Ogni pensiero è interpretazione, perché ogni pensiero mette in relazione delle parole con delle cose. Ogni pensiero è interpretazione. Ogni parola è interpretazione. Parlare di sé è interpretarsi. Un interprete è un traduttore, che traduce e quindi tradisce, ma che in ogni caso cerca di realizzare un transfert da una lingua all’altra. Questa è l’interpretazione classica del sintomo. Ciò cambia con i nuovi sintomi. Con in nuovi sintomi siamo più sul versante del godimento dei sensi. Per Freud nulla si perde nell’apparato psichico. Le tracce sono conservate ma inaccessibili. Quindi ogni costruzione si realizza su qualcosa di incomprensibile. La costruzione in Freud è simile al delirio. In questo senso Lacan dice: tutto il mondo delira. Anche nella pratica dell’interpretazione si mette in atto un piccolo delirio. Freud cita l’Amleto: una falsa esca per prendere una carpa vera. Nel lavoro clinico si lancia qualcosa che porta qualcosa di diverso. Il lavoro clinico si realizza spesso a lato, mettendosi di lato, è così che si può arrivare a cambiare il registro della parola.
L’interpretazione presuppone una teoria dell’inconscio, del linguaggio, dell’atto e del tempo. Questi sono gli ingredienti minimi per osare prendere la parola. A volte si è talmente impegnati in quel che si dice che ci si dimentica che si inizia a dire. Anche per il paziente: quello che dice può restare nascosto dietro quello che dice.
C’è un dispositivo di parole che si può declinare nella consulenza, nel trattamento psicoanalitico breve, nella psicoanalisi applicata, nella psicoanalisi in quanto tale. Che cosa fa la psicoanalisi quando prende la parola? Si pone la questione dell’intervento. In particolare dell’interpretazione. Ci sono alcune scuole che applicano l’interpretazione a priori, sistematicamente, per misurare l’effetto che si produce. In un idea di consulenza breve. Anche gli psicoanalisti più esperti non sono a riparo dall’interpretazione a priori. Anche loro fanno più interpretazioni a priori di quando non credano di fare.