È inconfutabile che un numero superi un altro quando si trova dopo di esso nella serie naturale dei numeri. Per il fatto stesso che fra di essi vi è un rapporto contenente-contenitore, è possibile disporre i numeri in ordine crescente. Ma può il concetto di “grandezza” rendere conto della differenza tra l’estensivo e l’inestensivo, tra l’esteso e l’inesteso?
Nel caso dell’esteso definiamo quantità più grande quella che contiene l’altra. Ma è lecito parlare ancora di quantità e di grandezza quando né contenente né contenuto sono più in gioco e cioè nel caso dell’inesteso?
Il concetto di numero si fonda sull’intuizione di una molteplicità di parti o di unità, simili le une alle altre. Le operazioni mentali attraverso le quali contiamo gli oggetti materiali implicano la rappresentazione simultanea di questi. Di conseguenza questi oggetti vengono mentalmente lanciati nello spazio.
Il numero “100”, per esempio, sarà immaginato, ripetendo tutti i numeri a partire dall’unità e quando si sarà giunti alla centesima, si crederà di aver costruito il numero “100”.
Affinché una somma possa venir ottenuta attraverso la lettura successiva
dei diversi termini, è necessario che ognuno di questi termini continui a
esistere mentre si passa a quello successivo e che attenda di venire aggiunto
agli altri. Dobbiamo cioè fissare, ogni volta, la nostra attenzione su ciascuna
delle unità che compongono l’intero numero. Ogni atto di fissazione crea una un’unità
che acquista la dignità di punto matematico separato da quello precedente e da
quello seguente. E per essere separato necessita di un intervallo, cioè, di uno
spazio vuoto tra sé e gli altri.
Bergson sostiene che noi “contiamo” le nostre
sensazioni, le localizziamo in uno spazio trovando ad esse una allocazione che
generalmente corrisponde al luogo che rappresenterebbe la loro causa tangibile.[i]
[i] «Così quando sento un rumore di passi nella via vedo confusamente la persona che cammina; ogni suono successivo si localizza allora in un punto dello spazio in cui colui che cammina potrebbe aver posato il piede; conto le mie sensazioni nello spazio stesso in cui si allineano le loro cause tangibili. Forse alcuni contano in modo analogo i colpi successivi di una campana lontana; la loro immaginazione si raffigura la campana che si muove di qua e di là; questa rappresentazione di natura spaziale basta loro per le prime due unità, le altre ne conseguono naturalmente”. Bergson H., I dati immediati della coscienza, Raffaele Cortina Editore, Milano, 2000, p. 55-58.