Fonte: C. G. Jung, Il problema dell’inconscio nella psicologia moderna, Einaudi, Torino, 1973, pagg. 53-61
La psicologia che presentemente possediamo è la testimonianza di pochi individui, che qua e là osservano quanto hanno scoperto in loro stessi. La forma, di cui si sono serviti per esprimere ciò, è a volte adeguata e a volte no. Siccome ogni individuo appartiene ad un tipo psicologico piú che ad un altro, la sua testimonianza può essere pienamente condivisa da tutti quelli del suo tipo. E poiché coloro i quali si conformano ad altri tipi appartengono ciò non di meno alla specie umana, noi possiamo concludere che tale testimonianza si può applicare, benché meno pienamente, anche ad essi. Ciò che Freud ci dice sugli istinti sessuali dell’adulto e del fanciullo, sul conflitto che ne consegue con il “principio della realtà”, sull’incesto e su simili cose, può essere preso come la piú giusta espressione della sua psicologia personale. Egli ha dato forma adeguata a quanto ha osservato in se stesso. Io non sono un oppositore di Freud, benché sia stato presentato sotto questo aspetto dalla sua miopia e da quella dei suoi allievi. Nessun psicoterapeuta esperto può negare di aver incontrato almeno dozzine di casi che corrispondono esattamente alle descrizioni di Freud. Con la confessione di quanto ha scoperto in se stesso, Freud ha collaborato alla nascita di una grande verità umana. Egli ha dedicato la sua vita e la sua energia alla costruzione di una psicologia che è la formulazione del suo essere stesso.
Il nostro modo di considerare le cose è condizionato a ciò che siamo: gli individui di diversa costituzione vedono diversamente le cose e diversamente esprimono se stessi. Adler, uno dei primi allievi di Freud, ne è un esempio. Lavorando con lo stesso materiale di Freud, egli raggiunse un punto di vista totalmente diverso. Il suo modo di vedere è almeno altrettanto convincente quanto quello di Freud, poiché egli pure rappresenta un tipo psicologico ben conosciuto. So bene che i seguaci di entrambe le scuole asseriscono apertamente che io sono nell’errore, ma spero che la storia e tutte le persone assennate mi daranno ragione. Ambedue le scuole, secondo il mio modo di pensare, meritano l’appunto di aver esagerato l’aspetto patologico della vita, e di aver considerato l’uomo esclusivamente alla luce dei suoi difetti. Un esempio convincente di ciò, nel caso di Freud, è la sua incapacità a comprendere l’esperienza religiosa, come chiaramente ha dimostrato nel suo libro Il futuro di un’illusione. Da parte mia, preferisco considerare l’uomo alla luce di quanto in lui è sano e forte, e liberare anche il malato da quella psicologia che colora ogni pagina degli scritti di Freud. Io non riesco a vedere dove Freud esca dalla sua psicologia personale e come possa liberare il malato da quel male di cui soffre lo stesso medico. L’insegnamento di Freud, in definitiva, è unilaterale, poiché esso generalizza fatti che sono rilevanti soltanto in una costituzione psicopatica; la validità di tale insegnamento è realmente limitata a questi stati. In questi limiti l’insegnamento di Freud è vero e valido perfino quando egli dice cose non vere, poiché anche l’errore rientra nel quadro e, in quanto confessione, è una verità. In ogni caso, la psicologia di Freud non è una psicologia sana, ed inoltre – e questo è sintomo di morbosità – è basata su una visione del mondo inconscia, che non è stata sottoposta ad una critica esauriente, il che porta a restringere notevolmente il campo dell’umana esperienza e comprensione. È stato un grande errore da parte di Freud, il volgere le spalle alla filosofia. Non critica mai le sue premesse, e neppure le ipotesi che sono alla base del suo punto di vista personale; e questo proviene da quanto ho espresso nelle mie precedenti osservazioni, poiché se egli avesse esaminato con senso critico le sue ipotesi, non avrebbe mai messo in luce, come ingenuamente ha fatto nel suo libro Interpretazione dei sogni, il suo particolare atteggiamento mentale. Comunque si sarebbe fatto un’idea delle difficoltà con le quali io mi sono incontrato. Io non ho mai rifiutato l’agrodolce bevanda della critica filosofica, ma l’ho sorseggiata con precauzione un poco alla