La positività delle scienze implica che l’oggetto è dato, posto, positum. È per questo ha una sua identità, con se stesso.
Galileo dice che la nuova scienza, come forma di sapere, come nuova forma di sapere si basava sulle sensate esperienze e le necessarie dimostrazioni, sull’esperienza sensibile e sulle dimostrazioni certe: la scienza si forma sull’esperienza concreta e sulle concatenazioni degli eventi.
Alla base c’è la matematica, non c’è un senso nascosto da scoprire ma delle leggi di cui il linguaggio matematico permette la formulazione.
Lacan imbocca questa strada. Il simbolismo è ciò che fa testo per lui. La tripartizione immaginario, simbolico e reale consente di iscrivere la psicoanalisi nella scienza.
La differenza tra “altro” e “Altro”, in Lacan non c’è sempre. La prima volta che ricorre questa differenza è nel Seminario II, in una delle ultime lezione, fa la differenza tra l’altro immaginario e l’Altro che sta dietro, dietro l’immediatezza della relazione immaginaria e che condiziona le relazioni immaginarie. Questo è il momento in cui Lacan pensa a quei concetti alla base della sua scienza.
Nel seminario XI Lacan si chiede se la psicoanalisi è una scienza. Lo chiede ai filosofi, a Cartesio in particolare. Cartesio dice cogito ergo sum e mette tutto in dubbio. Il soggetto deve svuotarsi del sapere per metterlo in dubbio. Attraverso questa operazione acquisisce un punto di certezza. Carteso ritrova Dio. Dio è l’essere a cui appartengano tutte le perfezione e ciò vuol dire che non può non appartenergli anche l’esistenza.
Il riferimento è chiaramente alla prova ontologica di Sant’Anselmo. Ognuno per convincersi che sia pensabile qualcosa di immensamente grande, di cui non è possibile pensare alcunché di maggiore deve ammettere che ciò di cui non si può pensare il maggiore esista nel solo intelletto, e non nella realtà. Ma se si può almeno pensare che esista anche nella realtà, (condizione questa che sarebbe maggiore poiché vi aggiungiamo la caratteristica fondamentale della reale esistenza) avremmo una contraddizione: c’è qualcosa di maggiore del più grande. Ciò comporta che l’attributo dell’esistenza è necessario per poter pensare qualcosa come “il più grande”, perché ciò che esiste è necessariamente maggiore di ciò che può essere semplicemente pensato. Se Anselmo d’Aosta nella prova ontologica dell’esistenza di Dio procedeva a priori San Tommaso dimostrava la l’esistenza di Dio anche a partire dalla fede, quindi egli procedeva sia a priori che a posteriori. Vivendo l’uomo in una dimensione relativa non può attenersi solo ad una prova a priori.
Cartesio, nelle Meditazioni Metafisiche, riprende la prova ontologia di Anselmo come strumento di convalida del suo Cogito ergo sum. Per Cartesio Dio è “una sostanza infinita, indipendente, sommamente intelligente, sommamente potente”. È la “somma di tutte le perfezioni”. L’idea di Dio allo stesso tempo “innata” nell’intelletto e improducibile come l’idea di infinito. Assommando in sé tutte le perfezioni, se Dio non esistesse, sarebbe meno perfetto della perfezione: Dio non può essere privo anche dell’esistenza. Un Dio perfettissimo mancante dell’esistenza sarebbe contraddittorio sarebbe “come pensare un monte senza valle” dice Cartesio. Kant mostrerà che non è possibile dedure l’esistenza da un concetto.
Nel momento in cui Cartesio mette la verità in Dio, gli uomini sono liberi di fare tutte le operazioni di calcolo, possiamo sviluppare un sapere la cui verità non ci interessa, non è un nostro problema, la scienza non è gravata dal problema della verità. La verifica sperimentale acquista un’importanza fondamentale. Il passaggio del pensiero attraverso Cartesio evacua il problema della verità.