui egli prestò il suo nome, Mosè. Ma di quest’altro Mosè, Freud non ha nulla da dire di personale, tanto esso è oscurato dal primo, il Mosè egizio; a meno di cogliere le contraddizioni, nel modo di caratterizzare Mosè, che si trovano nel testo biblico. Freud ritiene sia giustificato separare di nuovo le due figure e supporre che il Mosè egizio non fu mai a Qadesh e non udì mai il nome di Yahweh, e che il Mosè madianita non mise mai piede in Egitto e non seppe nulla di Atòn.
Secondo saggio: Se Mosè era egizio…(6)
368-72
Istituito il nuovo dio Yahweh a Qadesh, bisognava fare qualcosa per glorificarlo. Occorreva insediarlo, dargli spazio, cancellare le tracce di precedenti religioni. L’uomo Mosè fu tolto di mezzo spostandolo a Madian e a Qadesh e fondendolo con il sacerdote di Yahweh fondatore della religione. La circoncisione, l’indizio più grave della dipendenza dall’Egitto, fu mantenuta, ma non si tralasciò il tentativo di distaccarla dall’Egitto. Le leggende dei patriarchi furono introdotte per due ragioni: 1) riconoscere che Yahweh era stato già adorato da Abramo, Isacco e Giacobbe, seppure non sotto questo nome; 2) legare la loro memoria a determinati luoghi del paese di Canaan. Freud conclude che dall’esodo dall’Egitto sino alla fissazione del testo biblico sotto Esdra e Neemia passarono circa ottocento anni. La religione di Yahweh aveva assunto una forma che tornava a renderla conforme alla religione originaria di Mosè.
Secondo sggio: Se Mosè era egizio…(7)
372-78
Freud affronta infine l’argomento dell’uccisione di Mosè, che Sellin ha scoperto cogliendone le allusioni nei libri dei Profeti. Mosè dava ordini, imponeva al popolo la sua fede, costringendo così i Semiti a sbarazzarsi di lui. La descrizione biblica degli “anni passati nel deserto” include una serie di gravi ribellioni contro la sua autorità. Il popolo si pentì dell’uccisione di Mosè e cercò di dimenticarla. Avvicinando la data dell’esodo a quella della fondazione religiosa nell’oasi di Qadesh e facendovi partecipare Mosè invece dell’altro personaggio (il sacerdote madianita), non solo si appagarono le pretese della gente di Mosè, ma si riuscì a smentire il fatto della sua fine violenta. Freud tenta di chiarire i rapporti cronologici fra questi avvenimenti, allo scopo di collocare la figura di un Mosè egizio nel contesto della storia ebraica, ben nota per le sue dualità: due masse di popoli che concorrono a formare la nazione, due regni in cui si scinde questa nazione, due nomi divini nelle fonti scritte della Bibbia. Freud ne aggiunge due nuove: due fondazioni religiose, la prima rimossa dalla seconda e tuttavia poi riapparsa vittoriosamente alle sue spalle, due fondatori religiosi, che entrambi portavano lo stesso nome Mosè, le cui personalità è necessario distinguere l’una dall’altra. E tutte queste dualità sono una conseguenza necessaria della prima: una parte del popolo ebbe un’esperienza da considerarsi traumatica, da cui l’altra componente restò immune.
Terzo saggio: Mosè, il suo popolo e la religione monoteistica
379-82
1) Freud si accinge a rompere per la seconda volta un saldo proponimento e a far seguire ai due saggi su Mosè la parte finale. La ricerca psicoanalitica è oggetto di un’attenzione diffidente da parte del cattolicesimo. Considerato che il lavoro psicoanalitico porta a concludere che la religione non è altro che una nevrosi dell’umanità e a spiegare il suo formidabile potere allo stesso modo della coazione nevrotica, Freud si dice certo di attirare su di sé tutto il risentimento dei poteri dominanti del Paese. Gli sembra molto probabile che malevolenza e gusto del sensazionale l’avranno vinta su ciò che gli manca in fatto di apprezzamento nel giudizio dei suoi contemporanei. Un giorno questo suo lavoro potrà avventurarsi alla luce senza pericolo. 2) Quando la Germania invase l’Austria, Freud si rifugiò a Londra, dove si sentì relativamente libero di pubblicare i suoi pensieri su Mosè. Fin dall’epoca in cui aveva scritto Totem e tabù, nel 1912-13, non aveva più avuto dubbi che fosse possibile concepire i fenomeni religiosi solamente attraverso il modello dei sintomi nevrotici individuali a lui familiari. Se non avesse trovato un sostegno nell’interpretazione psicoanalitico del mito dell’esposizione di Mosè e non si fosse potuto ricollegare, di lì, alla congettura di Sellin sulla fine di Mosè, tutta questa sua meditazione non avrebbe potuto essere scritta.
