L’Io e l’Es (1922) e altri scritti

L’Io e l’Es (1922)

1. Coscienza e inconscio
475-81
Le idee già esposte in Al di là del principio di piacere del 1920 vengono qui riprese e messe in rapporto con diversi dati dell’osservazione psicoanalitica per trarre nuove conclusioni. Il discorso riguarda però anche cose che finora non sono state oggetto di trattazione psicoanalitica. La distinzione dello psichico in ciò che è cosciente e ciò che è inconscio è il presupposto fondamentale della psicoanalisi; solo questa distinzione consente di comprendere e inserire in una sistemazione scientifica i così frequenti e importanti processi patologici della vita psichica. “Essere cosciente” è innanzitutto un termine puramente descrittivo, che si richiama alla percezione più immediata e più certa. Un elemento psichico in genere non è cosciente in modo durevole. Esistono processi psichici o rappresentazioni molto forti che sono capaci di produrre nella vita psichica tutti gli effetti delle rappresentazioni comuni pur senza diventare esse stesse coscienti. La teoria psicoanalitica afferma che queste rappresentazioni non possono diventare coscienti perché una certa forza vi si oppone; altrimenti diverrebbero coscienti, e in tal caso si costaterebbe quanto poco differiscono da altri elementi psichici riconosciuti come tali. Chiamiamo rimozione lo stato in cui queste rappresentazioni si trovano prima di diventare coscienti; quanto alla forza che ha prodotto e mantenuto attiva la rimozione, diciamo di avvertirla, durante il lavoro psicoanalitico, come una resistenza. Ricaviamo dunque il nostro concetto di inconscio dalla dottrina della rimozione. Il latente, che è tuttavia capace di divenire cosciente, lo chiamiamo preconscio; riserviamo invece la denominazione di inconscio a ciò che è rimosso e dinamicamente inconscio. Esiste nella persona un nucleo organizzato e coerente di processi psichici che chiamiamo l’Io di quella persona; a tale Io è legata la coscienza; esso domina le vie d’accesso alla motilità e da quest’Io provengono anche le rimozioni mediante le quali alcune tendenze psichiche rimangono escluse non soltanto dalla coscienza, ma anche dagli altri modi di agire e di farsi valere. Ciò che viene messo da parte mediante la rimozione si contrappone all’Io durante l’analisi, e compito dell’analisi è eliminare le resistenze che l’Io manifesta a occuparsi del rimosso. Anche una porzione dell’Io è indubitabilmente inconscia. E questo inconscio dell’Io non è latente nel senso del preconscio.

2. L’Io e l’Es
482-90
Tutto il nostro sapere è invariabilmente legato alla coscienza. Anche l’inconscio (Inc) possiamo imparare a conoscerlo solo rendendolo cosciente. La coscienza costituisce la superficie dell’apparato psichico. Sono consce tutte le percezioni: quelle che ci giungono dall’esterno e quelle che provengono dall’interno. La vera differenza fra una rappresentazione (o pensiero) inc e una rappresentazione prec consiste nel fatto che la prima si produce in relazione a qualche materiale che rimane ignoto, mentre nella seconda (prec) interviene in aggiunta un collegamento con rappresentazioni verbali. Queste rappresentazioni sono residui mnestici, sono state in passato percezioni, e come tutti i residui mnestici possono ridiventare coscienti. Riteniamo che i residui mnestici siano conservati in sistemi che premono direttamente sul sistema percezione-coscienza (P-C), talché i loro investimenti possono facilmente estendersi dall’interno agli elementi di quest’ultimo sistema. La distinzione tra C e Prec per le sensazioni interne è priva di senso; il Prec qui manca, queste sensazioni o sono coscienti o sono inconsce. Un individuo è per noi un Es psichico, ignoto e inconscio, sul quale poggia nello strato superiore l’Io, sviluppatosi dal sistema P come da un nucleo. Se si immagina una rappresentazione grafica, I’Io non avviluppa interamente l’Es, ma solo quel tanto che basta a far sì che il sistema P formi la superficie dell’Io. L’Io non è nettamente separato dall’Es, ma sconfina verso il basso fino a confluire con esso. Ma anche il rimosso confluisce con l’Es, di cui non è che una parte. L’Io è quella parte dell’Es che ha subìto una modificazione per la diretta azione del mondo esterno grazie all’intervento del P-C: in certo qual modo è una prosecuzione della differenziazione superficiale. L’Io è anzitutto un’entità corporea. Non soltanto le cose più profonde, ma anche quelle che per l’Io sono le più elevate, possono essere inconsce. L’Io cosciente è prima di ogni altra cosa un Io-corpo.

