L’autocoscienza hegeliana per Lacan è un fenomeno immaginario che si gioca a livello dell’Io speculare, quello riflesso nello specchio. La dialettica servo-padrone è una lotta per il prestigio, non è una vera lotta tra coscienze.
Cioè la coscienza per Lacan non è qualcosa di omogeneo, non ha una funzione di sintesi, è cioè qualcosa di composito, fatto di elementi dispersi.
La sintesi, che di fatto è opposta all’analisi, è un’idea surrogata da quella di homunculus, ovvero di un luogo di pilotaggio nella testa che guida tutte le nostre attività mentali. È un’idea che ha preso piede nella modernità proprio a partire da Cartesio.
Lacan parla dell’homunculus nel Seminario XI definendo questa ipotesi una banalizzazione fisiologica del cogito, ovvero l’ipotesi si fonderebbe sull’idea di un uomo presente nell’uomo che ha la funzione di sintetizzare il pensiero, cioè di tirarne le fila, di coordinarlo.
Il corpo appartiene alla res extensa. Dunque la res cogitas è l’homunculus che fa da guida del corpo, cioè, dandogli una direzione, una volontà, un’intenzionalità. Già Gilbert Ryle aveva tenacemente criticato il dualismo mente-corpo di Cartesio, basti pensare al titolo del suo famoso libro: Il fantasma nella macchina. Ryle, in Il concetto di mente non nega l’esistenza del mentale, il problema è quello di avergli dato un valore ontologico. La mente non ha un’esistenza come quella che può avere un tavolo o una sedia. La «mente» resta un’ipotesi assolutamente priva di ogni fondamento. Un mito filosofico, un fantasma nella macchina appunto. Ryle attribuisce una pesante responsabilità a Cartesio di questo errore categoriale. Cartesio concepisce l’uomo proprio come una macchina controllata da uno spirito. Quindi proprio con lui la mente è diventata una sostanza otologica (res cogitas). Simmetricamente speculare rispetto al corpo (res extensa). La critica aspra che Ryle fa all’ipotesi ‘dualistica’ del rapporto mente-corpo non sfocia comunque in una concezione ‘monistica’ di tale rapporto. Infatti per lui anche il materialismo cade nello stesso errore dei dualisti, cioè, quell’errore che porta a concepire la dimensione mentale come di pertinenza della res, della materia. La mente non è una cosa, né materiale, né spirituale. La mente è un insieme di modalità teoretico-linguistiche attraverso le quali organizziamo ed esprimiamo certi nostri comportamenti o fatti che accadono nella nostra vita. Quindi la filosofia deve proprio analizzare, dal punto di vista linguistico-concettuale, tali modalità, individuandone le loro funzioni e le loro logiche di funzionamento. Parole come “io”, “coscienza”, sintetizzano delle esperienze né spirituali né corporee. Sono delle esperienze che dipendono dal contesto delle effettive interazioni sociali tra parlanti.