Terzo saggio: Mosè, il suo popolo e la religione monoteistica
Cap.1 La premessa storica
382-89
Sorge l’idea di un dio universale Atòn, il quale non sia più ristretto a un paese e a un popolo. Amenofi IV eleva la religione di Atòn a religione di Stato. Sotto i deboli successori di Ekhnatòn, tutto ciò che egli aveva creato crollò. Fra le persone vicine a Ekhnatòn c’era un uomo che si chiamava forse Tutmosi. Egli occupava un’alta posizione, era convinto partigiano della religione di Atòn, ma, all’opposto del re sognatore, era energico e appassionato. Si rivolse a una tribù semitica, a stranieri perciò, e cercò in loro un risarcimento per quanto aveva perduto. Li scelse come suo popolo, tentò di realizzare in loro il suo ideale. Dopo che, accompagnato dai suoi seguaci, ebbe lasciato con costoro l’Egitto, li consacrò con il segno della circoncisione, diede loro delle leggi, li introdusse alle dottrine della religione di Atòn. Con l’unione e la fondazione religiosa di Qadesh si concluse un compromesso, in cui le due parti contraenti possono ancora essere facilmente distinte. L’una si preoccupò soltanto di rinnegare la novità e l’estraneità del dio Yahweh e di rinvigorire la sua pretesa di essere venerato dal popolo; l’altra non volle sacrificargli i cari ricordi concernenti la liberazione dall’Egitto e la grandiosa figura del capo, Mosè.
Epoca di latenza e tradizione
390-95
Tanto l’idea di un dio unico, quanto il rifiuto del cerimoniale cui viene attribuita un’efficacia magica, nonché l’accento sull’esigenza etica avanzata in nome del dio, furono dottrine effettivamente mosaiche, che all’inizio non trovarono seguito, ma che dopo un lungo intervallo di tempo divennero operanti e infine si affermarono durevolmente. Le due parti del futuro popolo ebraico si unirono adottando una nuova religione. Dal lato di coloro che erano stati in Egitto, i ricordi dell’esodo e della figura di Mosè erano ancora così forti e vivaci che richiedevano di essere inclusi nel racconto degli antichi tempi. Per gli altri, il proposito determinante era glorificare il nuovo dio e contestarne l’estraneità. Il fenomeno della latenza nella storia religiosa ebraica poteva avere questa spiegazione: le circostanze e i contenuti rinnegati di proposito dalla storia scritta in realtà non andarono mai perduti. Ne rimase viva la notizia in tradizioni che si conservarono nel popolo. Queste tradizioni, invece di affievolirsi col tempo, diventarono sempre più importanti nel corso dei secoli, si fecero strada nei successivi rimaneggiamenti della cronaca ufficiale, e infine si mostrarono talmente forti da influire in modo decisivo sul pensiero e l’azione del popolo. Il popolo ebraico aveva abbandonato la religione di Atòn portatagli da Mosè e si era rivolto al culto di un altro dio, che differiva poco dai Baalim dei popoli vicini. Viene infine trattata la formazione dell’epica inerente alla cultura ebraica.
