La Terapia Metacognitiva[1], pur restando fedele all’approccio direttivo più proprio della REBT e della TCC, si differenzia da queste in un punto specifico: essa si fonda non tanto sull’individuazione e correzione delle credenze irrazionali alla base dei pensieri negativi (razionalismo terapeutico) o sulla correzione degli “errori cognitivi” che orienterebbero la nostra percezione o valutazione della realtà circostante (empirismo terapeutico) ma mette i riflettori sul nostro modo di reagire ai pensieri negativi, cioè, su quello che potremmo definire “comportamento mentale”, nel senso di maneggiamento dei nostri pensieri negativi.
Ci sono enunciati che orientano il maneggiamento di altri enunciati, cioè, c’è un insieme di enunciati che determina quel manuale delle istruzioni a partire dal quale reagiamo dinnanzi ai pensieri automatici che emergono spontaneamente. Detto altrimenti, ci sarebbero degli enunciati che guidano il nostro modo di reagire a certi pensieri, per esempio: “controllare i miei pensieri mi eviterà di restare vittima del pericolo che mi aspetta” (“se controllo i miei pensieri, evito di restare vittima del pericolo che mi aspetta”, p q), “pensare continuamente a come mi sento mi aiuterà ad essere pronto a reagire quando sarà necessario, mi consentirà di essere organizzato”, (“se penso costantemente a come mi sento, sarò pronto a reagire quando sarà necessario farlo”, p q), “è utile essere costantemente consapevole dei propri pensieri”, (“se sono costantemente consapevole dei miei pensieri, allora avrò dei vantaggi”, pàq), “se non riesco a controllare i miei pensieri allora sono un debole e presto impazzirò”, pàq ∧ z, “non è possibile riuscire a controllare i pensieri negativi o almeno, io non sono in grado di farlo”, ¬◇ C ∨ ¬◇ F (F=che io riesca a farlo).
Alcuni di questi meta-enunciati orienterebbero il modo in cui noi reagiamo ai nostri pensieri negativi, pensieri che emergono e che emergeranno ancora e ancora perché fanno parte della nostra condizioni di essere umani. Avere dei pensieri negativi e intervenire sulla razionalità o veridicità di questi non modifica, secondo questa prospettiva, gli effetti patologici prodotti dalla nostra attività psichica che freneticamente cerca di contrastare, controllare, reprimere o modificare questi stessi pensieri. Quindi, assodata l’inevitabilità dell’emergere di questi, ciò su cui possiamo intervenire è il loro “maneggiamento”, maneggiamento che diviene patologia quando si lascia orientare dal mix di credenze del tipo : “Questi pensieri mi faranno impazzire o ammalare”, “il fatto che emergano così tanti pensieri negativi, significa che non sono normale”, “non riesco a sopportare questi pensieri”, “se mi si palesano costantemente questi pensieri negativi, allora sono un perdente”, “il mio corpo non riuscirà a sopportare tutte queste preoccupazioni”, “preoccuparmi, mi rende pronto ad affrontare ciò che mi aspetta”, “se mi preoccupo allora sarò capace di affrontare ciò che mi aspetta”, “è giusto, utile nonché vantaggioso preoccuparmi del mio futuro”, “se non mi preoccupo assiduamente, non sarò capace di affrontare il pericolo che mi aspetta”, “soffermarmi sui pensieri negativi che emergono, mi aiuterà ad affrontare i miei problemi”.
A queste credenze sul maneggiamento dei pensieri intrusivi negativi se ne aggiungono altre che indicano il grado di fiducia in essi, il grado di “fusività” con essi, cioè il livello di confusione che facciamo tra i nostri pensieri e ciò che accade. “Se penso ad un evento negativo, allora questo accadrà o è già accaduto, p→□p (‘se p è vero allora p è necessario (cioè, è impossibile che non sia…, ¬◇’), ecco una serie di esempi: “se penso di farmi male, allora mi farò male”, se penso di essere in pericolo, allora sono in pericolo, “se penso di fare o aver fatto male a qualcuno, allora faccio male o ho fatto male a qualcuno, “i miei pensieri possono modificare il corso degli eventi”, “se penso a qualcosa di spiacevole, allora vuol dire che desidero che succeda qualcosa di spiacevole”, “i miei pensieri diventeranno realtà, p→□p”.
In aggiunta a queste credenze ce ne sono altre implicite che orientano la nostra attenzione su alcuni o tal altri accadimenti che ci riguardano. Per esempio ci soffermiamo frequentemente sulle nostre sensazioni corporee con l’idea di monitorare il nostro benessere o malessere o analizziamo continuamente i nostri pensieri per tenerli sotto controllo, con l’idea che questo potrà aiutarci in qualche modo a stare meglio oppure, se abbiamo un certo problema da risolvere, problema che potrebbe causarci seri pericoli, allora monitoriamo continuamente il problema con l’idea che questo atteggiamento potrà aiutarci in qualche modo a prevenire gli effetti distruttivi del pericolo, prepararci meglio ad essi.[2] L’ipotesi centrale è che il modo, lo stile con cui ci relazioniamo ai nostri pensieri a determinare la sofferenza emotiva.
