Brani antologici: J. Lacan, Il Seminario. Libro V. Le formazioni dell’inconscio. Cap. XII e XV
[278] Attraverso l’esegesi di ciò che è articolato in un particolare sogno scopriamo qualcosa. Ma, in fin dei conti, che cos’è? Qualcosa che supponiamo voglia farsi [279] riconoscere, qualcosa che fa parte di un’avventura primordiale, che è là inscritto e che si articola, e che noi riferiamo sempre a qualcosa di originale, avvenuto nell’infanzia e che è stato rimosso. È a questo che in fin dei conti diamo un senso preminente nell’articolazione del sogno.
Qui si presenta qualcosa che è veramente conclusivo per la strutturazione del desiderio del soggetto. Possiamo fin d’ora articolarlo – è avventura primordiale di ciò che è avvenuto del desiderio infantile, del desiderio essenziale, che è il desiderio del desiderio dell’Altro è il desiderio di essere desiderato. Ciò che si è inscritto nel soggetto nel corso di questa avventura resta permanentemente soggiacente, ecco il termine ultimo di ciò che ci interessa nel sogno. Un desiderio inconscio si esprime attraverso la maschera di ciò che occasionalmente avrà fornito al sogno il suo materiale. Esso ci è significato attraverso le condizioni sempre particolari che la legge del significante impone al desiderio. Cerco qui di insegnarvi a sostituire alla meccanica, all’economia delle gratificazione, delle cure, delle fissazioni, delle aggressioni – che resta più o meno confusa nella teoria perché sempre parziale – la nozione fondamentale della dipendenza primordiale del soggetto rispetto al desiderio dell’Altro. Ciò che del soggetto si è strutturato passa sempre attraverso tale meccanismo che fa sì che il suo desiderio sia già modellato in quanto tale dalle condizioni della domanda. Ecco ciò che è inscritto via via nella storia del soggetto, nella sua struttura – sono le peripezie e le trasformazioni della costituzione del suo desiderio in quanto sottomesso alla legge del desiderio dell’Altro. Ciò fa del più profondo desiderio del soggetto, quello che resta sospeso nell’inconscio, la somma, potremmo dire l’integrale di questa grande D, il desiderio dell’Altro.
[280 […] Ma formulandolo semplicemente nel confronto del bambino con il personaggio materno, ella [Klein] perviene a una relazione speculare. Per questo motivo il corpo – ed è già sorprendente che il corpo sia messo in primo piano – il corpo materno diviene il recinto e l’abitacolo di tutto ciò che vi si può localizzare, per proiezione, delle pulsioni del bambino, essendo queste pulsioni motivate all’aggressione dovuta a una delusione fondamentale. In fin dei conti in questa dialettica niente ci fa uscire da un meccanismo di proiezione illusori, da una costruzione del mondo a partire da una sorta di autogenesi di fantasmi primordiali. La genesi dell’esterno in quanto luogo del cattivo resta puramente artificiale e sottomette tutto l’ulteriore accesso alla realtà a una pura dialettica di fantasia.
[278] […] E’ questo il solo modo per trovare la soluzione delle aporie generate dalla via kleniana, che si è mostrata così feconda per molti versi, ma che giunge a fa svanire e a eludere completamente – o a ricostruire in modo implicito, quando non se ne accorge, ma in modo illecito, perché non motivato . La dialettica primordiale del desiderio come è stata scoperta da Freud, la quale comporta un rapporto terzo fa intervenire al di là della madre, o perfino attraverdo di lei, la presenza di quel personaggio, desiderato o rivale, ma sempre terzo, che è il padre. È qui che si giustifica lo schema che vi ho dato dicendovi che bisogna porre fin dall’inizio la triade simbolica fondamentale, vale a dire la madre, il bambino e il padre. Il terzo termine è essenziale in quanto è ciò che permette tutt questo o lo sproibisce. Esso si pone al di dà dell’assenza o presenza della madre, in quanto senso, presenza significante, cosa che gli permette o n di manifestarsi. È in relazione a tutto questo che, non appena l’ordine significante entra in gioco, il soggetto deve situarsi.