L’analogia
395-402
L’unica soddisfacente analogia con quel singolare procedere degli eventi che è stato individuato da Freud nella storia religiosa ebraica, si trova nella genesi della nevrosi. Sono chiamati traumi quelle impressioni vissute e necessariamente dimenticate alle quali Freud attribuisce grande importanza per l’etiologia delle nevrosi. Dalla ricerca psicoanalitica risulta che quelli che si chiamano fenomeni (sintomi) di una nevrosi sono conseguenze di certe esperienze e impressioni, che proprio per questo sono riconosciuti come traumi etiologici. Tutti questi traumi appartengono all’infanzia vera e propria, fino all’età di cinque anni circa. Le esperienze di cui si tratta sono di regola totalmente dimenticate, e si riferiscono a impressioni di natura sessuale e aggressiva. Gli effetti del trauma sono di due tipi, positivi e negativi. Tutti questi fenomeni, tanto i sintomi quanto le restrizioni dell’Io e le alterazioni stabili del carattere, hanno natura di coazione, cioè accanto a grande intensità psichica mostrano un’ampia indipendenza dall’organizzazione degli altri processi psichici, che sono adattati alle esigenze del mondo esterno reale e obbediscono alle leggi del pensiero logico. Al trauma infantile può concatenarsi immediatamente un’esplosione nevrotica, una nevrosi infantile, zeppa di tentativi di difesa e accompagnata da formazione di sintomi. Nella nevrosi il periodo di latenza, tra le prime reazioni al trauma e il successivo scoppio della malattia, deve considerarsi tipico.
Applicazione
402-13
In tempi primitivi l’uomo viveva in piccole orde, ciascuna dominata da un maschio robusto. Il destino dei figli era crudele; quando essi suscitavano la gelosia del padre, venivano trucidati o evirati o espulsi. Trovavano scampo vivendo insieme in piccole comunità, procurandosi le donne mediante il ratto e, quando uno di loro ci riusciva, cercava di raggiungere una posizione simile a quella del padre nell’orda originaria. È lecito riconoscere nel totemismo la prima forma in cui apparve la religione nella storia umana. Il passo consecutivo al totemismo è l’umanazione dell’essere venerato. La reintegrazione del padre nei suoi diritti storici fu un grande progresso, ma non poteva essere l’ultimo. L’uccisione di Mosè ad opera del suo popolo ebraico, riscoperta da Sellin dalle tracce rimaste nella tradizione, diviene così un pezzo indispensabile della nostra ricostruzione, un importante anello di congiunzione tra l’evento dimenticato dei primordi e il suo più tardo riapparire in forma di religione monoteistica. È una congettura plausibile che il pentimento per l’assassinio di Mosè fornisse l’impulso alla fantasia di desiderio di un ritorno del Messia che portasse al suo popolo la redenzione e il promesso dominio mondiale. Tra i motivi profondi dell’odio per gli Ebrei, Freud menziona la gelosia per il popolo che si è spacciato per il figlio primogenito e preferito del Padre divino, e la pratica della circoncisione che si richiama alla temuta evirazione e, pertanto, riguarda qualcosa da dimenticare.
Difficoltà
413-22
Nel passare dalla psicologia individuale a quella collettiva sorgono due difficoltà di diversa natura e importanza. La prima è che qui è stato trattato solo un caso della ricca fenomenologia delle religioni e non è stata gettata luce sugli altri. La seconda difficoltà solleva la questione della forma in cui è presente la tradizione operante nella vita dei popoli. Il compromesso di Qadesh è stato attribuito da Freud alla persistenza di una poderosa tradizione nei reduci dall’Egitto. Nelle masse l’impressione del passato permane in tracce mnestiche inconsce. Se si ammette la permanenza di queste tracce mnestiche nell’eredità arcaica, si è gettato un ponte sull’abisso che separa la psicologia individuale da quella collettiva, e diventa possibile trattare i popoli come i singoli nevrotici. Una tradizione fondata solo sulla comunicazione non potrebbe produrre quel carattere coatto che è tipico dei fenomeni religiosi. Sarebbe ascoltata, criticata, fors’anche respinta come ogni altra notizia proveniente dall’esterno, e non otterrebbe mai il privilegio di sfuggire alla cogenza del pensiero logico.
Cap. 2
Ricapitolazione e ripetizione
423-24
Due parti di L’uomo Mosè e la religione monoteistica furono pubblicate nella rivista “Imago”: l’esordio psicoanalitico di tutta quanta la materia (Mosè egizio) e la costruzione storica fondata su di essa (Se Mosè era egizio…). Il resto, che contiene le cose veramente scandalose e pericolose, cioè l’applicazione di queste scoperte alla genesi del monoteismo, Freud decise di lasciarlo inedito, così pensava, per sempre. Poi nel marzo 1938 giunse, inaspettata, l’invasione tedesca che lo costrinse a lasciare la patria, ma lo liberò anche dalla preoccupazione di provocare, pubblicando il suo testo, la proibizione della psicoanalisi in un paese dove era ancora tollerata.