L’atteggiamento verso gli “eventi interni” è alla base dei sintomi. Se da un lato è impossibile cancellare le nostre sofferenze emotive dall’altro, il maneggiamento dei pensieri generati dal reale del sintomo stesso, rappresenta quell’elemento suppletivo che non consente di avanzare nel percorso di cura: il modo in cui trattiamo l’emergere dei nostri pensieri ed emozioni negativi.
Secondo la prospettiva della Terapia Metacognitiva, non è tanto importante il contenuto dei pensieri, la loro correttezza logica (razionalismo terapeutico) o la loro aderenza alla realtà (empirismo terapeutico), non importa se i contenuti di questi pensieri possono essere più o meno errati o irrazionali. Ciò che è rilevante è il modo in cui li maneggiamo. Come pensiamo ai nostri pensieri. Detto altrimenti, quali processi mettiamo in campo per trattare i nostri pensieri. Non sarebbero quindi tanto i pensieri la fonte delle nostre sofferenze ma il modo in cui ci relazioniamo ad essi e ci “comportiamo” in relazione al loro accadere.
Il controllo, il monitoraggio e la valutazione dei pensieri sono sostanzialmente i tre “comportamenti” fondamentali alla base del nostro modo di trattare i pensieri. Questi “comportamenti” implicano delle credenze, delle conoscenze su come ci si dovrebbe comportare quando, per esempio, ci viene in mente” “Domani ho un importante colloquio, e se andasse male?” e quindi, appellandoci alla credenza “Se penso continuamente al problema riuscirò sicuramente a trovare una soluzione”, allora continueremo a mettere in atto le stesse strategie di pensiero (controllare i pensieri, monitorare la minaccia possibile, soffermarci sulle sensazioni corporee che ne seguono…).
Lo stile con cui facciamo fronte ai pensieri che accadono costituisce la fonte principale della sofferenza psichica. Sarebbero le risposte ai pensieri automatici ad essere la causa delle sofferenze e non i contenuti di questi o le credenze alla loro base.
Tutti più o meno e a più riprese abbiamo pensieri negativi. Ciò che invece ci differenzia è il modo in cui vi reagiamo. Il modo in cui, ossia le meta-credenze a partire dalle quali decidiamo di trattare i nostri pensieri. Per esempio, se ho un pensiero intrusivo del tipo: “Ho ancora molti debiti da pagare, e se non ci riuscissi?”. Non ha importanza se il pensiero è o non è aderente ai fatti, resta pur sempre un pensiero. Se non riuscissi a pagare il debito, resta, comunque e dopo tutto, un pensiero. Di fronte all’apparire di questo pensiero potrei ritenere utile indugiare sulle conseguenze di un possibile fallimento, pensarci continuamente, perché suppongo che il pensarci assiduamente potrebbe in qualche modo aiutarmi a trovare una soluzione. A questo si aggiunge la meta-credenza di non riuscire a stoppare il brusio di pensieri che ne conseguono e questo mi autorizzerebbe a non provarci nemmeno a fermarlo e, per concludere, a tutto ciò si aggiunge la meta-convinzione che pensare a questa preoccupazione così intensa mi farà ammalare o che il fatto che io mi preoccupi così tanto è segno di estrema o patologica debolezza.
[1] A. Wells, Metacognitive Therapy for Anxiety and Depression (Pbk. ed.). New York, Guilford Press, 2011.
[2] Ecco alcune credenze di questo tipo: “Gli stati affettivi intensi possono danneggiare la mia salute”, “Focalizzarsi sui possibili pericoli mi aiuterà a tenermi al sicuro”, “È importante riuscire ad analizzare e controllare i pensieri negativi affinché io possa riuscire a trovare una soluzione”, “Distrarmi, mi garantirà la possibilità di governare le mie preoccupazioni”, “Se controllerò i miei pensieri starò meglio”, “Cercare di dare senso a più cose possibili, mi aiuterà a risolvere le mie preoccupazioni ed ad affrontare i miei problemi”, “Se cerco rassicurazioni, potrò risolvere i miei problemi e a annullare le mie preoccupazioni”, “Parlare tra me e me sarà utile per gestire le miei preoccupazioni e risolvere i miei problemi”, “La ricerca delle prove alla base delle mie preoccupazioni mi consentirà di risolvere i miei problemi”, “Se sarò cauto eviterò il peggio e avrò meno problemi”, “Se analizzo costantemente come mi se sento, cioè, focalizzandomi su me stesso, sui miei pensieri, sulle mie sensazioni corporee, potrò trovare le risposte giuste”, “Più mi preoccupo, più mi concentro sul problema e più sarò preparato ad affrontarlo”, “Concentrando il più possibile la mia attenzione sul pericolo mi proteggerà da esso”, “Se non faccio tutto per ricordarmi ogni minimo dettaglio, sono da biasimare”, “Se mi concentro su me stesso, focalizzando la mia attenzione sulle sensazioni del mio corpo e sui miei pensieri, allora sarò in grado di trovare la risposta giusta al mio malessere”, “Se non controllo i miei pensieri allora farò sicuramente la scelta sbagliata”, “Non ho il controllo sulla mia preoccupazione, sul mio rimuginio, sulla mia ruminazione”, “Analizzare insistentemente le preoccupazioni o soffermarmi accuratamente sui pensieri negativi che sorgono, mi aiuterà a prepararmi meglio per affrontare il problema e il pericolo”.