L’aggressività in psicoanalisi (1948)

L’aggressività in psicoanalisi”[1] è la relazione che Lacan scrisse per il XI Congresso degli psicoanalisti di lingua francese tenutosi a Bruxelles nel maggio del 1948. Si tratta del rimaneggiamento di un intervento già presentato da Lacan nel 1936 al XIV Congresso internazionale dell’IPA a Marienbad. Nello stadio dello specchio il potere morfogeno dell’immagine emerge dalla teoria freudiano dell’identificazione. L’esperienza del rapporto del bambino con lo specchio diventa per Lacan un “crocevia strutturale nella costituzione della soggettività umana[2]. L’io si mostra come strutturalmente alienato, cristallizzato in un’immagine ideale che non corrisponde a quella del soggetto. Grazie al “di-più” dell’immagine ideale, il soggetto riesce ad affrontare il “meno” reale della frammentazione del corpo. L’io, dice Lacan, emerge come una “organizzazione passionale”[3] che tende ad avvicinarsi all’ideale senza riuscirci mai, e proprio per questa irrealizzabilità, l’io si trova gettato in un rapporto di perenne rivalità con quell’ideale che l’inganno dello specchio alimenta. La lacerazione originale che separa l’essere del soggetto dalla sua proiezione ideale, si produrrà con più forza, proprio laddove l’immagine riflessa nello specchio rimanda al soggetto l’unità ideale, come un’”unità alienata”[4]: “l’essere umano non vede la sua forma realizzata, totale, il miraggio di sé stesso, se non fuori di sé stesso”[5]. La gelosia con la quale il bambino osserva il suo simile succhiare dal seno di sua madre è l’esempio che Lacan riprende da Sant’Agostino che “anticipa la psicoanalisi dandoci un’immagine esemplare di un tale comportamento in questi termini: vidi ego et expertus sum zelantem parvulum: non dume loquebatur amaro aspectu conlactaneum suum, ho visto con i miei occhi e ho ben conosciuto un bambino piccolo in preda alla gelosia. Non parlava ancora e già contemplava, pallido e con uno sguardo torvo, il fratello di latte”[6]. L’altro, il simile, è oggetto d’aggressività in quanto rappresenta l’io ideale del soggetto ma è anche colui che possiede l’oggetto del desiderio del soggetto.

Il paranoico, per esempio, è un soggetto che appare come fissato allo stadio dello specchio. Che tipo d’oggetto è in effetti, al centro del delirio paranoico? Il più simile possibile al soggetto[7], dunque una sua proiezione immaginaria. Che cosa trova, in altri termini, Aimée al posto della sua vittima se non il riflesso speculare del suo proprio “ideale esteriorizzato”?[8]. L’immagine erotizzata e amata, quella che appare riflessa allo specchio come ideale del soggetto, è, dunque, secondo la legge dell’altalena immaginaria del desiderio, la stessa immagine che diventa oggetto d’aggressività e di distruzione: Aimée colpisce quindi nella sua vittima il proprio ideale esteriorizzato. Con lo stesso colpo che la colpevolezza davanti alla Legge ha colpito se stessa[9]. Questa “ambivalenza aggressiva” struttura la relazione immaginaria con l’altro speculare in quanto il soggetto risponde con l’aggressività a quella sfasatura che lo separa dalla sua rappresentazione ideale, a quella sottrazione dell’immagine ideale che costituisce il fondamento dell’alienazione immaginaria del soggetto. In questa prospettiva l’aggressività si rivela per struttura suicidaria, in quanto fenomeno integralmente narcisistico.

Nel testo del 1932 Lacan, la paranoia è concepita come un’identificazione che il soggetto produce con l’immagine idealizzata di sé. Quest’ultima genera un senso di inettitudine, continui autorimproveri, che si ritrovano successivamente nel delirio. La paranoia è connessa alla questione del narcisismo: il paranoico è attraversato da una scissione fondamentale, la divisione tra ciò che egli è e ciò che invece desidera essere, tra l’Io e l’Ideale dell’Io (Super-Io). La paranoia si struttura a partire da un arresto evolutivo della personalità allo stadio genetico del Super-Io, è la fissazione alla fase del narcisismo secondario, dove l’Io si è già formato ma viene rimodulato dal Super-io. Lacan si spinge più in là. Non solo l’Io del paranoico, ma l’Io di ognuno è identificato con l’immagine idealizzata di sé: l’Io si fonda su un’identificazione. È questa la questione portante dell’ipotesi lacaniana dello “stadio dello specchio”.

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[1] Jacques Lacan, L’aggressività in psicoanalisi (1948), in Scritti, op. cit. .

[2] Jacques Lacan, op. cit., p. 107.

[3] Ibid.

[4] Jacques Lacan, Seminario II, L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, 1954-55 Traduzione di Alberto Turolla, Clementina Pavoni, Piero Feliciotti, Simonetta Molinari, coordinazione e direzione di Antonio Di Ciaccia, edizione a cura di Giacomo B. Contri, Torino, Einaudi, 1991, p. 63.

[5] Jacques Lacan, Libro I, Gli scritti tecnici di Freud, 1953-54 Traduzione di Antonello Sciacchitano e Irène Molina sotto la direzione di Giacomo B. Contri, Torino, Einaudi, 1978, 175

[6] Jacques Lacan, L’aggressività in psicoanalisi (1948), in Scritti, op. cit., pp. 108-109.

[7] Jacques Lacan, Della psicosi paranoica…, op. cit., p. 234

[8] Ibid.

[9] Ibid.