Il popolo d’israele
424-26
Di tutti i popoli che nell’antichità hanno abitato intorno al bacino mediterraneo, il popolo ebraico è forse l’unico che esista ancora oggi di nome e anche in sostanza. Ha affrontato sventure e vessazioni con una capacità di resistenza esemplare, ha sviluppato particolari lati del suo carattere e si è guadagnato, inoltre, l’avversione di tutti gli altri popoli. Partiamo da una caratteristica di questo popolo che domina il loro rapporto con gli altri. Non c’è dubbio che essi hanno un’opinione di sé particolarmente elevata, e si considerano superiori agli altri. Contemporaneamente, sono animati da una particolare fiducia nella vita, che deriva solo dal segreto possesso di un bene prezioso, una sorta di ottimismo: i devoti la chiamerebbero fede in Dio. Gli Ebrei si considerano veramente il popolo eletto da Dio, credono di essergli particolarmente vicini, e questo li rende fieri e sicuri. Quando uno è il dichiarato beniamino di un padre temuto, non ci si deve meravigliare se i suoi fratelli sono gelosi. Il corso della storia mondiale parve poi giustificare l’arroganza ebraica, poiché quando successivamente piacque a Dio di mandare all’umanità un Messia e un Redentore, esso fu scelto ancora una volta nel popolo ebraico. Fu l’uomo Mosè a scolpire nel popolo ebraico questa impronta indelebile. Egli accrebbe la presunzione degli Ebrei assicurandoli che erano il popolo eletto da Dio, diede loro la consacrazione e li obbligò a distinguersi dagli altri.
Il grande uomo
426-30
Se l’esame di un caso ci dimostra l’influsso prevalente di un’unica personalità, non occorre che la nostra coscienza ci rimproveri di aver osato sfidare con questa ipotesi la dottrina dell’importanza di fattori generali e impersonali. Lo sviluppo del monoteismo dipende dal prodursi di relazioni più intime tra nazioni diverse e dalla costruzione di un grande impero. Un grande uomo opera sul suo prossimo per due vie: con la sua personalità e con l’idea per la quale si impegna. Nella massa degli uomini vi è grande bisogno di un’autorità da ammirare, a cui inchinarsi, da cui essere dominati, fors’anche maltrattati. È la nostalgia del padre insita in ognuno dall’infanzia, dello stesso padre che l’eroe della leggenda si vanta di aver vinto. Senza dubbio fu un possente modello paterno, quello che nella persona di Mosè si chinò verso i poveri servi ebrei per assicurare loro che erano i suoi figli beneamati. E non meno travolgente dovette essere l’effetto esercitato sugli Ebrei dalla rappresentazione di un Dio unico, eterno, onnipotente, il quale non disdegnava di contrarre con loro, umili com’erano, un patto, e che prometteva di avere cura di loro se rimanevano fedeli al suo culto. La grande idea religiosa sostenuta dall’uomo Mosè non gli apparteneva, egli l’aveva ripresa da Ekhnatòn, il suo re.
Il progresso della spiritualità
430-34
Per ottenere effetti psichici duraturi in un popolo, non basta evidentemente assicurargli che è stato scelto dalla divinità. Bisogna in qualche modo provarglielo, se deve veramente crederci e trarne le conseguenze. Nella religione mosaica servì come prova l’esodo dall’Egitto; Dio, o Mosè in suo nome, non si stancò di richiamarsi a questa dimostrazione di benevolenza. La Pasqua ebraica fu introdotta per fissare il ricordo di questo evento. La religione portò agli Ebrei la rappresentazione di un Dio più grandioso. Chi credeva in questo Dio era reso partecipe in certo qual modo della sua grandezza, poteva sentirsi innalzato. Tra i precetti della religione mosaica se ne trova uno che è più importante di quanto non si riconosca a prima vista. È il divieto di costruire immagini di Dio, l’imposizione di adorare un Dio che nessuno può vedere. Con il divieto mosaico, Dio venne elevato a un grado più alto di spiritualità. Tutti questi progressi nella spiritualità hanno la conseguenza di aumentare la presunzione della persona, di renderla orgogliosa, facendola sentire superiore a coloro che sono rimasti in balia della sensibilità. Mosè trasmise agli Ebrei il sentimento esaltante di essere il popolo eletto; togliendo a Dio ogni materialità, il segreto tesoro del popolo si arricchì di una preziosa gemma. La propensione degli Ebrei per la spiritualità non venne mai meno.