3. L’Io e il super-Io (ideale dell’io)
491-501
La parte dell’Io cui viene data la denominazione di ideale dell’Io, o Super-io, ha un rapporto meno stretto con la coscienza. Il tramutarsi di una scelta oggettuale erotica in un’alterazione dell’Io è un mezzo con cui l’Io controlla l’Es. La trasformazione della libido narcisistica implica una rinuncia alle mete sessuali. Dietro l’ideale dell’Io si cela la prima e più importante identificazione dell’individuo, quella con il padre della propria personale pre-istoria. Il risolversi del complesso edipico in un’identificazione con il padre o con la madre sembra dunque dipendere, per entrambi i sessi, dall’intensità relativa delle due impostazioni sessuali. Si può dunque supporre che l’esito più comune della fase sessuale dominata dal complesso edipico sia il costituirsi nell’Io di un lascito di queste due identificazioni, quella con il padre e quella con la madre, in qualche modo fra loro congiunte. Questa alterazione dell’Io conserva la sua posizione particolare contrapponendosi al restante contenuto dell’Io come ideale dell’Io, o Super-io. Il Super-io non è però soltanto un residuo delle prime scelte oggettuali dell’Es; ha anche il significato di una potente formazione reattiva nei confronti di quelle scelte. L’ideale dell’Io è l’erede del complesso edipico, e costituisce pertanto l’espressione dei più potenti impulsi e degli sviluppi libidici più importanti dell’Es. È facile mostrare che l’ideale dell’Io risponde a tutti i requisiti che gli uomini si aspettano di trovare nell’essere superiore.

4. Le due specie di pulsioni
502-09
Bisogna distinguere due specie di pulsioni, una delle quali, quella costituita dalle pulsioni sessuali o Eros, è di gran lunga la più appariscente e la più facile da individuare. Essa comprende non soltanto la vera e propria pulsione sessuale disinibita, nonché i moti pulsionali inibiti nella meta e sublimati che da essa derivano, ma anche la pulsione di autoconservazione. La seconda specie di pulsioni è costituita dalle pulsioni di morte. In seguito all’aggregazione di organismi elementari unicellulari in organismi viventi pluricellulari, la pulsione di morte della singola cellula viene neutralizzata e, per mezzo di un organo particolare, gli impulsi distruttivi vengono stornati. La componente sadica della pulsione sessuale costituisce un esempio classico di impasto pulsionale adeguato allo scopo; nel sadismo resosi autonomo come perversione ravvisiamo invece un modello di disimpasto pulsionale. L’odio è invariabilmente l’accompagnatore dell’amore (ambivalenza), precorre l’amore nelle relazioni fra gli uomini. Sembra plausibile che l’energia certamente operante nell’Io e nell’Es, spostabile e indifferenziata, provenga dalla scorta di libido narcisistica, e sia dunque Eros desessualizzato. Questa libido spostabile lavora al servizio del principio di piacere al fine di evitare gli ingorghi e facilitare le scariche. Se l’energia spostabile è libido desessualizzata, può anche essere definita energia sublimata. Con la trasformazione di libido erotica in libido dell’Io è naturalmente connessa una rinuncia alle mete sessuali, o desessualizzazione.