volta. Troppo poco, diranno i miei oppositori; anche troppo, per conto mio. Troppo facilmente l’autocritica avvelena la spontaneità, inestimabile ricchezza o, per meglio dire, dote indispensabile ad ogni mente creativa. In ogni modo, il criticismo filosofico mi ha aiutato a rendermi conto che ogni psicologia, la mia inclusa, ha il carattere di una confessione soggettiva. Ma io debbo impedire ai miei poteri critici di distruggere la mia capacità creativa. So bene che ogni parola che pronunzio porta in sé qualcosa di me stesso, del mio unico e particolare Io, con la sua particolare storia e col suo particolare mondo. Perfino quando tratto dati empirici, necessariamente mi trovo a parlare di me stesso. Ma solo accettando ciò come cosa inevitabile posso servire la causa della conoscenza dell’uomo sull’uomo, la causa che anche Freud desidera servire, e che, malgrado tutto, ha servito. La conoscenza poggia non solo sulla verità, bensí anche sull’errore. Io mi rendo conto del carattere soggettivo di ogni dottrina psicologica prodotta dalla mente di un uomo; e questo è forse il punto di piú netta separazione tra Freud e me. Un’altra differenza tra noi mi sembra consista in questo, che io cerco, nella mia concezione del mondo, di liberarmi da ogni premessa incosciente e quindi non criticabile. Dico “io cerco”, poiché chi può liberarsi da tutte le sue ipotesi inconscie? Cerco di difendermi, almeno, dai piú grossolani pregiudizi e sono perciò incline a riconoscere tutti i possibili “credo”, purché agiscano sulla psiche umana. Non dubito che gli istinti naturali siano forze di propulsione nella vita umana, sia che li chiamiamo “libido”, sia che li chiamiamo volontà di potenza: ma neppure dubito che questi istinti urtino contro lo spirito; ché essi sono continuamente in conflitto con qualche cosa, e questo qualche cosa perché non dovrebbe chiamarsi spirito? Sono ben lungi dal sapere che cosa sia lo spirito per se stesso, ed altrettanto lontano dal sapere che cosa siano gli istinti. L’uno è per me un mistero, tanto quanto gli altri, e quindi sono incapace di spiegare l’uno come un errore degli altri; perché non è un errore il fatto che la terra ha solo una luna. Non vi sono errori nella natura; essi si trovano solo in quel regno che l’uomo chiama intelletto. Istinti e spirito sono in ogni caso al di là della mia comprensione. Sono termini che noi usiamo per esprimere forze potenti, la cui natura ci è sconosciuta.
Come si può constatare, io attribuisco un valore positivo a tutte le religioni, nei cui contenuti dottrinali riconosco quelle figure che già ho incontrato nei sogni e nelle fantasie dei miei pazienti. Nella loro morale scorgo uno sforzo analogo a quello fatto dai miei pazienti, quando, guidati dalla loro intuizione o dalla loro ispirazione, cercano il modo adeguato per trattare le forze della loro psiche. Cerimonie e funzioni, riti, iniziazioni e pratiche ascetiche, in ogni loro forma e varietà, mi interessano come metodi e tecniche per venire in contatto con queste forze. Per la stessa ragione attribuisco un valore positivo alla biologia e all’empirismo delle scienze naturali in genere, poiché in esse vedo uno sforzo erculeo fatto allo scopo di comprendere la psiche umana, accostandosi ad essa dal mondo esterno. Considero le religioni gnostiche imprese altrettanto prodigiose compiute in direzione opposta: cioè, come un tentativo di raggiungere la conoscenza del cosmo per via interiore. Nella mia visione del mondo vi è un vasto regno esteriore, ed un altrettanto vasto regno interiore; tra questi due, rivolto ora all’uno, ora all’altro, sta l’uomo, che secondo il suo stato d’animo o la sua disposizione considera ora l’uno ora l’altro come verità assoluta, negando o sacrificando l’uno a favore dell’altro.
Questo quadro è un’ipotesi, certo, ma un’ipotesi cosí preziosa che non vi rinuncio. È verificabile a parer mio euristicamente ed empiricamente; e per di piú è sostenuto dal consensus gentium. Questa ipotesi, certamente, mi viene da una fonte interiore, anche se io immagino di esservi giunto per mezzo dell’esperienza. Da essa sono stato condotto alla teoria dei tipi ed anche alla conciliazione di punti di vista tanto diversi, come i miei propri e quelli di Freud.