Rinuncia pulsionale
434-39
Non è ovvio e non s’intende senz’altro perché il progresso nella spiritualità e la riduzione della sensibilità debbano accrescere la presunzione di una persona o di un popolo. Ciò sembra presupporre un determinato criterio di valutazione e un’altra persona o istanza che lo applichi. Quando l’Es fa sorgere in un essere umano una pretesa pulsionale di natura erotica o aggressiva, la cosa più semplice e naturale è che l’Io, che ha a propria disposizione l’apparato di pensiero e quello muscolare, la soddisfi mediante un’azione. Questo soddisfacimento della pulsione viene sentito dall’Io come piacere. La rinuncia pulsionale può essere ottenuta con la forza per ragioni sia interne che esterne. La religione, che ebbe inizio con il divieto di farsi un’immagine di Dio, evolve sempre più nel corso dei secoli in una religione della rinuncia pulsionale; si accontenta di una notevole restrizione della libertà sessuale. Però Dio viene pienamente sottratto alla sessualità ed elevato a ideale di perfezione etica. Mosè “consacrò” il suo popolo introducendo l’usanza della circoncisione, il sostituto simbolico dell’evirazione, che un tempo il padre primigenio nella pienezza del suo potere assoluto aveva inflitto ai figli; chi accettava questo simbolo, mostrava con ciò di essere pronto a sottomettersi al volere del padre anche se questi gli imponeva il sacrificio più doloroso. Parte dei precetti dell’etica si giustificano razionalmente con la necessità di delimitare i diritti della comunità rispetto al singolo, i diritti del singolo rispetto alla società e quelli degli individui fra di loro.
Il contenuto di verità
440-42
L’uomo Mosè impresse negli Ebrei il loro carattere peculiare dotandoli di una religione che accrebbe la loro presunzione, al punto che si credettero superiori a tutti gli altri popoli. Si conservarono tenendosi lontani dagli altri. Le mescolanze di sangue causarono scarso turbamento, poiché ciò che li teneva uniti era un fattore ideale, il possesso comune di determinati beni intellettuali ed emotivi. La religione mosaica ebbe questo effetto perché: 1) fece sì che il popolo prendesse parte alla grandiosità insita in una nuova rappresentazione di Dio; 2) asserì che quel popolo era stato scelto da un grande Dio ed era destinato a ricevere le testimonianze del suo particolare favore; 3) impose al popolo di progredire spiritualmente, e questo progresso, di per sé abbastanza importante, aprì inoltre la strada all’apprezzamento del lavoro intellettuale e a nuove rinunce pulsionali. La religione mosaica non era sparita senza lasciare tracce, se n’era conservato una specie di ricordo, oscurato e deformato, documentato forse presso singoli membri della casta sacerdotale da antiche annotazioni. E fu questa tradizione di un grande passato che continuò ad agire come dietro le quinte, acquisì gradualmente un potere sempre più grande sulle menti e infine riuscì a trasformare il dio Yahweh nel dio di Mosè, risvegliando a nuova vita quella religione di Mosè introdotta molti secoli prima e poi abbandonata.
