Brani antologici: Jacques Lacan, Il Seminario. Libro V. Le formazioni dell’inconscio, Einaudi, Torino, 2004, pagg.180-199.
[186] […] Osserviamo quel desiderio dell’Altro, che è il desiderio della madre, e che comporta un al di là. Già per raggiungere questo al di là è necessaria una mediazione, e questa mediazione è precisamente data dalla posizione del padre nell’ordine simbolico.
[…] Vi ricordo questo per mostrarvi che la relazione del bambino con il fallo si stabilisce in quanto il fallo è l’oggetto del desiderio della madre.. Inoltre l’esperienza ci mostra che questo elemento ha un ruolo attivo essenziale nei rapporti del bambino con la coppia genitoriale.
[…] Nell’esperienza troverete sempre che il soggetto ha preso posizione in un cento modo, in un dato momento della sua infanzia, rispetto al ruolo che il padre ha per il fatto che la madre non ha il fallo. Questo momento non è mai eliso.
[187] […] È ben chiaro che il padre non castra la madre di qualcosa che lei non ha. Perché sia stabilito che non ce l’ha, bisogna che quello di cui si tratta sia già proiettato sul piano simbolico in quanto simbolo. Ma si tratta di una privazione bella e buona, dato che ogni privazione reale richiede la simbolizzazione. È dunque sul piano della privazione della madre che, a un momento dato dell’evoluzione dell’Edipo, si pone per il soggetto la questione di accettare, di registrare, di simbolizzare lui stesso, di rendere significante la privazione di cui la madre risulta essere l’oggetto. Questa privazione, il soggetto infante l’assume o non l’assume l’accetta o la rifiuta.
[…] C’è il momento anteriore in cui il padre entra in funzione come colui che priva la madre, cioè si profila dietro il rapporto della madre con l’oggetto del suo desiderio come quello che castra, ma qui lo metto solo tra virgolette, perché quello che è castrato, in questo caso, non è il soggetto ma bensì la madre.
[…]L’esperienza priva che, nella misura in cui il bambino non oltrepassa questo punto nodale, vale a dire non accetta la privazione del fallo operata dal padre sulla madre, mantiene di regola – la correlazione è fondata nella struttura – una certa forma di identificazione con l’oggetto della madre, oggetto che vi rappresentato fina dall’origine come un oggetto-rivale, per utilizzare il termine che qui ricorre, che si tratti di fobia, di nevrosi, o di perversione.
Nel terzo tempo, dunque, il padre interviene come reale e potente. Questo tempo viene dopo la privazione o la castrazione, che concerne la madre, la madre immaginata, al livello del soggetto, nella sua specifica posizione immaginaria di dipendenza. In quanto il padre interviene come colui che ce l’ha, viene interiorizzato nel soggetto come Ideale dell’io e, non dimentichiamolo, da quel momento il complesso di Edipo declina. Che cosa vuol dire questo? Non vuol dire che il bambino entrerà in possesso di tutti i suoi poteri sessuali e li eserciterà. Lo sapete benissimo, al contrario, non li esercita affatto, e si può dire che è apparentemente decaduto nell’esercizio delle funzioni che avevano cominciato a svegliarsi, tuttavia, se ha un senso ciò che Freud ha formulato, il bambino ha in tasca tutti i titoli per servirsene in futuro. La metafora paterna gioca là un ruolo che è proprio quello che ci possiamo attendere da parte di una metafora . Essa conduce all’istituzione di qualcosa che è dell’rodine del significante, che è là in riserva e la cui significazione si svilupperà più tardi.
[198] […] Il padre è, nell’Altro, il significante che rappresenta l’esistenza del luogo della catena significante come legge. Egli si pone, se posso dire così, al di sopra di essa. […] Il padre è in una posizione metaforica unicamente nella misura in cui la madre fa di colui che sanziona con la sua presenza l’esistenza come tale del luogo della legge.