La “presenza”, in Derrida, non è qualcosa di semplice, ma qualcosa che si costruisce proprio sulla nostra caducità. L’eterno è qualcosa di non caduco, ma il caduco ha un ruolo fondamentale nella costituzione dell’eterno. Senza caducità non ci sarebbe neanche eternità. Il contrario non è così. L’eternità si forma a partire dalla nostra caducità. La presenza è effimera, qualcosa che è minacciata dalla possibilità della sparizione. In questo momento noi siamo presenti, con la consapevolezza che ci sarà un momento in cui non saremo più presenti. È il nostro destino. Quale rimedio a ciò, alla possibilità di sparizione? La religione ha inventato l’immortalità. Il filosofo può fare qualcosa attraverso la scrittura. Scrivere e dunque lasciare una manifestazione di noi. È un modo per restare presenti. Il mondo sociale è costituito da tanti oggetti che hanno la funzione di registrare le tracce delle persone. Sono limitazioni alla possibilità della sparizione, della morte, della caducità dell’essere umano.
Platone, nel Fedro, racconta che il re egiziano Thamus, di fronte alla proposta della scrittura del dio Theuth rifiuta l’offerta perché considera la parola molto superiore al linguaggio scritto (cfr. http://physislog.net/2010/03/12/platone-sulla-scrittura-e-sul-mito-di-theuth/). Nell tradizione filosofica occidentale l’immediatezza con la quale la parola esprime il pensiero ha fatto maturare l’idea che il senso dell’essere e la verità si esprimano immediatamente nella parola non scritta, mentre nella parola scritta il senso risultava alterato o limitato. La scrittura dura molto tempo in più rispetto alla parola orale e togliendo al suo messaggio la sua collocazione spaziotemporale, la rende suscettibile di diverse interpretazioni nel corso delle diverse epoche storiche.