Fonte: G. W. Leibniz, Scritti filosofici, UTET, Torino, 1967, vol. II, pagg. 173-174, 178
D’altronde vi sono mille segni che fanno giudicare che vi sono a ogni momento una infinità di percezioni in noi, ma senza appercezione e senza riflessione, cioè cambiamenti nell’anima di cui noi non ci accorgiamo perché le impressioni sono o troppo piccole o troppo numerose o troppo congiunte, sicché non si riesce a distinguerle se non in parte; ciò nonostante esse non cessano di far sentire i loro effetti e di farsi sentire almeno confusamente nel loro insieme. […] Così vi sarebbero in noi percezioni delle quali non ci accorgiamo subito, non derivando l’appercezione che dall’avvertimento dopo un qualche intervallo, per piccolo che sia. E per meglio giudicare delle piccole percezioni che non sapremmo distinguere in una folla [di percezioni] sono solito servirmi dell’esempio del muggito o rumore del mare dal quale si è colpiti quando si è sulla riva. Per intendere questo rumore bisogna che se ne percepiscano le parti che lo costituiscono, cioè il rumore di ogni singola onda, benché ciascuno di questi brusii non si faccia conoscere che nell’insieme confuso di tutte le altre onde, cioè dentro questo muggito stesso, e non potrebbe essere notato, se questa onda che lo produce fosse sola. Perciò bisogna che si sia turbati, almeno un poco, dal movimento di ogni singola onda e che si abbia una qualche percezione di ciascuno di questi rumori, per quanto lievi siano, o altrimenti non vi sarebbe neppure quello di centomila onde, perché centomila niente non possono fare qualche cosa.
[…]
Quanto piú, infatti, si è attenti a non trascurare nulla di ciò che possiamo determinare, tanto piú la pratica risponde alla teoria: ma soltanto la Suprema Ragione, a cui non sfugge nulla, è in grado di comprendere distintamente tutto l’infinito, tutte le ragioni e tutte le conseguenze. Il nostro potere sull’infinito si limita a conoscerlo confusamente, e a sapere quanto meno, distintamente, che c’è. Diversamente noi giudicheremmo malissimo della bellezza e della grandezza dell’Universo, né potremmo disporre di una fisica efficace, che spieghi la natura delle cose in generale, e ancor meno di una buona pneumatica, che abbracci la conoscenza di Dio, delle anime e delle sostanze semplici in genere.
Tale conoscenza delle percezioni insensibili serve anche a spiegare perché e come due anime umane, o, in generale, di una stessa specie, non escano mai perfettamente simili dalle mani del Creatore, e abbiano ciascuna un rapporto originario con il particolare punto di vista da cui guarderanno l’Universo. Del resto, questo è una conseguenza di quanto ho già osservato degli individui: e, cioè, che la loro differenza non è mai esclusivamente numerica.