Vedo in ogni avvenimento il gioco degli opposti, e da questa concezione deriva la mia idea sulla energia psichica. Ritengo che l’energia psichica provenga da coppie di contrari, cosí come l’energia fisica presuppone differenze di potenziale, cioè coppie di contrari quali il caldo e il freddo, l’alto e il basso, ecc. Freud cominciò a rappresentare la sessualità come l’unico potere psichico che anima l’uomo, e solo dopo la mia rottura con lui egli concesse uguale importanza anche alle altre attività psichiche. Da parte mia, sotto questo concetto di energia, ho racchiuso i vari impulsi e le varie forze psichiche allo scopo di evitare l’arbitrarietà di una psicologia che tratti soltanto di impulsi. Perciò parlo non di impulsi e forze separate, ma di “intensità di valutazione”. Ma, come ho detto, non penso di negare l’importanza della sessualità nella vita psichica benché Freud ostinatamente sostenga che io l’abbia negata. Ciò che cerco, è di frenare la troppo estesa terminologia sessuale, che minaccia di viziare ogni discussione sulla psiche umana; desidero porre la sessualità al suo posto giusto. Il senso comune ci riporterà a vedere nella sessualità soltanto uno degli istinti della vita, soltanto una delle funzioni psico-fisiologiche, per quanto essa sia, senza dubbio, una delle piú estese ed importanti. Che avverrebbe, se non potessimo piú mangiare? Indubbiamente v’è oggi un evidente disordine nel campo della vita sessuale ed è cosa nota che, quando abbiamo un forte mal di denti, non possiamo pensare ad altro se non ad esso. La sessualità che Freud descrive è certamente quell’ossessione sessuale che si incontra ogni qualvolta il paziente ha bisogno di essere liberato o distolto da un’attitudine o situazione errata. Si tratta di una specie di sessualità ingorgata, che però si riduce subito a proporzioni normali, non appena le venga aperta una via di esplicazione. Essa si trova nei vecchi rancori verso i genitori ed i parenti ed in certi opprimenti legami affettivi dovuti a determinate situazioni familiari, che spesso ostacolano le energie vitali. Ed è proprio questo l’ostacolo, che si nota infallibilmente in quel tipo di sessualità che è detto infantile. Non è una vera e propria sessualità, ma uno sfogo non naturale di tensioni che appartengono completamente ad un’altra sfera della vita. Ciò posto, quale utilità v’è nello sguazzare per questi pantani? Sicuramente, avendo una giusta visione delle cose, bisogna ammettere che è assai piú utile aprire dei canali di drenaggio. Mutando la nostra attitudine o assumendo nuovi modi di vita, noi dobbiamo trovare quella differenza di potenziale che la suddescritta energia richiede. Se ciò non si ottiene, verrà a crearsi un circolo vizioso, ed è questa in vero la minaccia che presenta la psicologia freudiana. Essa non indica nessuna via che conduca al di là del ciclo inesorabile degli eventi biologici. Tale disperata situazione porterebbe ad esclamare con Paolo: “Miserabile uomo che sono, chi mi libererà da questo corpo di morte?” Qui l’uomo intellettuale si avanza scuotendo la testa, e dice con le parole di Faust: “Tu sei conscio solo di un unico impulso”. Cioè del legame carnale che risale al padre e alla madre, o discende ai figli nati dalla nostra carne; incesto col passato, incesto col futuro, il peccato originale si perpetua nella situazione familiare. Nulla v’è che possa liberarci da questo legame, se non quella esigenza vitale che sta agli antipodi: lo spirito. Non sono i figli della carne ma i “figli di Dio”, che conoscono la libertà. Nel tragico romanzo di Ernesto Barlach sulla vita familiare, Der tote Tag, il demone materno dice alla fine: “La cosa strana è che l’uomo non vuole apprendere che Dio è suo padre”. Questo è ciò che Freud e coloro che condividono il suo punto di vista non vogliono apprendere, o tutt’al piú bisogna ammettere che essi non trovano la chiave che li porta a tale conoscenza. La teologia non aiuta coloro che cercano tale chiave, poiché la teologia richiede la fede e la fede non si può creare; essa è nel senso piú vero della parola, un dono della grazia. Noi moderni ci troviamo ad affrontare la necessità di riscoprire la vita dello spirito, dobbiamo farne in noi stessi nuovamente l’esperienza. Cosí soltanto possiamo rompere l’incanto che ci lega al ciclo degli eventi biologici.
