Fonte: R. Descartes, Opere, Laterza, Bari, 1967, vol. I, pagg. 217-218; 225; 230
Tra i miei pensieri, alcuni sono come le immagini delle cose, e a quelli soli conviene propriamente il nome d’idea: come quando mi rappresento un uomo, o una chimera, o il cielo, o un angelo, o Dio stesso. Altri poi hanno anche altre forme: cosí, quando io voglio, temo, affermo o nego, concepisco qualche cosa come oggetto dell’atto del mio pensiero, ma aggiungo anche altro, per mezzo di quest’azione, all’idea di quella cosa; e di questo genere di pensieri, gli uni sono chiamati volontà o affezioni, e gli altri giudizi.
Ora, per ciò che concerne le idee, se noi le consideriamo solo in se stesse, senza riportarle ad altro, esse non possono, a parlar propriamente, essere false; poiché, sia che immagini una capra o una chimera, immagino l’una non meno che l’altra.
Egualmente, non bisogna temer falsità nelle affezioni o volontà; perché sebbene io possa desiderare cose cattive, o anche cose che non furono mai, tuttavia non è perciò meno vero che io le desidero.
Cosí restano i soli giudizi, nei quali debbo badare accuratamente a non ingannarmi. Ora il principale e piú ordinario errore che vi si possa trovare consiste in ciò, che io giudico che le idee, le quali sono in me, siano simili o conformi a cose che sono fuori di me; poiché certamente, se considerassi le idee solamente come modi o maniere del mio pensiero, senza volerle riportare ad altro, ben difficilmente mi potrebbero dare occasione di errare.
Ora, di queste idee alcune mi sembrano nate con me [innatae], altre estranee e venute dal di fuori [adventitiae], altre ancora fatte ed inventate da me stesso [factitiae]. Infatti la facoltà di concepire una cosa, una verità, o un pensiero, sembra non venirmi da altro che dalla mia natura; ma se odo adesso qualche rumore, se vedo il Sole, se sento caldo, fino ad ora ho giudicato che queste sensazioni provenissero da cose esistenti fuori di me; ed infine mi sembra che le sirene, gli ippogrifi e tutte le altre simili chimere siano finzioni ed invenzioni del mio spirito.
[Descartes analizza le diverse idee presenti nel suo pensiero e conclude che potrebbero essere esclusivamente un prodotto della sua mente. Con una sola eccezione]
Non resta, dunque, che la sola idea di Dio, nella quale bisogna considerare se vi sia qualche cosa che non sia potuto venire da me stesso. Con il nome di Dio intendo una sostanza infinita, eterna, immutabile, indipendente, onnisciente, onnipotente, e dalla quale io stesso, e tutte le altre cose che sono (se è vero che ve ne sono di esistenti), siamo stati creati e prodotti. Ora, queste prerogative sono cosí grandi e cosí eminenti, che piú attentamente le considero, e meno mi persuado che l’idea che ne ho possa trarre la sua origine da me solo e, per conseguenza, bisogna necessariamente concludere, che tutto ciò che ho detto per lo innanzi, che Dio esiste; poiché, sebben l’idea della sostanza sia in me per il fatto stesso che sono una sostanza, non avrei tuttavia, l’idea di una sostanza infinita, io che sono un essere finito, se essa non fosse stata messa in me da qualche sostanza veramente infinita. […]
E certo non si deve trovare strano che Dio, creandomi, abbia messo in me questa idea, perché fosse come la marca dell’operaio impressa sulla sua opera […].