5. I rapporti di dipendenza dell’Io
510-20
L’Io si forma in gran parte mediante identificazioni, le quali prendono il posto di investimenti che l’Es ha abbandonato: le prime di queste identificazioni si configurano invariabilmente come una particolare istanza che, all’interno dell’Io, si contrappone, come Super-io, allo stesso Io. La particolare posizione del Super-io nell’Io, o rispetto all’Io, è dovuta a due fattori: 1) il Super-io è la prima identificazione che si è compiuta, mentre l’Io era ancora debole; 2) il Super-io è l’erede del complesso edipico. Il Super-io resta legato all’Es, e può presentarsi all’Io come suo rappresentante. Una grande parte del senso di colpa normalmente resta inconscia, dal momento che la formazione della coscienza morale è collegata intimamente al complesso edipico, il quale appartiene all’inconscio. Il senso di colpa si estrinseca diversamente nelle diverse circostanze. Il senso di colpa normale e cosciente è basato sulla tensione fra l’Io e l’ideale dell’Io. Il senso di colpa è fortissimo e cosciente nella nevrosi ossessiva e nella melanconia, ma rimane inconscio nell’isteria. Il nevrotico ossessivo – al contrario del melanconico – non compie mai in effetti il passo del suicidio. L’Es è assolutamente amorale; l’Io si sforza di essere morale, il Super-io può diventare ipermorale, e quindi crudele quanto solo l’Es può esserlo. L’Io è una povera cosa che soggiace a un triplice servaggio, ed è minacciato da un triplice pericolo: il pericolo proveniente dal mondo esterno, dalla libido dell’Es e dal rigore del Super-io. Data la grande importanza che assume nelle nevrosi il senso di colpa, non possiamo neppure escludere che la comune angoscia nevrotica, quando si tratta di casi gravi, venga rafforzata per il fatto che si sviluppa angoscia fra l’Io e il Super-io (angoscia di evirazione, angoscia morale, angoscia di morte). L’Es non ha mezzi per attestare all’Io amore o odio.

Una nevrosi demoniaca nel secolo decimosettimo (1922)
1. La storia del pittore Christoph Haizmann
527-32
Il 29 agosto 1677 in una chiesa di Pottenbrunn un pittore era stato colto da convulsioni e più tardi ammise che esse erano causate da un precedente patto col diavolo per cui si era impegnato con lui per iscritto ad appartenergli corpo e anima quando fossero trascorsi nove anni. Questo periodo scadeva appunto il 24 settembre 1677. Dopo che il pittore ebbe trascorso un lungo periodo di penitenza e preghiera a Mariazell, verso la mezzanotte dell’8 settembre (giorno della Natività di Maria), il diavolo, apparsogli sotto forma di drago alato, gli restituì il patto, che era stato scritto col sangue. Dopo breve tempo il pittore lasciò Mariazell in ottime condizioni di salute e si recò a Vienna, dove andò ad abitare con una sorella sposata. L’11 ottobre ricominciarono gli attacchi, alcuni dei quali gravissimi. Si trattava di visioni, di assenze durante le quali vedeva e provava ogni sorta di cose, di stati convulsivi accompagnati da sensazioni dolorosissime. Ma questa volta non era il diavolo a tormentarlo, lo visitavano invece personaggi sacri che gli infliggevano punizioni. Nel maggio 1678 tornò a Mariazell e disse ai reverendi padri che il motivo per cui ritornava era che doveva chiedere al diavolo di restituirgli anche un altro patto, stipulato precedentemente e scritto con l’inchiostro. Anche questa volta la Santa Vergine e i pii monaci lo aiutarono affinché la sua preghiera fosse esaudita. Egli entrò nell’ordine dei Fratelli della misericordia. Secondo le parole del Padre provinciale, era stato ancora più volte tentato dallo Spirito Maligno, che voleva indurlo a stringere un nuovo patto. Queste tentazioni erano state respinte, e frate Chrysostomus era morto di tisi nel 1700 “in dolcezza e serenità”.

2. Il motivo del patto col diavolo
533-36
Christoph Haizmann stringe un patto col diavolo al fine di liberarsi da uno stato di depressione psichica causatogli dalla morte del padre. I due scritti (uno col sangue e l’altro con l’inchiostro) non indicano un impegno del diavolo in cambio del quale il pittore cede la propria beatitudine eterna, ma solo una richiesta del diavolo che il pittore è tenuto a soddisfare: 1) il pittore deve essere figlio e servo del diavolo per nove anni; 2) il pittore deve appartenere al diavolo nel corpo e nell’anima in capo a nove anni. Il ragionamento che ha indotto il pittore a stringere il suo patto sembra in effetti essere il seguente: con la morte del padre egli ha perso il buonumore e la capacità di lavorare; se riuscisse a ottenere un sostituto del padre, potrebbe sperare di recuperare ciò che ha perduto. In cambio dell’anima del pittore il diavolo deve diventare suo padre per nove anni.