La mia posizione, a questo riguardo, rappresenta il terzo punto di divergenza tra Freud e me. Ed è per essa che mi accusano di misticismo. Ma non sono io il responsabile del fatto che l’uomo abbia, ovunque e sempre, spontaneamente sviluppato forme religiose, e che, da tempi immemorabili, idee e sentimenti religiosi abbiano pervaso l’anima umana. Chi non vede questo aspetto dell’anima umana è cieco, e chi vuol liberarsene con una spiegazione razionale non ha il senso dei fatti. Oppure dobbiamo scorgere, nel complesso paterno che è evidente in tutti i membri della scuola freudiana come anche nel suo fondatore, una prova convincente, degna di essere menzionata di una liberazione dall’inesorabile situazione familiare? Questi “complesso paterno”, fanaticamente difeso con tanta caparbia ipersensibilità, è una malintesa funzione religiosa, è una forma di misticismo, espresso nei termini della biologia e dei rapporti familiari. In quanto all’idea di Freud sul super-Io, essa è un tentativo nascosto di mascherare, con l’abito della teoria psicologica, l’immagine di Dio. In tal caso sarebbe meglio parlare apertamente. Da parte mia preferisco chiamare le cose col nome sotto il quale sono sempre state conosciute. Non dobbiamo fare girare la ruota della storia in senso inverso e non dobbiamo disconoscere l’avanzare dell’uomo verso la vita spirituale, che cominciò colle primitive iniziazioni.
È concesso alla scienza di dividere il suo campo di ricerca e di fare ipotesi limitate, giacché la scienza deve lavorare in questo modo; ma la psiche umana non deve essere divisa in piccole parti. Essa è un tutto unico che abbraccia la coscienza ed è origine e condizione della coscienza. Il pensiero scientifico, che è soltanto una delle sue funzioni, non può soddisfare tutte le possibilità della vita. Il medico dell’anima deve evitare di guardare esclusivamente attraverso le lenti della patologia, non deve mai dimenticare che l’anima malata è ciò non di meno un’anima umana, e che, nonostante la sua malattia, essa è incoscientemente parte della complessiva vita psichica dell’umanità. Egli deve persino giungere ad ammettere che l’io è malato, per la precisa ragione che esso è tagliato fuori dall’insieme della psiche, ed ha perso il suo rapporto sia con l’umanità che con lo spirito. L’io è invero il “luogo del timore”, come dice Freud nel Das Ich und das Es; ma solo fino a quando esso non è tornato al “Padre” e alla “Madre”. Freud naufraga sulla questione di Nicodemo: “Può un uomo rientrare nel grembo materno e rinascere?” Volendo confrontare cose piccole con cose grandi potremmo dire che la storia qui si ripete sotto l’aspetto di una disputa nel campo della moderna psicologia. Per migliaia di anni i riti iniziatici ci hanno insegnato la rinascita spirituale, eppure, cosa abbastanza strana, l’uomo dimentica sempre nuovamente il senso della divina procreazione; il che evidentemente non dimostra una forte vita spirituale, ma la pena di tale incomprensione è grave, poiché consiste nientemeno che nel decadimento nervoso, nell’inasprimento, nell’atrofia e nella sterilità. È facile scacciare lo spirito fuori dalla porta, ma allora la vita diviene insulsa, la Terra perde il suo “sale”.
Fortunatamente abbiamo la prova che lo spirito rinnova sempre la sua forza, per il fatto che l’insegnamento fondamentale delle antiche iniziazioni è tramandato da generazione a generazione. Ci sono ancor sempre esseri umani i quali comprendono cosa s’intenda per Dio nostro padre. L’equilibrio della carne e dello spirito non è andato perso nel mondo.
Il contrasto tra Freud e me risale alle differenze essenziali delle nostre premesse fondamentali. Le premesse sono inevitabili, e perciò è erroneo il far credere di non averne. Ecco perché ho trattato problemi fondamentali; solo prendendo questi come punto di partenza, si possono meglio comprendere le molteplici e dettagliate differenze tra i nostri due punti di vista. (1929)