Riprendendo la conclusione del post di ieri, il processo di identificazione, è ciò che sta dietro questo Io, quell’Io che guida il nostro dire. È quell’Io verso il quale il soggetto tende. Il processo di identificazione porta o non porta alla costituzione dell’ideale dell’io attraverso il complesso di Edipo. È l’attraversamento completo dell’Edipo che porta ad una soggettivazione univoca guidata da un ideale. Le identificazioni immaginari precedenti, che possono essere discordanti tra loro, sono quelle che fanno soffrire il nevrotico, che lo fanno lacerare nelle domande “chi sono?” “cosa voglio?”. L’identificazione all’ideale dell’io consente una soggettivazione univoca: quello che voglio. Nella collettività questi punti di identificazione sono quelli che Lacan (ne La Terza) chiama i punti di capitone: l’eredità culturale, il deposito di punti di capitone univoci. Da un lato abbiamo l’identificazione immaginaria preedipica, quella dei contenuti dei nostri discorsi (penso questo, quest’altro …), è in questo caso l’Io immaginario che enuncia, l’Altro è l’Io della soggettivazione univoca. La soggettivazione non è quella dell’identificazione immaginaria: cosa pensi di me, tu cosa dici, questo è tutto il piano dell’identificazione immaginario. Quando parliamo di soggettivazione parliamo di identificazione simbolica legata all’Edipo e all’uccisione del padre. Con le identificazioni preedipiche siamo sul piano della massa primaria, dell’orda. Non abbiamo un individuo soggettivato, ma un essere-singolo massificato, del quale Freud dice che non ha alcuna specificità, che dipende dalla sua formazione individuale, è spersonalizzata, è una soggettività vuota. Un singolo essere spersonalizzato, che è intriso da un istanza esterna, un capo, che costituisce un suo ideale, che è allo stesso tempo l’esterno verso il quale c’è invidia. Ama se stesso nell’immagine del capo, nella quale narcisisticamente si rispecchia. Allo stesso tempo questa esteriorità del capo lo fa temere.