3. Il diavolo come sostituto del padre
537-46
La prima volta il diavolo appare a Christoph Haizmann come un rispettabile signore di una certa età, con una barba bruna, un mantello rosso, la mano destra appoggiata al bastone e un cane nero accanto. In seguito la sua apparizione diventa sempre più terribile: il diavolo viene provvisto di corna, di artigli d’aquila, di ali di pipistrello e alla fine gli appare nella cappella sotto le spoglie di un drago alato. Sappiamo che Dio è un sostituto del padre. Quanto al demone malvagio, sappiamo che esso è considerato come l’antitesi di Dio, pur essendo per sua natura molto affine a Dio. Dio e il diavolo furono originariamente identici. Il patto col Maligno viene stretto per nove anni. Il numero nove è ben noto dalle fantasie nevrotiche. È il numero dei mesi della gravidanza. Sebbene il numero nove appaia qui come anni, i sogni ci insegnano che deve essere interpretato come mesi. Il carattere sessuale femminile è accentuato dall’introduzione di grandi mammelle pendenti. Ciò contro cui Haizmann si ribella è dunque l’atteggiamento femmineo nei confronti del padre, che culmina nella fantasia di generargli un figlio.

4. I due patti
547-52
Un particolare sorprendente della storia di Haizmann è l’affermazione che egli stipulò due diversi patti col diavolo. Il fatto che una persona firmi due patti col diavolo, di modo che il primo documento viene sostituito dal secondo senza perdere tuttavia la propria validità, è inconsueto. L’opinione di Freud è che quando il pittore giunse per la prima volta a Mariazell parlò solo di un patto scritto regolarmente col sangue e che stava per scadere. Questo patto fu anche quello che il pittore esibì a Mariazell affermando che gli era stato restituito dal diavolo, costretto dalla Santa Madre di Dio. Di lì a poco il pittore lasciò il santuario e andò a Vienna, dove si sentì libero fino alla metà di ottobre. Ma poi ricominciarono sofferenze e apparizioni che egli considerava opera dello Spirito Maligno. Sentì nuovamente il bisogno di esserne liberato, ma si trovò di fronte alla difficoltà di spiegare perché mai l’esorcismo nella sacra cappella non lo avesse liberato per sempre. Inventò così di aver stipulato un patto precedente, questo però scritto con l’inchiostro, per modo che il fatto di averlo trascurato a favore di un patto successivo, scritto col sangue, potesse apparire plausibile. In questo modo non poté evitare il goffo risultato di essere liberato da un patto (quello scritto col sangue) troppo presto (nell’ottavo anno), e dall’altro (quello scritto con l’inchiostro) troppo tardi (nel decimo anno).

5. Lo sviluppo ulteriore della nevrosi
553-58
L’analisi del diario che il pittore scrisse a Vienna e consegnò ai monaci durante il suo secondo soggiorno a Mariazell permette di vedere agevolmente la motivazione o, per meglio dire, l’utilizzazione della sua nevrosi. Fino all’11 ottobre, a Vienna, dove viveva presso una sorella sposata, egli si sentì benissimo. Ma poi cominciarono nuovi attacchi. La nuova malattia si articola in tre fasi. Dapprima la tentazione si presentò sotto la forma di un cavaliere elegantemente vestito che cercò di convincerlo a gettare via il documento che attestava il suo ingresso nella confraternita del Santo Rosario. Si verificò allora una reazione ascetica. Il 20 ottobre gli apparve una grande luce splendente dalla quale venne una voce che si fece riconoscere come quella di Cristo e che lo esortò ad abbandonare questo mondo malvagio e a servire Dio nel deserto per sei anni. Dunque, le fantasie di tentazione sono seguite da fantasie ascetiche e infine da fantasie di punizione. Il pittore ha firmato un patto col diavolo perché dopo la morte del padre, in uno stato di scoramento e di incapacità di lavorare, aveva temuto di non riuscire a mantenersi in vita. Ma il patto non basta ad aiutarlo; infatti, dopo il successo del primo esorcismo, la sua situazione non è cambiata affatto. Soltanto con il suo ingresso in un ordine religioso alla fine cessano sia il suo intimo conflitto sia la sua indigenza materiale. Nella sua nevrosi tale esito è rispecchiato dal fatto che attacchi e visioni cessarono con la restituzione di un preteso primo patto. In verità le due parti della sua malattia demoniaca avevano lo stesso significato. Ciò che voleva era sempre e soltanto assicurare la propria vita. Egli percorse il cammino che da suo padre riconduceva ai reverendi padri, passando per il diavolo come sostituto del padre. La sgradevole situazione in cui effettivamente si trovava il pittore non avrebbe provocato una nevrosi demoniaca se le sue difficoltà materiali non fossero andate a rafforzare il rimpianto del padre.