Il ritorno del rimosso
442-44
Le esperienze dei primi cinque anni di vita esercitano un influsso determinante al quale niente, in seguito, è in grado di opporsi. Ciò che i bambini di due anni hanno vissuto e non compreso, possono benissimo non ricordarlo mai più se non in sogno. Eppure in qualche momento successivo irromperà nella loro vita con impulsi coatti, dirigerà le loro azioni, determinerà le loro simpatie e antipatie, cagionerà abbastanza spesso la loro scelta amorosa. Non è stato facile introdurre il concetto di inconscio nella psicologia collettiva. I meccanismi che conducono alla formazione delle nevrosi partecipano regolarmente ai fenomeni che stiamo indagando. Anche qui gli eventi determinanti risalgono ai tempi dell’infanzia vera e propria, ma ora l’accento cade non sul tempo, bensì sul processo che rintuzza l’evento, sulla reazione contro questo. Con una raffigurazione schematica, possiamo dire: per effetto dell’esperienza vissuta sorge una pretesa pulsionale che esige soddisfacimento. L’Io rifiuta questo soddisfacimento, o perché paralizzato dall’immensità della pretesa, o perché riconosce in essa un pericolo. L’Io si difende dal pericolo con un processo di rimozione. Il moto pulsionale viene in qualche modo inibito, e la causa occasionale è dimenticata, con il suo contorno di percezioni e rappresentazioni. Tutti i fenomeni della formazione di sintomi possono essere descritti come “ritorno del rimosso”. Il loro carattere distintivo è però l’ampia deformazione a cui il materiale che ritorna è andato incontro, rispetto a quello originale.
La verità storica
444-48
La religione mosaica fece valere il suo effetto sul popolo ebraico solo come tradizione. Il primitivo ha bisogno di un dio come creatore del mondo, capo supremo della tribù, protettore personale. Questo dio trova il suo posto dietro i padri defunti dei quali la tradizione sa ancora dire qualcosa. L’idea del dio unico significa di per sé un progresso nella spiritualità. Quando Mosè portò al popolo l’idea del dio unico, richiamava in vita un’esperienza primordiale della famiglia umana, che da molto tempo era svanita dalla memoria cosciente degli uomini. Dalla psicoanalisi si è appreso che le primissime impressioni, ricevute in un’epoca in cui il bambino non sa quasi parlare, manifestano prima o poi effetti di carattere coatto, pur senza essere coscientemente ricordate. Freud si ritiene in diritto di ammettere la stessa cosa per le primissime esperienze dell’intera umanità. Uno di questi effetti sarebbe il sorgere dell’idea del grande dio unico, nella quale occorre riconoscere un ricordo, certo deformato, ma non privo di fondamento. Un’idea siffatta ha carattere coatto, deve assolutamente essere creduta. Dal momento che è distorta, è giusto designarla come delirio; in quanto reca il ritorno del passato, la si deve chiamare verità.
L’evoluzione storica
448-53
Costituito l’ordinamento: clan dei fratelli, matriarcato, esogamia e totemismo, ebbe inizio un’evoluzione che è giusto definire come un lento “ritorno del rimosso”. Il ritorno del rimosso si compie lentamente, certo non spontaneamente, ma sotto la spinta di tutte le mutevoli condizioni di vita che riempiono di sé la storia della civiltà. Il primo effetto dell’incontro con colui che per tanto tempo era stato rimpianto e ardentemente desiderato fu travolgente, tale quale lo descrive la tradizione narrando delle leggi statuite sul monte Sinai. Ammirazione, timore reverenziale e gratitudine per la grazia trovata ai suoi occhi: la religione mosaica non conosce altri sentimenti oltre questi, positivi, verso il Dio Padre. Un’ebbrezza di devozione a Dio fu la prima reazione al ritorno del grande Padre. Nella cornice della religione mosaica non c’era spazio per l’espressione diretta dell’odio omicida contro il padre; poteva venire in luce solo una potente reazione a quest’odio: il senso di colpa per questa ostilità, la cattiva coscienza di aver peccato contro Dio e di continuare a peccare. L’evoluzione successiva va oltre l’ebraismo. Peccato originale e redenzione ottenuta con il sacrificio di una vittima divennero i pilastri della nuova religione fondata da Paolo. Scaturito da una religione del padre, il cristianesimo divenne una religione del figlio. Non sfuggì alla fatalità di doversi sbarazzare del padre. Solo una parte del popolo ebraico accettò la nuova dottrina. Coloro che la rifiutarono si chiamano ancora oggi Ebrei.
Estratti: Opere di Sigmund Freud (OSF) Vol 11: L’uomo Mosè e la religione monoteistica e altri scritti 1930-1938, Torino, Bollati Boringhieri, 2003.