L’ingegno è quella facoltà grazie alla quale è possibile riuscire a scorgere il simile nel dissimile, scorgendo somiglianze tra cose diverse e lontane tra loro. Come già sosteneva Aristotele[1], l’ingegno è una dote naturale, spontanea, che non può essere imparata o insegnata, infatti come ricorda Vico << […] in latino “ingenium” e “natura” sono sinonimi. Forse perché la natura dell’uomo è caratterizzata dall’ingegno, a cui è proprio – facoltà negata ai bruti – veder la simmetria delle cose >>[2]. Nel mondo vige il caotico-asimmetrico esistere di fenomeni diversi tra loro, dissimili. La multiformità che caratterizza il mondo lo rende “dis-ordinato”. L’ingegno vichiano ordina ciò che si presenta confuso all’occhio umano. Solo agli ingegnosi è dato di capire i segreti del mondo. << Il mondo – scriveva Leibniz – è un cosmo di compiuta bellezza, cioè in modo da soddisfare al massimo chi lo capisce >>[3]. Ai bruti è impedito di capire e di godere della “simmetria” che solo una mente ingegnosa può carpire, << Il piacere di capire, infatti, non è altro che la percezione della bellezza dell’ordine, della perfezione >>[4]. Ciò che fa “apparire” (phàinesthai) il simile nel diverso è la fantasia (phantasìa) la quale costituisce l’<< occhio dell’ingegno >>[5]. La fantasia rapidamente, in un “batter d’occhio” fa apparire l’essenza in quanto << l’uomo acuto d’ingegno penetra con maggior rapidità nelle cose >>[6] – continua Leibniz. “Immediatamente”, “fulmineamente” appare il simile nel caotico “difforme”, rendendo simmetrico l’asimmetrico: Blitz [<< lampo >>] è la stessa parola di Blick [<< sguardo >>]. Nello sguardo è l’esserci. È per questo che il temporale è chiamato l’<< esserci di Dio >>. Terra e cielo e gli dèi nascosti nel sacro, ogni cosa è presente, per la disposizione di quiete gioia del poeta, nel tutto dell’originario schiudersi della natura. Essa gli appare in una luce particolare[7].
La concezione vichiana dell’ingegno argomentata nel De Antiquissima , va oltre, in modo particolare con la Scienza nuova il mondo della poesia, trova la sua applicazione oltre che nell’arte poetica anche nell’arte in quanto tècnhe. Infatti Vico considera l’ingenium anche come padre delle scienze, ricordando che proprio chi eccelle in geometria e aritmetica, le scienze più sicure << vengono in Italia chiamati ingegneri >>[8]. Ma lanciando lo sguardo agli anni successivi al De Antiquissima (1710), si assiste oltre che ad una trasformazione, ad una radicalizzazione della concezione di poesia in quanto poiesis, produzione, creazione, fare, attività. L’”ispirazione” poetica, l’”entusiasmo” creativo si riversa su tutte le attività umane. L’ingenium e la fantasia costituiscono il fondamento di tutto ciò che l’uomo fa, compreso la tecnica. Il “colpo d’occhio” grazie al quale poter com-prendere la reale essenza delle cose, va oltre la sola attività del poeta, per dir così, “professionista”, e finisce col diventare qualità indispensabile di ogni “fare” (poièin) umano.
[1]<< […] Di molto maggiore pregio è che il poeta sia abile a trovare metafore. È la sola cosa questa che si può apprender da altri, ed è segno di una naturale disposizione di ingegno; infatti il saper trovar belle metafore significa saper vedere e cogliere la somiglianza delle cose fra loro >> Aristotele, Retorica, 1459a.
[2]G. B. Vico, Dell’antichissima sapienza italica, cit., pp. 295-296.
[3] G. W. Leibniz, Dio e i possibili, cit., p. 230.
[4] Ibidem.
[5] G. V. Vico, Dell’antichissima, cit., p. 303.
[6] Ivi, p.295.
[7] M.Heidegger, Terra e cielo di Hölderlin, in La poesia di Hölderlin, a cura di F. Wilhelm van Herrnan, ed. it., a cura di L. Amoroso, Adelphi edizioni, Milano, 1988, p. 194. (c.vo mio).
[8] G. B. Vico, Dell’antichissima, cit., p. 296.