L’organizzazione genitale infantile (un’interpolazione nella teoria sessuale) (1923)
563-67
La principale caratteristica dell’organizzazione genitale infantile è la sua diversità rispetto alla definitiva organizzazione genitale dell’adulto. Tale diversità consiste nel fatto che per entrambi i sessi c’è un solo genitale degno di essere preso in considerazione, quello maschile. Non siamo dunque in presenza di un primato dei genitali, bensì di un primato del fallo. Certamente il bimbetto percepisce la differenza che esiste tra gli uomini e le donne, ma in un primo momento non ha occasione di metterla in relazione con una differenza dei loro genitali. La forza propulsiva che l’organo maschile svilupperà più tardi, alla pubertà, in questo periodo della vita si esplica essenzialmente sotto forma di impulso investigativo, di curiosità sessuale. Molti degli atti esibizionistici e aggressivi che il bambino compie, e che negli anni successivi sarebbero considerati senz’altro espressioni di lascivia, si rivelano all’analisi come esperimenti al servizio dell’esplorazione sessuale. Nel corso di queste ricerche il bambino giunge a scoprire che il pene non è un possesso comune a tutti gli esseri simili a lui, e comincia a concepire l’assenza del pene come risultato di un’evirazione. Il significato del complesso di evirazione può essere valutato correttamente soltanto se si tiene conto anche del fatto che esso si costituisce nella fase del primato fallico. Il bambino crede che siano state private del genitale solo le donne che non valgono nulla. Alle donne rispettabili invece, come per esempio la propria madre, i bambini attribuiscono il pene ancora per molto tempo. Le trasformazioni che subisce durante lo sviluppo sessuale infantile la ben nota polarità tra i sessi non sono irrilevanti. La prima antitesi viene introdotta con la scelta oggettuale, che ovviamente presuppone un soggetto e un oggetto; più tardi, nella fase dell’organizzazione pregenitale sadico-anale, l’antitesi è tra attività e passività; e nella fase seguente dell’organizzazione genitale infantile i termini dell’antitesi sono il possesso di un genitale maschile da un lato e l’esser evirati dall’altro. Solo quando, alla pubertà, lo sviluppo sessuale è concluso, la polarità tra i sessi si identificherà con il maschile da una parte e il femminile dall’altra.

Scritti brevi

Prefazione a “Rapporto sul Policlinico psicoanalitico di Berlino” di Max Eitingon (1923)
573
Se accanto al suo significato scientifico la psicoanalisi ha valore anche come metodo terapeutico, se essa è in grado di dare un sostegno a coloro che soffrono nella loro lotta per soddisfare le richieste della civiltà, questo aiuto dovrebbe essere accessibile anche alla moltitudine di coloro che sono troppo poveri per remunerare con i propri mezzi il faticoso lavoro dello psicoanalista. Ciò sembra costituire una necessità sociale, giacché i ceti intellettuali della popolazione, che sono particolarmente inclini alla nevrosi, continuano incessantemente a impoverirsi. Gli istituti come il Policlinico di Berlino rendono possibile la formazione e l’addestramento di un numero notevole di analisti la cui attività deve essere considerata come l’unica garanzia possibile contro i danni che ai malati possono essere arrecati da persone ignoranti e non qualificate, non importa se medici o no.

Lettera a Luis Lopez-Ballesteros y de Torres (1923)
574
Quando Freud era un giovane studente, il desiderio di leggere l’immortale Don Chisciotte nell’originale di Cervantes lo indusse a studiare lo spagnolo. Grazie a questo suo giovanile entusiasmo egli era ora in grado di verificare l’accuratezza della versione spagnola delle sue opere (eseguita dallo stesso López-Ballesteros), la cui lettura gli procurava sempre grande piacere per la correttissima interpretazione del suo pensiero e l’eleganza dello stile.

