Lacan J, (1954-55) Il seminario Libro II. L’io nella tecnica di Freud e nella teoria della psicoanalisi, Einaudi, Torino, 1991
Il Seminario II (1954/55) intitolato “L’Io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi” si articola a partire dalla riflessione sulla (allora) recente scoperta di Lacan: il registro simbolico.
Nel Seminario I Lacan sottolinea la differenza fondamentale tra parola ed imago. Allo stesso tempo egli inizia a concepire il simbolico come segnato dall’azione del significante, e non più agganciato all’immagine. Il simbolo non è più un’immagine, alla junghiana maniera per intenderci. La scoperta della dimensione simbolica si differenzierà man mano da quella immaginaria: dal concetto di “imago” Lacan estrae quello di “parola” e quasi contemporaneamente ridurrà quest’ultimo al concetto di significante. Questo percorso di elaborazione si compirà nel 1957 con “L’istanza della lettera”, che inaugura quel processo di intrecciamento della psicoanalisi con la linguistica, la logica e la topologia.
Quindi assistiamo, in questa fase, ad una vera e propria supremazia del simbolico sull’immaginario. Quest’ultimo rappresenta quel luogo psichico dove “tutta la fantasmatizzazione messa in luce nell’esperienza analitica”[1] confluisce. L’immaginario, oltre ad avere una funzione chiave nelle dinamiche speculari proprie dell’aggressività[2], rappresenta adesso un elemento passivizzante la cura analitica, ostacolo frenante per il raggiungimento di quei risultati clinici riconducibili esclusivamente all’azione del simbolico. Quest’ultimo si trova a doversi scontrare proprio con le resistenze immaginarie. Lacan in questo periodo criticherà insistentemente gli psicoanalisti che in quell’epoca ignoravano la differenza tra simbolico e l’immaginario.
Altra caratteristica propria dell’ordine simbolico è la sua autonomia di funzionamento. Esso è descritto attraverso il concetto di “grande Altro”, luogo ove risiede l’insieme dei significanti. Anche se in questa fase, non avendo Lacan ancora abbandonato l’idea di intersoggettività, il concetto di Altro è ancora confondibile con quello di altro in quanto “altro” simbolico del soggetto, invece va inteso come “il tesoro dei significanti”, il luogo dell’insieme dei significanti. Ora si tratta di capire quale legge regolamenta il funzionamento di questo insieme. Non a caso Lacan qui parte proprio dalla metapsicologia freudiana. L’obiettivo è quello di articolare il concetto freudiano di automatismo di ripetizione a partire dall’idea di ripetizione simbolica, con l’intento di formulare le leggi logiche alla base delle combinazioni dei significanti. L’idea di fondo è che la ripetizione (concetto clinico) sia il frutto di un automatismo (concetto logico). Si assiste cioè al ritorno periodico di ogni elemento di una serie definita, prodotto da un automatismo che si produce in una sequenza descrivibile e quindi prevedibile e che non sarebbe altro che l’attualizzazione di una legge di alternanza consunstanziale alla serie stessa, in grado di produrre i suoi effetti sin dalle prime associazioni che si possono verificare casualmente. In questo modo l’automatismo di ripetizione rappresenta, non solo un nuovo modo di leggere il funzionamento delle memoria freudiana (e della rievocazione dei suoi contenuti) a partire dall’ordine simbolico e cioè dal luogo in cui troviamo le tracce del vissuto soggettivo, ma anche del desiderio, che diventa interpretabile proprio a partire dal funzionamento della catena significante.
L’io per Freud si costituisce attraverso l’assimilazione identificatoria delle immagini dell’altro. Lacan a tal proposito cita il detto rimabudiano “l’io è un altro” per dire che l’identificazione, in quanto vortice morfogeno, costitutivo dell’immagine di noi stessi, rappresenta un processo di assorbimento, di introiezione dell’immagine dell’altro. Nell’identificazione il soggetto è “aspirato dall’immagine”[3], è catturato da essa. Un risucchiamento che rappresenta una vera e propria alienazione del soggetto nell’altro. L’identificazione proprio per questo produce una certa stanchezza dell’io che per struttura è “doppio”: l’io disconosce, camuffa, è un miraggio perché “il vero io non sono io”[4].
La dinamica, corpo-in-frammenti-immagine riflessa, al di qua dello specchio-al di là dello specchio, struttura la relazione che il soggetto stabilirà con i propri simili, il soggetto (Je) sostituisce l’immagine di un proprio simile alla propria immagine speculare, passando da un’identificazione all’altra.
