Il Seminario I “Gli scritti tecnici di Freud” (1953/54), tratta alcuni aspetti della tecnica psicoanalitica a partire da una lettura innovativa e per certi versi rivoluzionaria dei testi freudiani. Lacan rafforza la tesi di una differenziazione tra registro simbolico e registro immaginario, distinzione che è necessaria tenere sempre presente soprattutto quando ci si confronta con quei punti dell’opera freudiana che risultano non perfettamente chiari o comunque soggetti a variegate interpretazioni. A fondamento delle sue ipotesi, Lacan, si sforza sempre di tenere l’esperienza analitica in quanto esperienza clinica. Il simbolico si distingue dall’immaginario proprio a partire dalla differenziazione della nozione di “imago” – che proprio per la confusione tra la dimensione simbolica e quelle immaginaria rischia di essere letta come una componente del simbolico – da quella di “parola”, che per Lacan è la sua (della nozione di imago) base. Altro tema cruciale del Seminario è quello dell’”uccisione” e dell’assoggettamento della “Cosa” da parte del simbolico: il simbolo nientifica il puro elemento naturale.
Lacan sostiene che l’io sia un oggetto strutturato come una cipolla, pelandola si avrebbero solo quelle identificazioni che si sono succedute nel tempo[1]. L’io si sgretola in molteplici identificazioni, proprio come una cipolla al suo centro, è privo di qualcosa di sostanziale. È importante sottolineare come per Lacan l’io non è soggetto ma innanzitutto un oggetto composito, un aggregamento di identificazione. L’io come oggetto.
Lacan non accetta l’ipotesi che l’aggressività sia causata dalla frustrazione, come reazione ai limiti imposti dal principio di realtà, ma la considera connessa allo stadio dello specchio. Il soggetto idealizza la sua immagine con la quale si scontra perché essa costituisce quell’io ideale che il soggetto non è. A tal proposito Lacan considera il gesto di Caino come paradigmatico[2]; Caino colpisce la sua immagine ideale, il proprio io ideale rappresentato dal fratello onesto e più gentile. L’aggressività tendente alla distruzione dell’altro esprime “la struttura più fondamentale dell’essere umano sul piano immaginario: distruggere chi è la sede dell’alienazione[3].
Il desiderio del soggetto è costantemente riattualizzato dalla rivalità instaurata con quell’altro che rappresenta l’oggetto verso cui tende. Ogni volta che durante il lavoro psicoanalitico ci si avvicina a quell’alienazione fondamentale, si genera l’aggressività più radicale, il desiderio di eliminare quell’altro che alimenta il desiderio del soggetto[4].
Lo stadio dello specchio è caratterizzato da uno strappo che divide l’essere del soggetto dalla sua proiezione ideale, che si rafforzerà ancor di più perché l’unità ideale dell’immagine speculare si configura come una “unità alienata”[5]: “l’essere umano non vede la sua forma realizzata, totale, il miraggio di se stesso, se non fuori di se stesso”[6].
L’esistenza stessa dell’alterità appare come ostile e l’aggressività è la sola risposta possibile sul piano immaginario perché ha l’obiettivo di “distruggere la sede dell’alienazione”[7].
L’immaginario è rappresentato da Lacan come un “chiuso mondo a due”[8] dove il desiderio porta il soggetto a fare da spola tra la fascinazione erotizzata per la sua immagine ideale e la spinta verso la sua distruzione, perché il soggetto trova nell’altro le “alienazioni del suo desiderio”[9].
Oltre al dramma della paranoia speculare il soggetto vive nel mondo del simbolo, un mondo dove gli altri parlano. Grazie al simbolico il desiderio è mediato dal riconoscimento. Se così non fosse, ogni funzione umana si consumerebbe nella spinta costituzionale alla distruzione dell’altro in quanto tale[10].
[1] J. Lacan, Libro I, Gli scritti tecnici di Freud, 1953-54 Traduzione di Antonello Sciacchitano e Irène Molina sotto la direzione di Giacomo B. Contri, Torino, Einaudi, 1978, p. 213
[2] J. Lacan, op. cit., p. 214.
[3] Ibidem
[4] J. Lacan, op. cit., p. 39.
[5] Libro II, L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, 1954-55 Traduzione di Alberto Turolla, Clementina Pavoni, Piero Feliciotti, Simonetta Molinari, coordinazione e direzione di Antonio Di Ciaccia, edizione a cura di Giacomo B. Contri, Torino, Einaudi, 1991, p. 63.
[6] J. Lacan, Libro I…, op. cit., p. 175.
[7] J. Lacan, Libro I…, op. cit., p. 214.
[8] J. Lacan, Libro I…, op. cit., p. 172.
[9] J. Lacan, Libro I…, op. cit., p. 185.
[10] J. Lacan, Libro I…, op. cit., p. 213.