Josef Popper-Lynkeus e la teoria del sogno (1923)
575-77
Freud si sofferma sull’aspetto soggettivo dell’originalità scientifica. Il ricercatore tende a pretenderla, ma un’accurata indagine può scoprire fonti nascoste, da lungo tempo obliate, che hanno fornito lo stimolo per le sue idee apparentemente originali. Anche a Freud è accaduto lo stesso. Solo di un concetto non riesce a trovare la fonte, e si tratta proprio del concetto che è divenuto la chiave di volta della sua concezione del sogno e che lo ha aiutato a scioglierne gli enigmi. Riallacciandosi all’incomprensibilità, alla confusione e all’insensatezza dei sogni, si era fatto l’idea che il sogno dovesse diventare così perché in esso cerca di trovare espressione qualcosa contro cui cozza la resistenza di altre energie psichiche. Nel sogno si risvegliano impulsi segreti che sono in contrasto con le convinzioni per così dire ufficiali di natura etica ed estetica del sognatore. Freud ha chiamato “censura onirica” quella forza psichica che, tenendo conto di questo dissidio interiore, deforma i moti pulsionali primitivi del sogno in senso favorevole alle esigenze convenzionali o ai criteri morali più elevati. Ebbene, proprio questa parte essenziale della sua teoria del sogno, ammette Freud, è stata scoperta autonomamente da Popper-Lynkeus. Freud conclude che nel suo caso ciò che lo ha reso capace di scoprire la causa della deformazione onirica è stato il suo coraggio morale; nel caso di Popper-Lynkeus sono stati invece la purezza, l’amore per la verità e l’integrità morale.

Il dottor Sandor Ferecenzi (1923)
578-81
Nato nel 1873, Ferenczi festeggiava in quell’anno, 1923, sia i cinquant’anni, sia l’anniversario dei suoi primi dieci anni come capo della Società psicoanalitica di Budapest. Figlio di mezzo di una famiglia molto numerosa, Ferenczi aveva dovuto lottare contro un forte complesso fraterno, ma sotto l’influenza dell’analisi divenne un fratello maggiore irreprensibile, un amabile educatore e un promotore di giovani talenti. Egli si impegnò attivamente più volte anche nelle vicende esterne della psicoanalisi. I suoi scritti psicoanalitici sono universalmente noti e apprezzati. La produzione scientifica di Ferenczi impressiona soprattutto per la sua poliedricità. Accanto all’esposizione di casi clinici felicemente scelti e a comunicazioni cliniche basate su un’acuta osservazione, troviamo lavori critici esemplari ed eccellenti scritti polemici. Ci sono poi i saggi su cui si fonda soprattutto la fama di Ferenczi, quelli in cui vengono felicemente a espressione la sua originalità, la ricchezza del suo pensiero e la sua capacità di dominare un’immaginazione scientifica correttamente orientata, e in cui egli ha sviluppato la conoscenza di fenomeni fondamentali della vita psichica: Introiezione e traslazione, che comprende un esame della teoria dell’ipnosi, Fasi evolutive del senso di realtà e lo studio sul simbolismo.

Breve compendio di psicoanalisi (1923)

587-605

La psicoanalisi in origine si proponeva unicamente di comprendere qualcosa della natura delle malattie nervose cosiddette “funzionali”. Indiscutibile è l’importanza dell’ipnosi, sostituita poi dal metodo delle associazioni libere e seguita dall’interpretazione, per l’origine della psicoanalisi e per lo studio delle nevrosi. Sono ricordati i contributi di Breuer e Freud allo sviluppo della psicoterapia con l’introduzione del metodo catartico, e vengono spiegati i meccanismi della rimozione e della resistenza. La psicoanalisi giunse gradualmente a possedere una teoria che parve dare sufficienti informazioni sulla genesi, il senso e l’intenzione dei sintomi nevrotici. Pose l’accento sulla vita pulsionale (affettività), sulla dinamica psichica, sulla significatività e sulla determinazione di tutti i fenomeni psichici, anche di quelli più oscuri e arbitrari, sulla dottrina del conflitto psichico e sulla natura patogena della rimozione, sulla concezione dei sintomi morbosi come appagamenti sostitutivi, sul riconoscimento del significato etiologico della vita sessuale, particolarmente dei suoi inizi, che risalgono alla sessualità infantile. Vengono inoltre discussi l’importanza e il significato dei sogni nella psicoterapia e i metodi di interpretazione. La teoria psicoanalitica comincia a diffondersi (con la nascita dei primi organi di stampa dedicati esclusivamente a essa) e attrae molti seguaci. Un elenco di concetti ausiliari che consente al medico di venire a capo del materiale psicoanalitico comprende: libido, libido oggettuale, libido narcisistica o dell’Io e complesso edipico. La psicoanalisi non avrebbe mai attirato su di sé l’attenzione del mondo intellettuale in ragione del suo significato per la psichiatria; in realtà tale effetto fu determinato dalla relazione della psicoanalisi con la vita psichica normale. Con il passaggio dell’indagine dalle funzioni psichiche del singolo a quelle delle comunità umane e dei popoli, la psicoanalisi poté a buon diritto proclamarsi “psicologia del profondo”. Freud analizza a questo punto le tensioni imposte alle nostre facoltà psichiche dalla civiltà e conclude che a tale repressione dovuta alla civiltà sono soggetti prevalentemente i moti pulsionali sessuali. Se l’apparato psichico si scompone in un Io (rivolto verso il mondo esterno e dotato di coscienza) e un Es inconscio (dominato dai bisogni pulsionali), la psicoanalisi dovrà essere definita come una psicologia dell’Es (e degli influssi dell’Es sull’Io).

