Fonte: Immanuel Kant, Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 205-208
Le categorie pure, senza le condizioni formali della sensibilità, hanno un significato semplicemente trascendentale, ma non hanno alcun uso trascendentale, poiché questo è in se stesso impossibile, mancando ad esse tutte le condizioni di un uso qualunque (nei giudizi), cioè le condizioni formali della sussunzione d’un qualunque preteso oggetto sotto questi concetti. Poiché dunque esse (come semplici categorie pure) non debbono essere di uso empirico, e non possono esser nemmeno di uso trascendentale, non sono punto di alcun uso, separate che siano da ogni sensibilità; cioè non possono più essere applicate a nessun preteso oggetto; e sono piuttosto semplicemente la forma pura dell’uso dell’intelletto rispetto agli oggetti in generale ed al pensiero, e per mezzo di esse sole non si può mai pensare o determinare verun oggetto. Qui intanto c’è a fondamento un’illusione difficile ad evitare. Le categorie non si fondano, per la loro origine, sulla sensibilità, come le forme dell’intuizione, spazio e tempo; sembra dunque che esse permettano un’applicazione estesa al di là degli oggetti tutti dei sensi. Se non che, dalla parte loro, esse viceversa non sono se non forme del pensiero, che contengono solamente la facoltà logica di unificare a priori in una coscienza il dato molteplice dell’intuizione; e, se si toglie loro l’unica intuizione a noi possibile, esse non possono non avere un significato ancora minore di quelle forme sensibili pure, colle quali almeno c’è dato un oggetto, laddove un modo di unificare il molteplice, proprio del nostro intelletto, non significa proprio più nulla, ove non vi si aggiunga quell’intuizione in cui soltanto può esserci dato codesto molteplice. – Tuttavia nel nostro concetto, quando denominiamo certi oggetti, come fenomeni, esseri sensibili (phaenomena), distinguendo il nostro modo di intuirli dalla loro natura in sé, c’è già che noi, per dir così, contrapponiamo ad essi o gli oggetti stessi in questa loro natura in sé (quantunque in essa noi non li intuiamo), o anche altre cose possibili, ma che non sono punto oggetti dei nostri sensi, come oggetti pensati semplicemente dall’intelletto, e li chiamiamo esseri intelligibili (noumeno). Ora, si domanda se i nostri concetti puri dell’intelletto rispetto a questi ultimi non abbiano un valore, e se di essi non possano essere una specie di conoscenza.