Lo strappo originario che divide l’essere del soggetto dalla sua proiezione ideale raggiunge il massimo della sua tragicità proprio laddove l’unità dell’immagine speculare ideale si configura come “unità alienata”[5]. Scrive Lacan, “l’essere umano non vede la sua forma realizzata, totale, il miraggio di se stesso, se non fuori di se stesso”[6].
Il linguaggio in quanto simbolo è sempre l’effige di un’assenza o di una presenza, è un’alternanza di più e di meno, di zero e di uno, come insegna la scienza cibernetica che proprio in quegli nasceva[7]. I cicli di identificazioni dell’Io, il passaggio da un’identificazione all’altra rappresenta un oscillamento tra la vita e la morte, ogni volta l’uomo è chiamato a confrontarsi con la morte e con la rinascita dell’Io. Se il soggetto non riconosce il proprio essere-per-la-morte, non potrà ricostruire la sua storia. L’analista dovrà, favorire questo riconoscimento, l’analista dovrà offrirgli in dono quella morte “ donde la sua esistenza trae tutto ciò che di senso essa ha”[8].
Una delle scoperte più importanti di cui la psicoanalisi si è resa protagonista è che l’ Io è una configurazione immaginaria che non si confonde col soggetto dell’inconscio[9].
L’io, rispetto a quest’ultimo rappresenta il precipitato, una sorta di trasfigurazione alienata del soggetto, del soggetto. Freud mette ben in evidenza coma l’Io si origini da un meccanismo identificatorio, immaginario e narcisistico (si veda La sua genesi narcisistica in Introduzione al narcisismo e in Psicologia delle masse e analisi dell’Io. L’io rappresenta per Lacan il “sintomo umano per eccellenza”, la “malattia mentale dell’uomo”, la “degradazione alienata del soggetto”[10].
L’io, dirà ancora Lacan è il risultato di molteplici identificazioni e pertanto “non sa nulla dei desideri del soggetto”[11].
Wos es war soll Ich warden[12], che nelle traduzioni ufficiali suona “Dove era l’Es, deve subentrare l’Io”, in Lacan assume un significato differente. Per Lacan Freud non ha mai sostenuto che il lavoro psicoanalitico debba favorire il subentro dell’io là dove era l’Es. Per lo psicoanalista francese la “missione” della psicoanalisi è quella di mettere in evidenza, durante il lavoro analitico, che la padronanza dell’io è sostanzialmente immaginaria e a partire da questa consapevolezza poter indicare a fondamento del soggetto, oltre l’io, c’è l’inconscio, il desiderio inconscio in quanto desiderio dell’Altro. L’analisi così, a differenza delle psicologie dell’io, non ha come obiettivo il rafforzamento dell’Io o l’ampliamento della padronanza dell’ego sulle rimanenti zone oscure dell’inconscio, per Lacan la psicoanalisi comporta un rovesciamento, la diminuzione dell’immaginarizzazione del mondo, un’esperienza al limite della depersonalizzazione[13].
[1]Jacques Lacan, Scritti, Einaudi, Torino, 1974, p. 50
[2] Si veda Della psicosi paranoica nei suoi rapporti con la personalità (1932), Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’Io (1936), L’aggressività in psicoanalisi (1948)
[3] Jacques Lacan, Libro II, L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, 1954-55. Traduzione di Alberto Turolla, Clementina Pavoni, Piero Feliciotti, Simonetta Molinari, coordinazione e direzione di Antonio Di Ciaccia, edizione a cura di Giacomo B. Contri, Torino, Einaudi, 1991, p. 70.
[4] Jacques Lacan, op. cit., p. 56.
[5] Jacues Lacan, op. cit., p. 63.
[6] Jacques Lacan, Libro I, Gli scritti tecnici di Freud, 1953-54, Traduzione di Antonello Sciacchitano e Irène Molina sotto la direzione di Giacomo B. Contri, Torino, Einaudi, 1978, p. 175
[7] Jacues Lacan, op. cit., p. 371-388
[8] Jacques Lacan, Scritti, op. cit., p. 314
[9] Jacques Lacan, Scritti, op. cit., p. 241
[10] Jacques Lacan, Scritti, op. cit., p. 20
[11] Jacques Lacan, Scritti, op. cit., p. 207-08
[12] S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni), OSF vol. 11, p. 190
[13] Jacques Lacan, Scritti, op. cit., p. 287