Nevrosi e psicosi (1923)

611-15
La nevrosi è l’effetto di un conflitto tra l’Io e il suo Es, mentre la psicosi rappresenta l’analogo esito di un perturbamento simile nei rapporti tra Io e mondo esterno. Tutte le analisi dimostrano che le nevrosi di traslazione si sviluppano per il fatto che l’Io, di fronte a un potente moto pulsionale nell’Es, non intende accettarlo né favorirne lo sfogo motorio, oppure gli contende l’oggetto che costituisce la sua meta. L’Io si difende quindi da quel moto pulsionale mediante il meccanismo della rimozione; ma il rimosso si ribella a questo destino e si procura una rappresentanza sostitutiva, il sintomo. L’Io sente la propria unità minacciata e lesa da questo intruso, e continua contro il sintomo la lotta che aveva intrapreso per difendersi dal moto pulsionale originario. L’etiologia comune che determina lo scoppio di una psiconevrosi o di una psicosi rimane sempre una frustrazione, il mancato appagamento di uno di quegli invincibili desideri infantili che nella nostra organizzazione, filogeneticamente determinata, hanno radici così profonde. L’effetto patogeno dipende ora da questo: se l’Io rimane fedele alla propria dipendenza dal mondo esterno e tenta di imbavagliare l’Es, come nelle nevrosi di traslazione, o se invece si lascia sopraffare dall’Es e con ciò stesso strappare dalla realtà, come nelle psicosi. Un terzo gruppo di disturbi, le psiconevrosi narcisistiche, sono caratterizzate da un conflitto tra l’Io e il Super-io. È necessario integrare in un punto l’affermazione che le nevrosi e le psicosi traggono origine dai conflitti dell’Io con le diverse istanze che lo dominano. Sarebbe interessante sapere in quali circostanze e per quali vie l’Io riesce a cavarsela da questi conflitti, che indubbiamente sono sempre presenti, senza ammalarsi. È questo un nuovo campo di indagine, nel quale certamente si troveranno coinvolti, tra gli altri, due importanti fattori: i rapporti economici, cioè l’intensità relativa delle varie tendenze in lotta tra loro, e la capacità dell’Io di evitare la rottura modificando sé stesso.

Lettera a Fritz Wittels (1923)

621-23
Fritz Wittels, uno dei membri della prima ora della Società psicoanalitica di Vienna, dalla quale si era staccato nel 1910, aveva completato alla fine del 1923 una biografia di Freud. Freud rispose che non si sarebbe mai augurato né avrebbe mai sollecitato una biografia. Quanto ai travisamenti che gli pareva di poter riconoscere, li attribuiva a un’opinione preconcetta dello stesso Wittels. Ammetteva volentieri, d’altro canto, di sentirsi obbligato a camminare per la sua strada, spesso tortuosa e difficile, e di non sapere che farsene delle idee altrui che arrivavano fuori tempo. Accludeva una lista di precisazioni, fornite attraverso dati assolutamente attendibili, del tutto indipendenti dalle sue opinioni soggettive, in parte non essenziali, in parte, forse, idonee a mettere in questione o a modificare alcune delle congetture di Wittels.

Estratto: Opere di Sigmund Freud (OSF) Vol 9. L’Io e l’Es e altri scritti 1917-1923, Torino, Bollati Boringhieri, 2000, (rist. 2006).