Fonte: K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, Torino, 1949, pagg. 122-123 e 130
Si vede facilmente la necessità che l’intero movimento rivoluzionario trovi la propria base tanto empirica che teoretica nel movimento della proprietà privata, per l’appunto dell’economia.
Questa proprietà privata materiale, immediatamente sensibile, è l’espressione materiale e sensibile della vita umana estraniata. Il suo movimento – la produzione e il consumo – è la rivelazione sensibile del movimento di tutta la produzione sino ad oggi, cioè della realizzazione o realtà dell’uomo. La religione, la famiglia, lo stato, il diritto, la morale, la scienza, l’arte, ecc. non sono che modi particolari della produzione e cadono sotto la sua legge universale. La soppressione positiva della proprietà privata, in quanto appropriazione della vita umana, è dunque la soppressione positiva di ogni estraniazione, e quindi il ritorno dell’uomo, dalla religione, dalla famiglia, dallo stato, ecc. alla sua esistenza umana, cioè sociale. L’estraniazione religiosa come tale ha luogo soltanto nella sfera della coscienza [,] dell’interiorità umana; invece l’estraniazione economica è l’estraniazione della vita reale, onde la sua soppressione abbraccia l’uno e l’altro lato. S’intende che nei diversi popoli il primo inizio del movimento è diverso a seconda che la vita vera e riconosciuta del popolo si svolga piú nella coscienza che nel mondo esterno, sia piú ideale che reale. Il comunismo comincia subito con l’ateismo (Owen), ma l’ateismo è ancora in principio ben lungi dall’essere comunismo: quell’ateismo è ancora piú che altro un’astrazione.
[…] si vede come la soluzione delle opposizioni teoretiche sia possibile soltanto in maniera pratica, soltanto attraverso l’energia pratica dell’uomo, e come questa soluzione non sia per nulla soltanto un cómpito della conoscenza, ma sia anche un cómpito reale della vita, che la filosofia non poteva adempiere, proprio perché essa intendeva questo cómpito soltanto come un cómpito teoretico.