La sepoltura, lo spazio che la società riserva ai suoi morti è uno dei primi indicatori di civiltà. Freud cerca di far luce sulla malinconia a partire dal lutto (Lutto e melanconia, 1917): soffermandosi sulle similitudini e le diversità che ci sono tra lutto normale, patologico e malinconia, definendo il lutto come una risposta di fronte alla perdita di una persona amata o come un’astrazione che prende il suo posto.[1]
Il dolore del lutto mette a lavoro il soggetto nel momento in cui risulta evidente che l’oggetto amato non c’è più, è qui che l’esigenza di ritirare tutta la libido dai legami che intrattiene con l’oggetto si impone, diventa preponderante. Per poter desiderare un altro oggetto è necessario che il soggetto lo disinvesti consentendo così alla libido di riconfluire nell’io.
Inizialmente abbiamo un sovrainvestimento dell’oggetto perduto che, dice Freud, necessita di una seconda morte, diversa da quella biologica: la morte di ognuno dei ricordi e delle speranze legati alla persona scomparsa.
Freud concepisce la melanconia come quella condizione psichica caratterizzata da “un profondo e doloroso scoramento, da un venir meno dell’interesse per il mondo esterno, dalla perdita della capacità di amare, dall’inibizione di fronte a qualsiasi attività e da un avvilimento del sentimento di sé che si esprime in autorimproveri e autoingiurie e culmina nell’attesa delirante di una punizione”[2].
Il lutto avrà un suo naturale decorso
entro un certo periodo di tempo e qualunque interferenza può rivelarsi
inopportuna o per giunta dannosa. Il lutto presenta gli stessi tratti della
melanconia eccetto uno: “il disturbo del senso di sé va per la sua strada”[3].
La perdita di una persona amata causa: (a) la perdita d’interesse per il mondo
esterno, (b) l’incapacità di scegliere un altro oggetto d’amore perché questa
scelta vorrebbe dire rimpiazzare il caro defunto, (c) l’avversione per tutto
ciò che in qualche modo sia in rapporto con la sua memoria. Questa inibizione,
questa limitazione dell’Io non lascia spazio ad altri interessi o altre
prospettive. La mancanza dell’oggetto amato fa sì che il soggetto inizi a
“esigere che tutta la libido sia ritirata da ciò che è connesso con tale
oggetto”.[4]
Ma, sottolinea Freud, “gli uomini non abbandonano volentieri una posizione
libidica, neppure quando dispongono già di un sostituto che li inviti a farlo”[5].
Ciò può condurre ad un estraniamento dalla realtà e ad una ostinata “adesione
all’oggetto” perduto. Assistiamo cioè ad un prolungamento psichico
dell’esistenza di questo oggetto e
“quindi i ricordi e le aspettative con riferimento ai quali la libido era
legata all’oggetto vengono evocati e sovrainvestiti uno a uno”.[6]
[1] S. Freud, Lutto e melanconia (in Metapsicologia), Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte, Caducità, OSF, op. cit, vol. 8, [ediz. 1976], p. 103.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4] S. Freud, Lutto e malinconia, op. cit., p. 104.
[5] Ibidem.
[6] Ibidem.